Lorenzo Cantoni, Cristianità n. 425 (2024)
Il testo riprende e amplia un intervento di Lorenzo Cantoni — professore ordinario presso l’USI-Università della Svizzera italiana a Lugano, Facoltà di comunicazione, cultura e società, dov’è direttore dell’Istituto di Tecnologie Digitali per la Comunicazione — in occasione di Confraternite: tra sfide e opportunità. Convegno teologico internazionale sull’attualità delle Confraternite per la Chiesa e la società, organizzato dalla Facoltà di Teologia di Lugano nei giorni 21-23 settembre 2023. Il video dell’intervento è disponibile all’indirizzo <https://youtu.be/qDPc75kieEw> (gli indirizzi internet dell’intero articolo sono stati consultati il 4-3-2024).
Introduzione
Per comprendere il senso dell’abito — o del «sacco» (1) — confraternale è necessario, a mio avviso, comprendere anzitutto l’importanza dell’abito in generale, di «ogni» abito, e accostare poi il tema alla luce dell’insegnamento cristiano. Solo così, con queste necessarie premesse, il tema potrà acquisire il suo valore profondo e potrà essere affrontato andando ben oltre una pura curiosità folclorica o un divertissement storico. Solo così la riflessione sull’abito confraternale potrà collocarsi a pieno titolo entro un ripensamento profondo, per certi aspetti «radicale», del senso e della ricchezza delle confraternite nella loro storia secolare e di fronte alle sfide della contemporaneità (2).
La riflessione si articolerà come segue: affronterà anzitutto le ragioni del vestire, per poi offrirne una mappa capace di coprire realtà così differenti come la cosmesi, la moda indumentaria e gli accessori, l’home décor e gli stili di vita. Il paragrafo successivo accosterà il tema del vestire nel Nuovo Testamento, incontrandovi sia una grande ricchezza di riferimenti e di sensi, sia un esperto d’eccezione nel settore: Paolo di Tarso, σκηνοποιός τῇ τέχνῃ, di mestiere fabbricatore di tende (At. 18,3).
L’ultimo paragrafo, una volta poste le basi per la riflessione sul tema e la sua valorizzazione, accosterà brevemente l’abito confraternale, indicando i legami con i paragrafi precedenti e suggerendo percorsi di riflessione e di approfondimento in linea con essi.
1. Perché ci vestiamo?
Tutte e tutti noi siamo nati nudi (3). Purtuttavia, tutti ci vestiamo e trascorriamo la più parte della nostra vita vestiti in qualche modo. Perché? Vi sono tre motivi principali (4).
Anzitutto «per pudore»: copriamo i genitali e altre parti del corpo. In qualche modo temiamo che altri possano scambiare quello che di noi si può vedere e toccare per «il tutto di noi». Vi sono naturalmente eccezioni. Pensiamo, per esempio, ai bambini accuditi dai loro genitori, o alla relazione fra i coniugi: casi in cui l’amore fa superare il timore di questo fraintendimento fra la corporeità e la totalità della persona in tutte le sue dimensioni e nella sua storia (5). Il fenomeno del pudore è specifico degli esseri umani: lo troviamo presso tutte le comunità, ancorché interpretato secondo modalità culturalmente differenti; al contrario, nessun animale si sente a disagio esponendosi nella sua corporeità integrale.
In secondo luogo, ci vestiamo «per ragioni funzionali». Il nostro corpo deve essere protetto dal caldo e dal freddo, dalla pioggia e dalle asperità del terreno. Da qui nascono indumenti e accessori, disegnati per adattarsi da un lato al corpo di ciascuno, dall’altro alle diverse condizioni ambientali e operative.
Si tratta di un insieme molto ricco, dovuto — ed è la terza ragione — anche al «desiderio di esprimere e comunicare agli altri qualcosa su noi stessi».
Riassumendo, il vestire è sempre collegato, in qualche modo, con la stessa natura umana, quella di un essere vivente razionale e spirituale: ci vestiamo infatti a) per «svelare» che siamo più del nostro corpo, che in parte ci rappresenta e in parte no — «pudore»; b) per adattarci, grazie all’intelligenza, a contesti in cui altrimenti non potremmo vivere confortevolmente — «dimensione funzionale»; c) per esprimere e comunicare i nostri valori, il nostro stile, i nostri gusti e sentimenti, il nostro stato sociale — «dimensione espressivo-comunicativa» entro le varie culture (6).
