Una riflessione su un recente viaggio importante nel Paese dove si scontrano due visioni del mondo
di Marco Invernizzi
Non leggo tutti i giornali, ma i non pochi che sfoglio tutte le mattine mi pare non abbiano dato grande rilievo alla visita del Segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, in Ucraina dal 19 al 23 luglio. Una visita pastorale, piena di incontri politici, ovviamente, ma anche e soprattutto una visita per mostrare la vicinanza del Papa al “popolo martoriato” che subisce un’aggressione sul suo territorio da due anni e mezzo, come ama ripetere Papa Francesco.
Se ne è accorto invece Paolo Mieli, in un editoriale del Corriere della Sera del 26 luglio. Mieli non è cristiano, la sua formazione culturale è certamente diversa da quella di chi si ispira alla dottrina sociale, ma è uomo che ama studiare, soprattutto la storia, e detesta il “parlare a vanvera”, cioè senza fondare quel che si vuole esprimere. Da questo punto di vista merita sempre di essere letto o ascoltato, anche quando non ci si trova d’accordo con le sue posizioni, perché si impara qualcosa.
Nel suo editoriale, Mieli ricorda come l’Ucraina sia rimasta sola in questo momento difficile della sua via crucis, trenta mesi dopo l’inizio dell’invasione. Gli Usa sono alle prese con una “brutta” campagna elettorale, con i contendenti impegnati a insultarsi e poco attenti all’Ucraina, mentre l’Europa è sempre più debole nella sua classe dirigente, rimasta la stessa dopo elezioni che l’hanno ridimensionata. La Chiesa, invece, si è mossa anche a livello diplomatico. Il Segretario di Stato, infatti, è il responsabile della politica estera della Chiesa, è secondo soltanto al Pontefice e la sua presenza in Ucraina ha avuto un ruolo simbolico importante, sia nei confronti delle istituzioni e del presidente Zelensky, che gli ha conferito un importante riconoscimento, l’Ordine al Merito, per sottolineare il «suo ruolo eccezionale nello sviluppo delle relazioni bilaterali nel sostegno all’Ucraina durante il terribile periodo dell’aggressione russa», sia nei confronti della popolazione (la minoranza cattolica, certamente, ma non solo). La diplomazia vaticana si muove senza grandi dichiarazioni, ma cercando di ottenere piccoli passi avanti, attraverso il dialogo, verso il raggiungimento della pace: il ritorno in Ucraina dei bambini rapiti dall’esercito russo, per cui si è particolarmente impegnato il card. Zuppi incontrando tutti i protagonisti della guerra mesi or sono; lo scambio dei prigionieri; l’aiuto materiale alla popolazione.
Ma perché l’Ucraina è rimasta sola, al di là delle motivazioni contingenti già indicate?
Proviamo a ricostruire gli ultimi due anni e mezzo. La Federazione Russa inizia l’“operazione militare speciale” nel febbraio 2022. Il presidente Zelensky rifiuta l’invito degli americani a lasciare il Paese per mettersi alla guida di un governo in esilio, probabilmente in Polonia, e rimane a combattere accanto al suo esercito e al suo popolo, che resistono sorprendentemente, ricacciando l’esercito invasore, che aveva conquistato addirittura l’aeroporto di Kiev, la capitale ucraina. I russi subiscono una sconfitta inaspettata e sono costretti a ritornare verso i propri confini, ma continuano a occupare il 20% del territorio ucraino, in una guerra di posizione che vede il fallimento della controffensiva ucraina e, negli ultimi mesi, la lenta conquista di villaggi nell’Ucraina orientale da parte russa. In questa guerra di posizione, l’Ucraina riceve aiuti dall’Europa e dagli Stati Uniti, peraltro mai decisivi per superare l’inerzia di una guerra di posizione. Nel frattempo, la popolazione soffre per i continui attacchi russi, con missili e droni che colpiscono obiettivi civili oltre che militari, ospedali, condomini, scuole e sedi istituzionali, anche chiese.
