Augusto Del Noce, Cristianità n. 62-63 (1980)
Nel gennaio del 1980 è comparsa, edita da Cristianità, la raccolta di editoriali non firmati, articoli e note di Giovanni Cantoni, intitolata La «Lezione italiana». Il volume ha suscitato e continua a suscitare interesse, di cui sono testimonianze significative e meditate recensioni. In attesa di presentare una adeguata rassegna critica di tali recensioni, crediamo di fare cosa gradita ai nostri lettori trascrivendo le «riflessioni» che all’opera ha voluto dedicare il professor Augusto Del Noce. A ciò ci spingono sia l’autorevolezza del loro estensore (filosofo di fama internazionale, ordinario di Filosofia della Politica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Roma, Accademico dei Lincei, membro della Consulta della Città del Vaticano) e l’importanza della sede che le ha ospitate (Il Tempo di Roma, del 4-6-1980), che il loro indubbio significato e valore. Una «lettura» importante, dunque, anche se, evidentemente, non l’unica possibile, e senza la pretesa di essere esaustiva.
Riflessioni sulla «Lezione italiana»
Tutti sanno come l’idea del compromesso storico sia stata proposta dall’on. Berlinguer nell’autunno del ‘73 con un articolo Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile. Quasi tutti invece ignorano che questa proposta è stata l’occasione perché venisse fondata a Piacenza una rivista, Cristianità, che, seguendo una cadenza bimestrale prima, mensile poi, vuole essere punto di riferimento per la valutazione dei fatti del giorno secondo quell’ortodossia cattolica il cui programma, di connessione tra la fede religiosa e i giudizi filosofici, morali e politici, è stato fissato nell’enciclica di Leone XIII Aeterni Patris, di cui è ricorso il centenario lo scorso anno.
E certamente la coincidenza temporale è simbolica; pochi infatti hanno valutato esattamente l’importanza morale e filosofica, prima che politica in senso stretto, che ha la proposta del compromesso storico; il tratto per cui essa intende significare la più radicale smentita di quella critica del pensiero rivoluzionario che, formulata da De Maistre, è stata il punto di partenza della rinascita del pensiero cattolico dell’Ottocento; critica così importante che vi si possono ritrovare precontenuti tutti i temi trattati dai critici recenti del mito rivoluzionario e del suo esito pratico totalitario (il che non vuol dire naturalmente che tutti i temi del pensiero maistriano possano essere condivisi).
Il direttore di Cristianità, Giovanni Cantoni, ha ora raccolto i suoi editoriali in un volume quasi clandestino (La lezione italiana, «Cristianità», Piacenza) dato che è nota la difficoltà di reperire nelle librerie, le cattoliche incluse, i libri che siano stati segnati dal marchio di «integristi» o di «tradizionalisti». Pure, pochissime sono le pubblicazioni che stimolino ugualmente la riflessione sulla «lezione italiana», permettendo di cogliere il processo politico che è in atto. Per riconoscerlo basta un atto di onestà intellettuale: prescindere perciò da qualsiasi giudizio valutativo, sia di plauso come di rifiuto, per limitarsi alla considerazione se quel che Cantoni dice corrisponda o no a una verità di fatto. Le reazioni soggettive che possono aversi al riguardo saranno certamente diverse, ma la descrizione del fatto resta.
Secondo il giudizio oggi prevalente, il compromesso storico sarebbe ormai in ribasso. Gli argomenti per asserirlo sono noti. Il risultato delle elezioni del giugno ‘79 ha dimostrato che l’elettorato non lo gradisce; siamo anzi più precisi, in quelle elezioni la posta in giuoco era una buona volta chiara, il consenso o no a esso, e non c’è dubbio che l’elettorato l’abbia negato. Una parte notevole della cultura socialista ha insistito sulla concezione della vita che è presente nel Partito comunista e che è invincibilmente connessa col totalitarismo, riprendendo curiosamente argomentazioni che un quarto di secolo fa erano addotte particolarmente dalla pubblicistica cattolica. Il recente congresso democristiano ha avuto l’esito che sappiamo. Si tratterebbe, di più, di una proposta che non troverebbe simpatia presso la «base stalinista» del partito (di passata, è da rilevare quanto sia strano questo argomento: l’idea di una difesa della democrazia confidata alla permanenza nella base del PCI della mentalità stalinista!).