1.1 Abito: una mappa semantica
Benché il termine «abito» abbia come primo referente il vestito, conviene qui approfondirne la comprensione, così da far emergere un’area semantica particolarmente ricca e intrigante. L’etimologia stessa del termine «abito» e quella altrettanto rilevante di «cosmesi» ci guideranno in questo.
«Abito» deriva dal verbo latino habere, avere, come suo frequentativo: ciò che si ha abitualmente. Lo possiamo riferire ai vestiti, ma anche all’ambiente in cui viviamo: habitat; al luogo in cui dimoriamo: abitazione; o al nostro stile di vita: abitudine (un legame che troviamo anche fra costume=indumento e costume=pratica).
«Cosmesi» deriva invece dal verbo greco kosméo, che si riferisce a una realtà ordinata — un cosmo, appunto — e si poteva usare nei contesti in cui oggi lo usiamo, ma anche in riferimento alla preparazione di lottatori e soldati per il combattimento, o nella disposizione dell’arredamento domestico.
Possiamo qui accennare anche alla storia di due altri termini molto importanti rispetto alla nostra riflessione: fashion e moda. Il primo, che si è attestato come il termine di maggiore diffusione oggi a livello internazionale, deriva dal francese façon, che a sua volta deriva dal latino facere e indica «il modo in cui una cosa è (fatta)». Si tratta non solo della dimensione descrittiva — un indumento è fatto così —, ma include anche una dimensione prescrittiva, che indica come dovrebbe essere fatto, quando è fashionable o no. Lo stesso troviamo in moda, dal latino modus, che include l’indicazione della giusta misura, come in est modus in rebus.
La tensione fra descrittivo e prescrittivo la troviamo — per concludere questa breve esplorazione — nel campo semantico di conciare/acconciare. Indica mettere ciascun elemento al suo posto. Un atto di valore estetico, per esempio rispetto ai capelli: «acconciatura», e insieme l’atto proprio della virtù della giustizia: unicuique suum tribuere («dare a ciascuno il suo»). Ci ricorda il legame profondo tra il vero/buono/giusto e il bello e, insieme, che si tratta di un equilibrio estremamente delicato, a rischio di cadere nel suo opposto, nell’antifrasi: dall’essere acconciato all’esser «conciato».
Possiamo creare così una mappa che ordini le varie dimensioni lungo una linea spaziale, che va dal corpo umano fino alle pratiche sociali:
Quattro livelli in cui si articola il mondo del fashion (7).
Nel cerchio più interno (A) abbiamo tutto ciò che va dalla pelle verso l’interno, cosmesi, pettinatura, tatuaggi e così via. Nel cerchio successivo (B) troviamo ciò che è a contatto con la pelle: vestiti e accessori. Nel terzo cerchio (C) troviamo tutti gli elementi tessili e in pelle che ci circondano: è il settore, per esempio, dell’home décor o del car interior. Nel cerchio più esterno (D) incontriamo le pratiche sociali e gli stili di vita, le «abitudini».
1.2 Un testo di san Francesco
Una preghiera di san Francesco di Assisi (1181/1182-1226) ci può aiutare a riassumere alcune delle dimensioni appena viste. Si tratta del Saluto alla Vergine, di cui conviene leggere il passaggio centrale:
«Ave, suo palazzo,
ave, suo tabernacolo,
ave, sua casa.
Ave, suo vestimento,
ave, sua ancella,
ave, sua Madre» (8).
Vi possiamo incontrare anzitutto (A e B) la dimensione della verginità e della maternità come «abito»: il corpo della madre acquista una nuova forma mentre il bimbo si forma nel suo grembo. V’incontriamo poi (C) la dimensione della tenda — in latino tabernaculum — in cui tappeti e pelli accolgono chi vi abita, tenda che è anche casa e palazzo. La maternità di Maria è poi (D) legata al suo essere profondo, come leggiamo più avanti: «Tu in cui fu ed è ogni pienezza di grazia e ogni bene» e richiama alle «sante virtù», abitudini di fare il bene (habitus in latino e habits in inglese).
La preghiera alla Vergine di san Francesco d’Assisi, un santo che ben conosceva il mondo dei tessuti e degli abiti, ci introduce al tema del prossimo paragrafo.
