Di Marina Terragni da Il Foglio del 12/04/2024
Perfino i laburisti alla fine hanno alzato le mani: di fronte al monumentale lavoro della dottoressa Hilary Cass, quasi 400 pagine di studi, resoconti clinici, testimonianze, statistiche e raccomandazioni per dire che la terapia affermativa – farmaci, chirurgia – per bambine e bambini non conformi al genere è stata un clamoroso fallimento del sistema; che si è trattato di una vera e propria sperimentazione in vivo (“Bambini usati come palloni da calcio”, ha dichiarato al Guardian); che non ci sono prove che con quelle iniezioni mensili il loro benessere aumenti; che non è vero che la triptorelina riduce il rischio suicidio e che i suoi effetti sono in gran parte irreversibili; che le/i piccoli pazienti non sono stati sufficientemente monitorati; che a 9-10 anni non si può esprimere alcun reale consenso, che prima dei 18 anni non si dovrebbe avviare nessuna transizione e che almeno fino ai 25 anni si dovrebbe procedere “con cautela e compassione”; che per quei minori serve un “approccio olistico” e un’accurata valutazione psicologica dato che mediamente soffrono di concomitanti disturbi mentali; che gli standard di cura raccomandati da Wpath, la maggiore associazione per la salute transgender, presi come oro colato da società scientifiche e da istituzioni sanitarie di tutto il mondo – Italia compresa – sono sostanzialmente fuffa; che bavagli, censure, urla e minacce (una “eccezionale velenosità del dibattito”) hanno ostacolato come mai prima d’ora ogni serena valutazione scientifica… Beh, di fronte a tutto questo e molto altro anche quel Labour che qualche anno fa nominava una giovanissima e cattivissima trans, Lily Madigan, come responsabile donne del partito, non ha potuto che abbozzare e impegnarsi ad attuare le raccomandazioni contenute nel rapporto, considerato che a breve in Gran Bretagna si andrà al voto e gli inglesi sono esasperati da anni e anni di wokeness aggressiva e insensata.
Nel corso della proiezione milanese organizzata da RadFem Italia del suo bellissimo docufilm “Trans Mission”, la californiana Jennifer Lahl, fondatrice di Stop Surrogacy Now e del Center of Bioethics and Culture Network, osserva amaramente che in quel film (2022) c’era già tutto: “Sembra che il plot sia stato scritto dalla dottoressa Cass”, dice. “Il suo accuratissimo review non ci stupisce perché queste cose le sappiamo e le diciamo da anni, prese a pesci in faccia e insultate in ogni modo. C’è gente licenziata e messa al bando per non essersi arresa alle balle della propaganda. Ci sono ragazze e ragazzi con il corpo mutilato e distrutto che vorrebbero tornare indietro ma non possono: anche ai detransitioner, Cass lo dice chiaramente, vanno garantite attenzione e cure”.
In California, epicentro del woke, si stanno raccogliendo firme per un referendum contro l’indottrinamento scolastico e la transizione sociale all’insaputa dei genitori: “Se ce la facciamo”, dice Lahl, “passa di sicuro: ormai anche la gran parte degli elettori democratici ha aperto gli occhi”. E’ il risveglio dei risvegliati, in aperto dissenso con i manierismi transfilici del presidente Joe Biden che da neoeletto dedicò agli studenti trans uno dei suoi primissimi executive order – il mazzo su queste faccende alla Casa Bianca, rivela Lahl, continua a tenerlo la famiglia Obama.
Anche la dottoressa Cass parla di transizione sociale, quella carriera alias che gli istituti scolastici esibiscono orgogliosamente nella loro offerta formativa all inclusive. Occhio prof.: “Quando si prendono decisioni sulla transizione sociale dei bambini in età prepuberale”, scrive la pediatra, “si dovrebbe garantire che possano essere visitati prima possibile da un professionista clinico con esperienza in materia”.
A poche settimane dallo scandalo dei file Wpath, il rigorosissimo rapporto Cass segna un punto di non ritorno: nessuno al mondo potrà più fare finta di non capire e di non sapere. Nemmeno i progressisti italiani, woke un tanto al chilo che con rare eccezioni – tipo Luana Zanella di Avs e la Pd Marianna Madia che chiedono chiare linee guida – non smettono di blaterare nei talk “rischio suicidio! rischio suicidio!”, senza darsi la pena di leggere uno studio o almeno di buttare l’occhio sulla prima pagina del Times, o si chiudono in una opportunistica ignavia: c’è in ballo la pelle dei bambini, non si può più perdere tempo.
Solo un’osservazione, con il massimo rispetto, sul lavoro della dottoressa Cass: parlando del clamoroso cambio della platea trans, oggi costituita in grande parte da bambine prepuberi, la pediatra sottolinea “i maggiori sintomi depressivi rispetto ai ragazzi” e “le preoccupazioni sull’immagine corporea e disturbi alimentari” associate all’abuso di social media. In realtà cambia la forma – la disforia – ma non la sostanza, che è quella di sempre: l’insopportabilità del dover entrare a fare parte del sesso oppresso, la fantasia di poter essere maschi – la stessa fantasia delle antiche emancipate qui agita fin nella carne – per poter sfuggire alla “casa in fiamme” del proprio destino femminile inteso come illibertà.
C’è un altro punto delicatissimo sul quale Cass non trae conclusioni: la depatologizzazione dell’incongruenza di genere approvata nel 2019 dall’Organizzazione mondiale della sanità. Da allora non è più classificata come disturbo psichico ed è stata inserita in un nuovo capitolo concernente la salute sessuale (conditions related to sexual health). Ma la drastica mutazione della platea trans, oggi come dicevamo soprattutto bambine con disturbi psichici (comorbilità), e la concomitanza tra la vertiginosa curva di crescita dei problemi mentali e quella dei casi di disforia che in ogni caso necessitano di cure mediche tanto quanto i disturbi psichici, problematizzano l’ottica depatologizzante. Non si tratta di ri-patologizzare questa complicatissima esperienza umana, si tratta semmai di individuare nuove griglie interpretative e di ascoltare la domanda (“Non voglio diventare una donna oppressa”, ma anche “non voglio essere un maschio oppressore”) che viene da quella generazione Z a cui Cass dedica un’ampia parte del suo review. Una chiave, quindi, decisamente più politica.