Di Alessandro Sallusti da Il Giornale del 06/06/2024
Ecco il testo senza cambiare una parola, una virgola, nulla:
Esattamente ottant’anni fa scattava il D-Day, lo sbarco delle truppe alleate in Normandia per liberare l’Europa dal nazifascismo. Dei 156mila soldati che misero piede sulle spiagge francesi ben diecimila morirono nelle prime ore di combattimento, una carneficina senza precedenti in quel conflitto. Oltre che inglesi, francesi, polacchi, belgi, olandesi, cecoslovacchi e norvegesi, combatterono e morirono soprattutto ragazzi americani e canadesi che non erano certo direttamente coinvolti vivendo a migliaia di chilometri di distanza in nazioni libere – nella nobile causa di riportare la democrazia nel Vecchio Continente.
Questo è ciò che si celebra in queste ore sui giornali e nelle televisioni con un coro unanime di ammirazione e riconoscenza. E fin qui tutto bene, ci mancherebbe altro, essendo stati noi italiani ed europei i beneficiati di tanto coraggio, spirito di sacrificio e generosità. Ma è davvero così? Nel senso: davvero lo spirito del D-Day è entrato nelle nostre coscienze, davvero si è sedimentato, diventato valore assoluto per noi uomini oggi liberi? O è rimasto pura memoria di una grazia piovuta dal cielo?
Sono domande non retoriche perché mi sembra di capire che la maggioranza degli italiani, e degli europei, non solo non è disposta a restituire il favore, ma proprio non ne vuole sentir parlare di libertà che non sia strettamente la nostra. Mi riferisco ovviamente alla crescente ostilità di una parte politica non marginale, di una classe di intellettuali e pure di gente comune sempre più contraria a qualsiasi ipotesi di continuare a sostenere la lotta del popolo ucraino contro l’invasore russo. L’idea di pagare anche solo un prezzo economico per la loro giusta causa ci sembra sproporzionata e inutile, parlare di armi una bestemmia in chiesa.
Banale dire che se americani e canadesi avessero all’epoca ragionato come noi, non ci sarebbe stato alcuno sbarco e Dio solo sa che ne sarebbe oggi delle nostre libertà, del nostro benessere, del nostro guardare al futuro con una certa tranquillità. Già, il nostro. Quello dei vicini di casa non ci interessa. Lo chiamano pacifismo. Io preferisco chiamarlo con i suoi veri nomi: paura, irriconoscenza, ipocrisia e anche un po’ vigliaccheria.