2. Abito e cristianesimo. Una lettura di alcuni passi biblici
In questo paragrafo rifletteremo su alcune dimensioni dell’abito e del vestire nel Nuovo Testamento (9), in particolare nei Vangeli e nei testi paolini. Per farlo, però, dovremo incontrare la radice stessa del racconto sui vestiti nella Bibbia, che si situa all’origine della creazione dell’essere umano e che troviamo nel capitolo terzo del libro della Genesi.
2.1 Il racconto della caduta
Dopo la creazione dell’uomo e della donna, e immediatamente dopo la loro disobbedienza, «[…] si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture» (Gn. 3,7); i progenitori vengono quindi allontanati dal giardino dell’Eden, ma prima il «Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì» (Gn. 3,21).
Un’immagine del secolo XVII, di autore anonimo, dipinta nel sotto-coro della chiesa di san Francesco a Quito, in Ecuador, rappresenta in modo molto vivo, e inconsueto, Dio come primo fashion designer.
Anonimo, Dio veste Adamo ed Eva, chiesa di san Francesco,
Quito, Ecuador, sec. XVII (10).
Se rileggiamo ciò alla luce di quanto proposto sopra, in riferimento alle ragioni del vestire, troviamo in questa narrazione anzitutto (A) l’origine del pudore: il corpo non ci rappresenta più adeguatamente (11); (B) la dimensione funzionale come origine della necessità degli abiti perché il contesto in cui viviamo non è più quello del giardino dell’Eden, ma un contesto ostile, che produce «spine e cardi». Incontriamo anche, poco più avanti, nel racconto di Caino, (A) un marchio sul corpo (un tatuaggio?) per (C) esprimere/comunicare la nostra realtà profonda agli altri: «Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato» (Gn. 4,15). In verità anche il racconto di Genesi 3 può suggerirci questa dimensione espressivo-comunicativa, presentando due tipi di abito, l’uno un perizoma di origine vegetale, l’altro una tunica di origine animale (12).
2.2 Alcuni testi evangelici
Se passiamo ora ai Vangeli, possiamo trovare numerosi punti in cui si parla di tessuti e vestiti, benché meno frequenti rispetto ai riferimenti agli ambiti esperienziali dell’agricoltura, della pastorizia e della pesca.
2.2.1 Fra eccesso, sobrietà e manifestazione
Troviamo fin dall’inizio le fasce in cui Maria avvolge il Bambino appena nato (Lc. 2,7 e 12) e i doni dell’oro, dell’incenso e della mirra (Mt. 2,11) portati dai re magi.
Leggiamo informazioni sugli abiti di Giovanni il Battista, che vestiva di peli di cammello (Mt. 3,4; Mc. 1,6), in modo così diverso rispetto agli abiti di lusso indossati da chi abita nei palazzi dei re (Mt. 11,8; Lc. 7, 25) e all’esibizione dei farisei, che «[…] allargano i loro filattèri e allungano le frange» (Mt. 23,5; Mc. 12,38; Lc. 20,46).
La critica a chi dissimula la propria meschinità interiore con un’apparenza esteriore molto curata — frequente nella Bibbia e nella riflessione della Chiesa — si trova anche nella parabola del povero Lazzaro, ignorato e disprezzato da un «uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo» (Lc. 16,19). L’abito può anche ostacolare il movimento, come la cecità impedisce la vista: vediamo così Bartimeo che, «[…] gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù» (Mc. 10,50).
La sobrietà è dunque raccomandata al discepolo inviato a evangelizzare, che non deve procurarsi «né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone» (Mt. 10,10; Mc. 6,9; Lc. 9,3), anzi, non dovrà «rifiutare neanche la tunica» a chi gli strappa il mantello (cfr. Lc. 6,29; Mt. 5,40). Vestire le persone nude è peraltro una delle condizioni per entrare nel regno dei cieli: nel giudizio finale «[…] il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché […] [ero] nudo e mi avete vestito”» (Mt. 25,34-36). Dunque, del vestito, altrui e nostro, dobbiamo occuparci, ma non preoccuparci: «Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure, io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “[…] Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno» (Mt. 6, 28-32; Lc. 12,22-28).
Gesù mostra di conoscere di prima mano le attività della tessitura e della cucitura, cui fa riferimento quando osserva che «nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo strappo diventa peggiore» (Mt. 9,16; Mc. 2,21; Lc. 5,36).
