Parla l’ausiliare di Donetsk: nei territori sotto il controllo di Mosca la Chiesa cattolica è stata messa al bando
Da Avvenire On Line di Sabato 24 febbraio 2024
È un vescovo in esilio Maksym Ryabukha. Perché in gran parte della sua diocesi non può mettere piede. Come nella città che dà il nome all’esarcato greco-cattolico di cui è ausiliare: Donetsk. Città occupata dai russi. Al pari della regione lungo cui corre la linea del fronte. E vietata a vescovi e preti legati a Roma: tutti cacciati. «Ogni volta che celebro Messa – racconta il presule salesiano di 43 anni – porto sull’altare la mia gente, compresa quella che si trova nelle località dove non posso arrivare. È questa unità sacramentale che mi fa sentire in totale comunione con l’intero gregge di cui sono pastore».
Il suo ministero episcopale è tutto segnato dalla guerra. È stato nominato vescovo fra le bombe, nel settembre 2022. E la diocesi cui è stato destinato è «dal 2014 sotto attacco», racconta. Ossia da quando sono scoppiati gli scontri con i separatisti filorussi. Adesso è per lo più nelle mani di Mosca. «La situazione dei nostri fedeli nei territori occupati è drammatica. Qualsiasi attività della Chiesa cattolica è proibita. Le nostre chiese vengono espropriate. I credenti sono allontanati. Spero che non inizino forme di persecuzione come avveniva durante il periodo dell’Unione Sovietica».
Ryabukha ha scelto di abitare a Zaporizhzhia, la città più vicina al suo esarcato. E da lì fa la spola con le aree che restano controllate dall’Ucraina ma che sono sotto il fuoco costante dell’esercito di Putin. «Ho già percorso 100mila chilometri per visitare, confortare, incoraggiare le comunità che sono in grado di raggiungere. Per piangere con quanti hanno subìto lutti o distruzione. Per sperare con tutti coloro che hanno ancora la forza di sperare. Domenica scorsa ero a Kostiantynivka e Myrnohrad, due cittadine che vengono continuamente bombardate. C’è disperazione fra la gente. Eppure quando si vede il vescovo al proprio fianco, lo si considera un segno di paternità e di vicinanza della Chiesa. Perché, ti ripetono in tanti, capiamo di non essere soli in tempi così drammatici». Il pensiero va anche ai due padri redentoristi, Ivan Levytskyi e Bohdan Geleta, che dal novembre 2022 sono detenuti dalle milizie del Cremlino dopo essere stati arrestati a Berdyansk, nel segmento occupato dell’oblast di Zaporizhzhia. «Non abbiamo notizie certe dal giorno del loro rapimento. Nelle carceri russe ogni prigioniero è sottoposto a trattamenti disumani. Sono certo che la loro presenza in mezzo a tanti civili e militari catturati dice che il Signore non dimentica nessuno, soprattutto quando si sperimenta una Via Crucis come la detenzione».
Da figlio di don Bosco, che ha aperto il primo oratorio a Kiev, ha deciso di trascorrere accanto ai più piccoli la giornata di oggi, quella del secondo anniversario dell’inizio della guerra. « Accompagnerò nelle parrocchie “Il Pimpa” ». È il “Claun”, scritto all’italiana, che interpreta Marco Rodari, l’artista che il presidente Sergio Mattarella ha nominato lo scorso anno “Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica” e che in queste settimane è di nuovo in Ucraina. Il “pellegrinaggio del sorriso” di monsignor Ryabukha è quasi una risposta alla violenza targata Mosca. «Da due lunghissimi anni viviamo un’inconcepibile esperienza di odio. Dico inconcepibile perché non capiamo il perché di questo livore verso la vita – spiega –. La stanchezza è palese. La guerra non hai mai conosciuto pause. E, anche quando assistiamo a soste negli attacchi, abbiamo compreso che la Russia le intende usare per preparare bombardamenti o raid ancora più massicci. Per questo non c’è fiducia nella parola “tregua” che Putin ha svuotato di senso ». Però, fra le tenebre del male, si scorgono luci inaspettate, afferma il presule. «Nonostante la sofferenza e l’immensa fatica, la gente sa guardare alla dignità della vita e sa farsi un unico corpo sostenendosi a vicenda».
La povertà è esplosa. I bisogni si impennano. «Ma tutti sono consapevoli che adesso la priorità è sopravvivere all’aggressione. Il resto è risolvibile». Tuttavia cresce fra le persone la paura che l’Ucraina possa essere abbandonata dall’Occidente. «Non aiutare il nostro popolo significa favorire la terza guerra mondiale. Senza il supporto internazionale, abbiamo due sole prospettive: o essere cancellati o finire schiavi sotto le bandiere di Mosca». E l’eventualità di congelare il conflitto? «Un’idea che c’è fuori del Paese. Non da noi», taglia corto il vescovo.