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Becket, i quattro tentatori e l’omelia di Natale

3 Agosto 2024 - Autore: Leonardo Gallotta

Cattedrale di Canterbury

Un profilo introduttivo alla vita di san Tommaso Becket si trova i questa stessa rubrica ‘Via Pulchritudinis’ col titolo Vita e morte di Tommaso Becket (1118 – 1170). Nell’articolo seguente si esamina la prima parte del capolavoro teatrale di Eliot “Assassinio nella Cattedrale” con l’aggiunta dell’omelia di Natale che ne costituisce l’intermezzo. La seconda e ultima parte con l’assassinio del Santo  e le giustificazioni degli assassini sarà oggetto di un articolo successivo.

di Leonardo Gallotta

  I personaggi che entrano in scena nella prima parte dell’opera di Eliot* sono: un coro di donne di Canterbury, tre sacerdoti della Cattedrale, un messaggero, l’arcivescovo Tommaso Becket e, infine, i quattro tentatori. L’opera è scritta in versi  e Il coro richiama un elemento importante presente già nella tragedia greca. Qui è costituito dalle donne di Canterbury e deve essere considerato un personaggio vero e proprio. Le donne entrano subito in scena, sono arrivate vicino alla cattedrale e lì aspettano. Dice il coro: “C’è come un presentimento / di un fatto che presto i nostri occhi / saranno costretti a testimoniare. Un presentimento / ha trascinato i nostri passi verso la cattedrale”.  Ora queste donne rappresentano il popolo minuto, giacché sono contente se nessuno si cura di loro, libere di dedicarsi alle faccende domestiche. Per questo hanno paura che accada qualcosa che possa turbare la loro tranquillità.

    Dopo l’entrata in scena di tre preti, ecco un messaggero che dà l’annuncio dell’arrivo a Canterbury dell’Arcivescovo Becket, dopo sette anni di esilio in Francia. Sembra che pace sia stata fatta tra lui e il re. È vera pace? Il primo prete è dubbioso e Il terzo prete dice: “Per il bene o per il male la ruota girerà”. Le donne del coro hanno comunque  paura e auspicano che l’Arcivescovo torni indietro, in Francia,  perché – dicono – egli viene a portare la morte a Canterbury. E continuano “O Tommaso Arcivescovo, lasciaci, lasciaci, / allontànati dalla spettrale Dover, / alza la tua vela per la Francia. Tommaso, / Arcivescovo nostro, sarai sempre / il nostro Arcivescovo, anche dalla Francia. / Tommaso Arcivescovo, alza la tua bianca vela / tra il cielo grigio e il mare amaro / e lasciaci, riparti per la Francia”. Si altera il secondo prete che definisce le donne di Canterbury stupide, impudenti, pettegole. E aggiunge: “La folla plaudente lo acclamerà lungo le strade/ mentre voi ve ne state a gracidare come rane/ sulle cime degli alberi. Ma almeno le rane/ sono  buone da cucinare e mangiare. / Io non so quale cosa vi spaventa, da quale/ viltà è generata la vostra apprensione,/ ma almeno questo vi chiedo, di mostrare/ volti sorridenti, che sia pieno di letizia/ il benvenuto al nostro amato Arcivescovo”.

    Entra allora in scena Tommaso che invita il secondo prete a lasciar perdere le donne del coro che neppure sanno quanto giuste siano le loro parole. E aggiunge, in modo piuttosto  criptico: ”Esse sanno e non sanno/ che cosa sono l’agire e il soffrire./ Esse sanno e non sanno che agire è soffrire e soffrire significa agire”. Rivela poi come in Inghilterra ci siano vescovi ribelli che lo avversano con un odio profondo, anche se, al momento, pare non ci siano pericoli.

    Ed ecco apparire a Tommaso il primo tentatore, vecchio amico di Tommaso, che ricorda i bei tempi di quando l’Arcivescovo era Cancelliere del Regno, tra belle e piacevoli feste, buon cibo e buon vino. Basterebbe poco per riacquistare il favore del re. Tommaso decisamente rifiuta. Il secondo tentatore vuol far riflettere l’Arcivescovo su come, rinunciando alle pretese  ecclesiastiche, ritornerebbe ad avere onori, potere e gloria. Tommaso resiste anche a queste tentazioni dicendo che “ciò che una volta poteva innalzarmi/ oggi potrebbe soltanto prostituirmi”.  