L’abito non è una mera aggiunta esterna al corpo: attraverso di esso Gesù trasmette una potenza che guarisce e salva, come nel caso della donna «[…] che aveva perdite di sangue da dodici anni […] [che] udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”. E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi ha toccato le mie vesti?”» (Mc. 5,25-30; Mt. 9,20-22; Lc. 8,43-48). Per questo «là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati» (Mc. 6,56; Mt. 14,36). La sua gloria è anticipata sul monte Tabor, dove «le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche» (Mc. 9,3; Mt. 17,2; Lc. 9,29).
2.2.2 L’abito della festa
In due parabole l’abito — quello della festa — svolge un ruolo fondamentale: la parabola dell’invito alle nozze da parte del re, e quella del padre buono e del figlio prodigo. Nella prima, indossare l’abito nuziale è una condizione essenziale per partecipare al banchetto: «Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”» (Mt. 22,11-13). Nella seconda, quando il figlio gli chiede perdono, il padre — che lo aveva visto da lontano, ne aveva avuto compassione, gli era corso incontro e lo aveva abbracciato e baciato — non risponde direttamente, ma dice ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi» (Lc. 15,22). Qui l’abito, nella sua dimensione espressivo-comunicativa, diventa parte a pieno titolo del dialogo tra il figlio e il padre.
2.2.3 I racconti della Passione
Nei racconti della Passione troviamo numerosi riferimenti di tipo indumentario: dalla lavanda dei piedi dell’ultima cena (13), in cui Gesù «[…] si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto» (Gv. 13,4-5), fino al ragazzo — probabilmente il giovane Marco — che segue Gesù fatto prigioniero, e scappa nudo dai soldati lasciando loro in mano il lenzuolo in cui era avvolto (Mc. 14,51-52); dal sommo sacerdote che si strappa gli abiti dichiarando Gesù colpevole (Mt. 26,65; Mc.14,63), all’abito bianco con cui lo riveste Erode Antipa (20 a.C.-dopo il 39) (Lc. 23,11), alla clamide rossa che gli pongono indosso i soldati della guarnigione romana, che gli impongono anche — accessori tipici della regalità — una corona e uno scettro (Gv. 19,1 e 5; Mt. 27,28-30; Mc. 15,17-19). Dai colpi di flagello che ne sfigurano il corpo all’essere rivestito e presentato alla folla: «ecco l’uomo!» (Gv. 19,5). Dalla spoliazione sul Golgota, dove i quattro soldati che eseguono la condanna «presero le sue vesti, ne fecero quattro parti — una per ciascun soldato —, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: “Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca”» (Gv. 19,23-24), compiendo così la profezia scritturale (Sal. 22 [21],19); fino al velo del tempio che «si squarciò in due, da cima a fondo» (Mt. 27,51; Mc. 15,38; Lc. 23,45).
Gesù morto è deposto dalla croce: Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo «lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura» (Gv. 19,40; Mt. 27,59; Mc. 15,46; Lc. 23,53).
Poco prima della Passione troviamo un episodio particolarmente commovente, che riguarda proprio la dimensione cosmetica e viene interpretato da Gesù come anticipazione della sua sepoltura: «Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre egli stava a tavola. I discepoli, vedendo ciò, si sdegnarono e dissero: “Perché questo spreco? Si poteva venderlo per molto denaro e darlo ai poveri!”. Ma Gesù se ne accorse e disse loro: “Perché infastidite questa donna? Ella ha compiuto un’azione buona verso di me”» (Mt. 26,6-10; Mc. 14,3-9). Benché la traduzione italiana qualifichi quel gesto come «buono», il testo originale greco lo indica come kalòn, bello: «ἔργον γὰρ καλὸν ἠργάσατο εἰς ἐμέ» («érgon gár kalón irgásato eis emé», «Perché in me è stata fatta una buona opera») (14).
Le fasce, il sudario e la sindone nel sepolcro vuoto, e angeli «in bianche vesti» (Gv. 20,12) saranno poi i primi segni della Resurrezione.
2.3 Paolo di Tarso, σκηνοποιὸς (skenopoios)
Abbiamo incontrato il tema dell’abito all’inizio del racconto biblico e lo incontriamo anche al termine, nel libro dell’Apocalisse, dove Giovanni vede — in un’immagine cosmico-cosmetica: «un cielo nuovo e una terra nuova» (Ap. 21,1) — «la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap. 21,2).