Ma resistere è faticoso e andare a combattere al fronte ancora di più. L’entusiasmo della prima ora, quando a centinaia di migliaia gli ucraini corsero ad arruolarsi, sta venendo meno. I soldati al fronte scarseggiano. La vita quotidiana è sempre difficile nella parte orientale del Paese, ma tutta l’Ucraina inevitabilmente ne risente.
La stanchezza arriva anche da noi, in Occidente, perché tutti capiscono che le risorse per aiutare l’Ucraina sono sottratte al benessere delle nostre nazioni. Altruismo e generosità, solidarietà e amore del prossimo in difficoltà sono virtù difficili, soprattutto sulla lunga distanza, al di là delle parole. Ma la guerra non è soltanto militare, è totale e la parte della propaganda è essenziale. E questa guerra “totale” l’Occidente la sta perdendo, per tanti motivi.
L’Occidente è gravemente ammalato. Lo si è visto all’inaugurazione blasfema e vergognosa delle Olimpiadi di Parigi, tra drag queen e sabotaggi, che hanno indicato il fallimento del “mondo senza Dio” che la laicité ha voluto costruire. Oggi la Francia è “alla frutta”, con una classe politica senza consenso, ma ancora capace di “giochetti” politici per impedire alla destra di governare. Ma soprattutto è una società senza valori: in nome di che cosa questo Occidente dovrebbe chiedere sacrifici per difendere l’Ucraina dall’aggressione russa? Per il diritto d’aborto in Costituzione? Per l’equiparazione del transessualismo alla sessualità naturale? Per fare nascere i bambini in laboratorio?
Questo Occidente sta morendo e istintivamente meriterebbe di essere lasciato morire, perché le sue attuali classi dirigenti egemoni, anche se non tutte, esprimono da molto tempo ideologie contrarie alle radici dell’umano sulle quali la civiltà occidentale è stata fondata. Nei secoli, queste ideologie sono penetrate nel corpo sociale, ma resistono minoranze virtuose, che cercano di opporsi a questa scristianizzazione. Per queste minoranze virtuose, fra cui la Chiesa cattolica, l’Occidente va aiutato a non morire e va difeso dai nemici esterni, che esprimono ideologie peggiori di quelle che dicono di voler combattere contro l’Occidente “satanista”, mentre all’interno bisogna lavorare per una “nuova evangelizzazione”, soprattutto della cultura e del senso comune, contro la cancel culture e il relativismo.
E’ evidente che un Occidente così ridotto fatica a impegnarsi per una lotta di lungo periodo, difficile e dispendiosa, come quella del sostegno al popolo ucraino. E’ evidente che quello che Samuel Huntigton (1927-2008) definì come uno “scontro di civiltà” successivo al 1989, oggi è diventato uno scontro fra sistemi dittatoriali, che vogliono imporre un “nuovo assetto mondiale” che sostituisca il primato occidentale. Sarebbe un drammatico passaggio dall’egemonia di un mondo fondato sulla libertà (compresi, purtroppo, un’interpretazione e un uso relativistico della libertà) all’egemonia di Paesi come Cina e Corea del Nord, esplicitamente totalitari, fondamentalisti come l’Iran oppure, come la Russia, fondati su un “nazionalismo ortodosso”, basato su un sistema politico che non prevede spazi di libertà per chi contesta il regime putiniano.
L’Ucraina c’entra con questo conflitto internazionale. Si tratta di scegliere, anche a Kiev, quale sistema politico preferire, se quello fondato sulla libertà oppure l’altro, che la libertà non prevede. In Ucraina, con ogni evidenza, si stanno scontrando queste due visioni del mondo. Oggi, come durante la Guerra fredda, la domanda rimane la stessa: chi offre tra i due sistemi maggiore libertà perché la popolazione possa scegliere come vivere e, per quanto riguarda i cristiani, in quale sistema sarebbe più facile proporre la“nuova evangelizzazione”?
Mercoledì, 31 luglio 2024