    Il terzo tentatore si presenta come un signore di campagna che dice: “Noi signori di campagna [i baroni] conosciamo questo paese,/ sappiamo noi quel che al paese occorre. / Siamo noi la spina dorsale della nazione inglese./ Noi, non gli intriganti parassiti/ che stanno intorno al Re”. Posto che, secondo lui,  Tommaso non ha nessuna speranza di riconciliarsi col re Enrico,  Tommaso potrebbe trovare altri amici con cui allearsi, cioè i baroni. Con un colpo ben assestato, potrebbe sistemare in una volta l’Inghilterra e Roma e porre fine alla tirannica giurisdizione della Corte del re sulla Corte del Vescovo e della Corte del Re sulla Corte dei baroni. Anche questa volta Tommaso non ci sta e non volendo esser partecipe di alcuna trama antimonarchica,  afferma che nessuno potrà mai dire che egli abbia tradito un re.

    All’ improvviso, poi, si presenta un inaspettato tentatore, il quarto. Ed è il più sottile perché conferma Tommaso nelle sue scelte come Arcivescovo. Quindi nessuna sottomissione al Re né trame coi  baroni. “Un re si fa presto a dimenticarlo/ quando un altro è salito sul trono:/ ma il Santo e il Martire regnano dalla tomba”. E qui il rifiuto non è  del tutto netto, perché  Tommaso è tentato nell’orgoglio spirituale. La prima parte si conclude con una diffusa attesa di morte nel coro, nei preti, nei tentatori. Conclude Tommaso: “Io non potrò più a lungo/ soffrire né agire, sino alla fine/ che mi darà la spada”.

L’omelia di Natale del 1170, tenuta nella Cattedrale di Canterbury, costituisce l’Intermezzo dell’opera teatrale. In essa Tommaso dà conto del contrasto tra gioia e dolore di questo giorno. C’è la gioia della ricorrenza, ma nello stesso tempo, celebrando la Messa, si fa rivivere la passione e la morte di Gesù Cristo. Sono solo i cristiani che possono insieme rallegrarsi e rattristarsi per questi misteri, non certo coloro che non credono. Se poi pensiamo che il giorno dopo il Natale si festeggia il primo martire, Santo Stefano, ci si rende ben conto di come noi cristiani ci rallegriamo e insieme ci rattristiamo per la morte dei martiri. Dolore per la morte e gioia per un nuovo santo in Paradiso. Nella parte finale dell’omelia, poi, dà risposta alle insinuazioni del quarto tentatore. Dice Tommaso: “Un martirio cristiano non avviene mai per caso, perché non si diventa Santi per caso. E ancor meno un martirio cristiano è l’effetto della volontà dell’uomo di diventare Santo. Un martirio è sempre un disegno di Dio per il suo amore per gli uomini, per avvertirli e guidarli, per riportarli sulla sua strada. Non è mai un disegno dell’uomo”.

    Con l’omelia di Natale e soprattutto con queste considerazioni ricevono luce le parole dette da Tommaso all’inizio della sua entrata in scena: “agire è soffrire e soffrire significa agire”.  Come non pensare a Nostro Signore che per aver agito con parole di verità e di amore e con segni prodigiosi come i miracoli, ricavò solo sofferenza e odio  da chi non voleva ascoltarlo. E come non pensare che la sua sofferenza in Croce fino alla morte costituì la più grande azione salvifica che mai abbia avuto l’intera umanità.

    Nell’attesa di un possibile amaro calice Tommaso si rimette in toto alla volontà di Dio.

Sabato, 3 agosto 2024

*T.S. ELIOT, Assassinio nella Cattedrale, Edizione a cura di Roberto Sanesi. Traduzione di Tommaso Giglio e Raffaele La Capria, Bompiani, Milano 2021.

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