Non è possibile qui incontrare in modo esaustivo gli altri testi rilevanti del Nuovo Testamento, conviene però leggere ancora alcuni testi paolini, sia per la loro ricchezza e per quanto ci possono insegnare rispetto agli abiti confraternali, sia perché Paolo di Tarso era un esperto di ciò che qui ci occupa: era infatti di mestiere fabbricante di tende, come impariamo dagli Atti degli Apostoli (18,3).
2.3.1 Passa infatti la scena di questo mondo!
Possiamo ritenere che si trattasse di tende fatte di pelli conciate, utili dunque all’abitare (come abbiamo visto nella preghiera di san Francesco), ma usate anche nel mondo della scenografia teatrale, da cui egli riprenderà l’immagine apocalittica «passa infatti la scena di questo mondo!», «παράγει γὰρ τὸ σχῆμα τοῦ κόσμου τούτου» («parágei gár tó schíma toú kósmou toútou») (1Cor. 7,31). L’immagine della chiusura del sipario di questo mondo la troviamo, per esempio, nella raffigurazione del giudizio universale che Giotto (1267-1337) dipinge nella Cappella degli Scrovegni, in cui due angeli in alto arrotolano lo scenario (15).
Giotto di Bondone, Giudizio universale, affresco, Cappella degli Scrovegni
(Padova), 1306 (16)
2.3.2 Cristo/abito
San Paolo a più riprese parla della necessità di rivestirci di Cristo: «Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri» (Rm. 13,14), «poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo» (Gal. 3,27). Il cristiano, dunque, «indossa» il Signore Gesù, immergendosi — è questo uno dei sensi del verbo greco ἐνδύω (indossare) — nella sua vita, fino al punto di avere i suoi stessi sentimenti (Fil. 2,5) e di poter dire «Per me infatti il vivere è Cristo» (Fil. 1,21).
Il cristiano deve dunque «rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera» (Ef. 4,24); è necessario, infatti, che questo «corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità» (1Cor. 15,53).
In questo essere rivestiti di Cristo troviamo il collegamento con il corpo considerato come tenda: «Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò, in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi. In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita» (2Cor. 5,1-4).
2.3.3 Lo specchio, il profumo e il corpo
San Paolo richiama tre elementi legati all’area semantica della cosmesi: lo specchio, il profumo, l’esercizio fisico. «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (1Cor. 13,12); «Siano rese grazie a Dio, il quale ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza nel mondo intero! Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo fra quelli che si salvano e fra quelli che si perdono; per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odori di vita per la vita» (2Cor. 2,14-16).
San Paolo fa riferimento anche agli atleti impegnati in un costante esercizio inteso a temprare il corpo: «ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato» (1Cor. 9,25-27).
2.3.4 Un’«armatura» per la «buona battaglia»
Alla cosmesi, come accennato sopra, apparteneva anche la preparazione dei lottatori e dei soldati. San Paolo si riferisce alla vita come a una milizia — «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» (2Ti. 4,7; cfr. Giob, 1,1) — e propone un parallelo dettagliato fra l’armatura di un soldato e la vita in Cristo: «Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia, infatti, non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove. State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio» (Ef. 6,11-17).
* * *
Dopo aver considerato il senso del vestire in generale, il ruolo e i sensi che esso assume in alcuni brani biblici, possiamo accostarci con maggiore consapevolezza agli abiti confraternali, per accennare ai loro significati e disegnare un percorso di ricerca che li incontri nel loro senso profondo.
3. Gli abiti confraternali
In questa sezione accosteremo brevemente gli abiti confraternali (17) secondo le tre principali ragioni del vestire: pudore, funzione, espressione-comunicazione.
3.1 Pudore
L’abito, o manto, cappa, sacco, veste confraternale, è eminentemente una sopravveste, indossata dunque sopra gli abiti ordinari. In tal senso, non è possibile associarvi un obiettivo diretto in relazione al pudore. Purtuttavia, indirettamente, lo può richiamare, almeno a due livelli.
