Papa Francesco analizza la virtù teologale più importante, la carità, ovvero l’amore che (si) dona
di Michele Brambilla
Papa Francesco introduce l’udienza del 15 maggio citando il celebre inno di 1Cor 13. Infatti proprio «concludendo quell’inno stupendo, San Paolo cita la triade delle virtù teologali ed esclama: “Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità” (1 Cor 13,13)».
Il Santo Padre osserva che «Paolo indirizza queste parole a una comunità tutt’altro che perfetta nell’amore fraterno: i cristiani di Corinto erano piuttosto litigiosi, c’erano divisioni interne, c’è chi pretende di avere sempre ragione e non ascolta gli altri, ritenendoli inferiori. A questi tali Paolo ricorda che la scienza gonfia, mentre la carità edifica (cfr 1 Cor 8,1)».
Non significa disprezzare la cultura, ma ricordare che ogni carisma va messo al servizio della comunione ecclesiale. E a proposito del Sacramento dell’Eucaristia, «l’Apostolo poi registra uno scandalo che tocca perfino il momento di massima unione di una comunità cristiana, vale a dire la “cena del Signore”, la celebrazione eucaristica: anche lì ci sono divisioni, e c’è chi se ne approfitta per mangiare e bere escludendo chi non ha niente (cfr 1 Cor 11,18-22)».
I cristiani di Corinto, dice il Papa, consideravano i rimproveri di san Paolo forse un po’ esagerati, dato che «probabilmente tutti erano convinti di essere brave persone, e se interrogati sull’amore, avrebbero risposto che certo l’amore era per loro un valore molto importante, come pure l’amicizia e la famiglia. Anche ai nostri giorni l’amore è sulla bocca di tutti», ma se ne danno miriadi di definizioni differenti. «“Ma l’altro amore?”, sembra chiedere Paolo ai suoi cristiani di Corinto. Non l’amore che sale, ma quello che scende; non quello che prende, ma quello che dona; non quello che appare, ma quello che si nasconde»: solo questo, infatti, è il vero amore cristiano.
«I cristiani dell’antichità avevano a disposizione diverse parole greche per definire l’amore. Alla fine, è emerso il vocabolo “agape”, che normalmente traduciamo con “carità”. Perché in verità i cristiani sono capaci di tutti gli amori del mondo: anche loro si innamorano, più o meno come capita a tutti. Anche loro sperimentano la benevolenza che si prova nell’amicizia. Anche loro vivono l’amor di patria e l’amore universale per tutta l’umanità. Ma c’è un amore più grande, un amore che proviene da Dio e si indirizza verso Dio, che ci abilita ad amare Dio, a diventare suoi amici, ci abilita ad amare il prossimo come lo ama Dio, col desiderio di condividere l’amicizia con Dio», ripete Francesco. «Questo amore, a motivo di Cristo, ci spinge là dove umanamente non andremmo: è l’amore per il povero, per ciò che non è amabile, per chi non ci vuole bene e non è riconoscente. È l’amore per ciò che nessuno amerebbe; anche per il nemico», ricorda il Papa in un’epoca contrassegnata da molte guerre (al termine dell’udienza ne farà il consueto elenco, chiedendo ancora una volta di pregare per la pace).
Il Santo Padre dà molto rilievo al fatto che «oggi è con noi una campana portata dalla Polonia, chiamata “La voce dei non nati”, che sarà portata in Kazakistan. Essa ricorderà la necessità di proteggere la vita umana dal concepimento alla morte naturale».
Giovedì, 16 maggio 2024