Le cose stanno assai diversamente: il progresso dell’idea del compromesso storico è stato continuo, anche se certamente lento e anche se incontra delle battute di arresto. Se ne vuole un esempio? Ancora nel febbraio ‘79 l’articolo dell’on. Giovanni Galloni, in cui si sosteneva l’assenza di incompatibilità ideologica tra DC e PCI suscitava reazioni assai vive. Ricordo di avervi risposto, con un tono molto impegnato, in un articolo pubblicato su queste colonne: ebbi allora felicitazioni private da autorevolissimi esponenti della DC ma la sua eco pratica fu nulla. Oggi le affermazioni del Galloni sono accettate come un dato pacifico dalla generalità dei vertici della DC. Si dirà che, più che accettate, non sono state poste in discussione per non inacerbire lo scontro tra maggioranza e minoranza. Si dirà anche che il termine ideologia ha perduto ogni significato preciso, per cui una provvisoria concessione verbale non impedisce che si possa tornare sulla sostanza dell’argomento. Pure, è difficile sottrarsi all’impressione che la ragione fondamentale del rifiuto della politica della «solidarietà nazionale» (che se non è proprio il «compromesso storico», ne è il passo antecedente) è il timore che essa avrebbe fatto perdere alla DC, milioni di voti. Che quindi la vera ragione del rifiuto sia stato l’«opportunismo».
Di questo progresso, quale la ragione? Non si può cercarla in una sempre maggiore prevalenza della cultura marxista, che oggi piuttosto segna il passo. D’altronde non saprei dire il nome di un filosofo marxista che abbia contribuito all’elaborazione del progetto, il quale ha invece rappresentato il successo dei «politici» sugli «intellettuali», ed ha manifestato per la «filosofia» che contiene l’influenza esercitata su Berlinguer dai suoi consiglieri cattocomunisti. Per spiegarlo, bisogna riferirsi alla situazione che si è determinata nell’ultimo ventennio all’interno del mondo cattolico. Usando una formula approssimativa, parlerò dell’«esclusione dell’integralista dal dialogo»; di quel rovescio di situazione per cui alla «persecuzione contro il modernista» si è sostituita la «persecuzione contro l’integralista», che deve o meglio doveva, perché oggi le cose stanno cambiando, vivere nascosto, al modo di colui su cui gravava in altri tempi l’accusa di modernista; così che si parlava giustamente, nei suoi riguardi, di «ghetto». E poiché Cantoni non ha alcuna difficoltà nel dichiararsi «integralista» converrà tracciare una rapida storia di questo termine dagli anni intorno al ‘30 in poi.
Nel decennio tra il ‘30 e il ‘40 il termine «integralismo» veniva usato in senso positivo per significare l’impossibilità di pensare a una sfera morale e politica autonoma rispetto alla dimensione religiosa. La sua connotazione negativa cominciò negli anni successivi al ‘45 quando si diffuse l’abitudine di parlare delle due deviazioni dalla vera linea cattolica, l’integralista e la progressista. Integralista sarebbe chi sacralizza un ordine storico dato; progressista chi assoggetta al divenire le stesse verità religiose e metafisiche.
È un uso che mi sembra discutibile perché confonde delle disposizioni psicologiche con delle categorie dottrinali.
Considerati infatti nelle loro definizioni, quali sono state dette, integralismo e progressismo non sarebbero neanche deviazioni del pensiero cattolico, dato che ne sono al di fuori: l’integralismo ridurrebbe infatti la religione alla componente conservatrice di un ordine storico, il progressismo la risolverebbe in uno stimolo vitalizzante per il progresso e la trasformazione del mondo. Se guardiamo invece alle disposizioni psicologiche, la distinzione si limita alla constatazione che ci sono tra gli uomini, e non soltanto tra i cattolici, coloro che guardano preferenzialmente al momento dell’autorità e della continuità col passato, e coloro che altrettanto preferenzialmente guardano a quello della libertà e del futuro; fatto per sé normale, inevitabilmente, destinato a ripetersi costantemente.