In primo luogo, se consideriamo la pratica diffusa in molte confraternite di rivestire i corpi dei confratelli morti con gli abiti confraternali, possiamo riconoscere un pudore «secondario» rispetto agli abiti che indossiamo ordinariamente: nella dimensione spirituale l’abito ordinario — come il corpo — non ci rappresenta; solo l’abito della virtù, quello che ricorda il Battesimo e le sue promesse è tale da permetterci di accostarci al giudizio senza vergogna. Rivestirci dell’abito confraternale è, dunque, rivestirci di Cristo, come abbiamo visto sopra, nell’insegnamento di Paolo di Tarso. Di lui il confratello non si è vergognato sulla terra, perché Cristo non si vergogni di lui nel giudizio: «Perché se uno si sarà vergognato di me e delle mie parole in questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui quando verrà nella gloria del Padre suo con i santi angeli» (Mc. 8,38; Lc. 9,26). Si tratta, al giudizio della giustizia e della misericordia, di presentarsi come Giacobbe, rivestito secondo le istruzioni della madre Rebecca, di fronte al padre Isacco per ottenerne la benedizione (cfr. Gn. 27).
In secondo luogo, l’abito confraternale può coprire, in alcuni casi, il corpo completamente, incluso il capo e le mani, con il cappuccio e i guanti. Tale nascondimento può corrispondere a una sorta di pudore rispetto all’essere riconosciuti nell’esercizio delle virtù, così da non perdere la ricompensa celeste. Tale completa anonimizzazione del confratello corrisponderebbe al comando evangelico: «Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere osservati da loro; altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli» (Mt. 6, 1), comando declinato secondo le tre attività proprie delle confraternite: elemosina, preghiera e digiuno (Mt. 6,2-16), che vanno realizzate nel nascondimento, cosicché il Padre, che vede nel segreto, possa dare la ricompensa. In alcuni casi, l’abito presenta una manica più lunga dell’altra (18), a ricordare al confratello che «quando tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra» (Mt. 6,3).
3.2 Funzione
La dimensione funzionale dell’abito confraternale si esprime soprattutto rispetto ad alcuni ambiti di attività. In particolare, nella pratica dell’assistenza ai malati — tipica, per esempio, delle Misericordie — e ai moribondi, ha avuto una funzione di tutela dell’igiene, che proseguirà poi nel camice del personale sanitario.
Un’altra dimensione funzionale può essere ravvisata nelle tuniche predisposte per poter scoprire una parte del corpo — la schiena in particolare — così da poterla colpire con un flagello o con un altro strumento di penitenza.
Certamente, per la sua natura, l’abito confraternale svolge il suo ruolo principalmente nella dimensione espressivo-comunicativa, di cui ci dobbiamo ora brevemente occupare.
3.3 Espressione/comunicazione
Se, come abbiamo visto poco sopra, l’umiltà (19) chiede di non manifestare la persona che digiuna, prega o pratica la misericordia, il confratello sa che è bene che le opere stesse siano invece viste: «risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli» (Mt. 5,16). L’abito confraternale deve quindi essere visibile e riconoscibile, non per dar gloria a chi lo indossa, ma a Colui per cui esso viene indossato.
Le sue varie componenti, i materiali, la loro foggia e colore esprimono e comunicano la missione della Confraternita e l’adesione di chi l’indossa a essa, al suo spirito e alle sue pratiche. L’abito diventa, in qualche modo, anche un’uniforme.
L’abito confraternale viene indossato solo in seguito a un rito di vestizione (20), che ne sottolinea il significato spirituale e richiama alla dimensione comunitaria: confraternale, appunto.
Con l’abito i confratelli e le consorelle hanno indossato Cristo. Si tratta di un gesto non solo rivolto all’esterno, alla comunità a cui aderiscono — la confraternita — e alla società in cui intendono operare, ma anche rivolto all’interno: a ricordarsi lo stile di vita dei discepoli di Cristo. È l’abito delle nozze predisposto per l’incontro eterno, con cui si presenteranno al giudizio del loro Signore quanti si sono occupati del Regno di Dio piuttosto che di che cosa mangiare e di come vestire. Una veste che ricorda anche l’abito che il Signore stesso indosserà per loro: «si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc. 12, 37).
* * *
A questo punto, e con queste premesse, si può sviluppare una ricerca storica avveduta, che consideri le modalità concrete in cui ogni confraternita ha sviluppato i propri abiti, e insieme non dimentichi gli obiettivi spirituali, comunicativi e funzionali per cui sono stati sviluppati.
