Da Avvenire del 07/04/2024
Si chiamavano Lydia, Brooke, Crystal, Michelle: giovani donne morte in California negli ultimi anni mentre portavano in grembo un figlio commissionato da altri oppure al momento del parto. Le cause: embolia del liquido amniotico, complicazioni durante una gravidanza gemellare. Ma non sono le sole. Esaminando le richieste online di raccolta fondi per sostenere orfani di donne morte durante la gestazione, dietro le numerose e anonime “Jane Doe” si possono intuire storie di maternità surrogata andate male. Jennifer Lahl, fondatrice e anima del movimento americano Stop surrogacy now, è arrivata dalla California a Roma per aprire gli occhi a chi non sa o non vuol sapere.
L’utero in affitto non è innocuo, a dispetto della narrazione trendy che spesso i media ne danno. Lahl ha parlato davanti a un pubblico di decine di esperti di tutto il mondo riuniti a Roma nel nome di una comune missione: abolire – non regolamentare – la surrogazione di maternità a livello internazionale. Perché le donne non sono fabbriche di bambini e i bambini non sono merce.
« Le leggi nazionali non bastano », dice Lahl. Gli Stati Uniti sono una meta appetibile per ricchi di tutto il mondo, perché il bebè può avere la doppia cittadinanza. Adesso è il turno dei cinesi. Linda, una madre surrogata, ha raccontato a Lahl che i committenti asiatici hanno preteso di eliminare i due gemelli che portava in grembo per loro perché nel frattempo avevano divorziato. «Al rifiuto di Linda le hanno fatto causa. La storia è finita così: il maschietto è stato dato in adozione, mentre la committente ha tenuto la femmina». Quanto sia potente il mercato della surrogazione di maternità lo esprimono i dati: secondo le statistiche illustrate da Herveline Urcun, analista dell’Osservatorio francese sulla procreazione assistita, il giro d’affari nel 2022 è stimato in 11 miliardi di dollari (nel 2016 era 3,8 miliardi) e nel 2027 ci si aspetta che arrivi a 33 miliardi. In Europa, dove la Gestazione per altri (Gpa) è vietata in quasi tutti i Paesi, compresi Francia, Germania e Italia, i divieti sembrano costituire un argine debolissimo. Le leggi nazionali sono aggirabili con estrema facilità, grazie alla globalizzazione: si possono acquistare gli ovuli in Spagna e il seme nella banche danesi che garantiscono l’anonimato del “donatore”, oppure direttamente gli embrioni in Ucraina, dove si può anche scegliere il sesso e l’aspetto fisico che avrà il bambino. Si possono comprare i servizi di una madre surrogata negli Stati Uniti, se il budget è tra i 120mila e i 300mila dollari, altrimenti in Ucraina si spendono all’incirca 50mila dollari, di cui appena 10mila vanno come compenso alle madri surrogate. La giornalista e attivista tedesca Birgit Kelle, autrice di un libro dal titolo Mi compro un figlio: l’ignobile affare della maternità surrogata, poche settimane fa si è presentata come aspirante madre single alla Fiera della procreazione assistita “Wish for a baby” a Berlino. «Mi è stata offerta la possibilità di avere un figlio con la Gpa pagando 52mila euro, che scendevano a 36mila se avessi scelto l’opzione online. L’embrione sarebbe stato prodotto in Ucraina, la surrogata sarebbe arrivata da Bulgaria o Kazakistan e avrebbe partorito a Cipro, dove sarei stata registrata come madre. A rientro in Germania avrei avuto tutti i miei diritti di madre single». Nemmeno la guerra ha fermato il turismo riproduttivo con epicentro l’Ucraina, dove la Gpa è consentita anche alle coppie straniere purché sposate ed eterosessuali. Dopo un primo periodo di assestamento, le cliniche funzionano a pieno regime, con 3mila bambini nati ogni anno. «Alle coppie che hanno qualche timore si organizza un periodo di permanenza in zone di confine, Slovacchia e Ungheria – ha spiegato Kelle –. Le madri surrogate possono spostarsi, ma il parto deve avvenire in Ucraina per il riconoscimento automatico della coppia pagante come genitori ». Il lavoro degli esperti e degli attivisti riuniti a Roma è anche quello di cambiare la narrazione sulla Gpa: non è un modo come un altro per far nascere figli ma una forma di sfruttamento del corpo di una donna, non un progresso ma un nuovo colonialismo. « Le dive di Hollywood ci mostrano la loro felicità mentre aspettano un figlio da una surrogata, in modo da non sformare i propri corpi. Ma è un falso: è un’altra la donna che attende un bambino, non loro. Chi partorisce non ha il diritto nemmeno di vedere il proprio figlio: questa è mercificazione, una moderna poligamia. Affittare l’utero non è un lavoro, la verità è che i committenti possiedono la donna. E il prodotto è il bambino, che diventa merce di scambio. Ma le donne non sono robot», è intervenuta l’attivista femminista svedese Kajsa Ekis Ekman, fresca autrice di Essere ed essere comprate. Prostituzione, maternità surrogata e identità divisa.
Quindi, come fermare la deriva della contrattualizzazione della genitorialità e della mercificazione della donna e dei bambini? Il consesso di esperti riuniti a Roma ha concluso che le leggi nazionali non sono sufficienti, anche se necessarie. Serve controllare i flussi finanziari per far rispettare la legge, scoraggiare i genitori intenzionali controllando ed eventualmente contestando gli atti di nascita formati all’estero, ovviamente con ogni possibile tutela dei bambini nati. Ma la strada più efficace è la messa al bando globale: ardua, lunga, ma necessaria.