Questa confusione tra categorie dottrinali e disposizioni psicologiche favorì la grande offensiva del progressismo che ebbe inizio intorno al ‘60. Venne allora di uso corrente il giudizio secondo cui gli integralisti sarebbero i veri nemici della Chiesa: essi, e non più i laicisti e i comunisti. Anzi, laicismo e comunismo sarebbero repliche a storture teologiche, morali e politiche, di cui il cattolicesimo dovrebbe liberarsi; repliche che contengono degli autentici valori, che il cattolicesimo potrà far propri attraverso il dialogo. Posto ciò, si deve arrivare al giudizio seguente: «L’integralismo è una sorta di cancro del mondo cattolico, caratterizzato dalla lotta contro tutte le idee e contro tutti gli sviluppi pratici che definiscono il mondo moderno».
Ne consegue che l’intera storia della Chiesa, almeno dalla Controriforma in poi, deve essere riveduta. Quale sorte avranno i suoi documenti ufficiali? Praticamente, dovranno essere tutti dimenticati. Tuttavia, poiché ciò non può non rischiare di sconcertare i comuni credenti, si procederà con certe distinzioni. Ci saranno le encicliche esplicitamente ricordate quali esempi di pessima teologia, come la Pascendi di Pio X, condanna del modernismo, e la Divini Redemptoris di Pio XI, condanna del comunismo.
Viene poi costantemente addotta, come esempio di errore teorico, l’idea della «dottrina sociale cristiana», quale tentativo di deduzione di un modello di società dalla fede e dalla metafisica tradizionale (idea la cui validità è stata peraltro riaffermata da Giovanni Paolo II nel discorso di Puebla, gennaio dello scorso anno). Per la maggior parte degli atti basterà la semplice omissione. Di fatto, però, non ci sarà enciclica anteriore alla «rivoluzione conciliare» di cui si conserverà ricordo.
Il compromesso storico deve quindi essere visto come l’altra faccia del compromesso culturale, e a questo proposito vale segnalare che uno dei contributi di maggiore interesse raccolti nel libro di Cantoni è proprio relativo a questa modalità di compromesso a cui normalmente non si presta la dovuta considerazione, in quanto l’attenzione dei commentatori politici trascura troppo spesso i presupposti ideali dei partiti.
Che in Occidente il comunismo non possa riuscire attraverso la lotta frontale, è cosa troppo chiara perché ci si debba insistere; di qui l’operazione obbligata del compromesso storico come ricerca di trasformare. gli avversari in compagni di strada; ma a ciò è necessario il compromesso culturale dissimulato sotto le equivoche ed equivalenti formule della «liberazione dalla mentalità integralista» e della «caduta della pregiudiziale ideologica». Che i cosiddetti «integralisti cattolici» siano «ghettizzati» dai cattolici «aperti» è il massimo risultato che i comunisti possono desiderare.
Finora però il compromesso storico non è riuscito. Qual è la forza che ha resistito? Cantoni parla di una «Italia sommersa» che è certamente «naturaliter christiana», in ragione della «sedimentazione di una passata grande cultura cattolica – sedimentazione che è frutto piuttosto di una “grazia sopravvivente” che di un’attuale coltivazione -, così che si può legittimamente paventare l’esaurirsi ad horas di questi giacimenti attivi anche se dimenticati e non rinnovati, di questi capitali storici, umani e cristiani, non reintegrati».
Sono parole di uno scritto che porta la data dell’8 dicembre 1979. Come non pensare a un passo dei discorsi che il Papa tenne a Torino il 13 aprile, quando ha parlato dello «strato profondo e splendido del cristianesimo», in tensione e in acuto contrasto con due altre correnti coesistenti nel «crogiuolo rovente» del mondo contemporaneo; un laicismo che nei suoi svolgimenti ultimi ha portato con sé la negazione radicale del cristianesimo e un marxismo che è giunto alle estreme conseguenze dei suoi postulati materialistici? Non è stata, questa, la dichiarazione della priorità della causalità ideale, etico-religiosa nella storia contemporanea? E, forse, la «lezione italiana» è la sua illustrazione migliore.
Augusto Del Noce