Note:
1) Cfr. Gian Paolo Vigo, Il sacco. Genesi, carattere e dignità dell’abito confraternale, Arciconfraternita Santa Croce, Lucera (Foggia) 2009.
2) Cfr. Mons. Michele Pennisi, «Le confraternite fra passato e presente», in Cristianità, anno LI, luglio-agosto 2023, n. 422, pp. 39-49.
3) Nel testo userò il genere grammaticale maschile nella sua accezione inclusiva o neutra, per riferirmi sia a uomini che a donne.
4) Cfr. Nadzeya Kalbaska, Teresa Sádaba e Lorenzo Cantoni, Fashion communication: Between tradition and digital transformation, in Studies in Communication Sciences, vol. 18, n. 2, 2018, pp. 269-285.
5) Cfr. Karol Wojtyła (1920-2005), Amore e responsabilità, trad. it., Marietti, Torino 1978, pp. 161-178.
6) Cfr. L. Cantoni, Scarpe da favola: favole e scarpe, in Scarpe da favola, Assocalzaturifici, Milano 2022, pp. 6-16; e Alice Noris e L. Cantoni, Digital Fashion Communication: An (Inter)cultural Perspective, Brill, Leida (Paesi Bassi) 2022.
7) Adattato da A. Noris e L. Cantoni, art. cit., p. 4.
8) Francesco d’Assisi, Saluto alla Vergine, in Ernesto Caroli (a cura di), Fonti Francescane, Edizioni Messaggero, Padova 1996, nn. 259-260.
9) Cfr. sui vari temi, le voci rilevanti in Gerhard Kittel (1888-1948) e Gerhard Friedrich, Grande Lessico del Nuovo Testamento, trad. it., Paideia, Brescia 1979; cfr. anche Alberto Fabio Ambrosio, Dio tre volte sarto. Moda, chiesa e teologia, Mimesis, Milano 2020; e Moda e religioni. Vestire il sacro, sacralizzare il look, Bruno Mondadori, Milano 2022.
10) Nel sito web <https://colonialart.org/artworks/2097B/artwork_zoom>.
11) Cfr. Giovanni Paolo II (1978-2005), Udienza generale del 28-5-1980.
12) Cfr., per una suggestiva interpretazione simbolica del rapporto fra fibre vegetali e animali nelle tradizioni antiche e nel cristianesimo, Attilio Mordini (1923-1966), «Il simbolismo della tessitura», in Laniera, anno 80, n. 10, 1966, pp. 1165-1174.
13) Per quanto concerne l’arredamento — sopra individuato come il terzo cerchio concentrico del mondo del fashion — possiamo osservare che ciò avviene in una grande sala arredata «con i tappeti» o stuoie (Mc. 14,15; Lc. 22,12), e che giorni prima, all’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme, i discepoli stendono i loro mantelli sul puledro, e una folla di persone osannanti stende «i suoi mantelli sulla strada» (Mt. 21,8; Mc. 7-8; Lc. 19,35-36).
14) Osservo qui a margine che anche questa breve riflessione contribuisce a realizzare la profezia che Gesù pronuncia subito dopo: «In verità io vi dico: dovunque sarà annunciato questo Vangelo, nel mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche ciò che ella ha fatto» (Mt. 26,13).
15) È interessante osservare che la King James Bible, nel secolo XVII, traduce il passo così: «for the fashion of this world passeth away» (corsivo aggiunto). Il riferimento è anche alla chiusura di un rotolo, come in Ap. 6,14: «Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge, e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto».
16) Nel sito web <https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/ef/Giotto_di_Bondone_-_Last_Judgment_-_WGA09228.jpg>.
17) Per il Canton Ticino, confronta le opere fondamentali di Davide Adamoli, Confraternite della Svizzera italiana. Storia di una presenza dal 1291 a oggi, 2 voll., Ritter Edizioni, Lugano (Svizzera) 2015; e «Sotto la protecione del Glorioso Santo Carlo Borromeo» ovvero 400 anni di vita di una confraternita luganese, Fontana Edizioni, Pregassona-Lugano 2020. Per altri contesti, cfr. per esempio, sugli abiti liturgici, Giovanni Pozzi, Il vestiario liturgico fra simbolismo e devozione, in Annalisa Galizia (a cura di), I riti e le stoffe. Vesti liturgiche e apparati processionali nel Canton Ticino dal XV al XIX secolo, Fidia Edizioni d’Arte, Rancate 2002, pp. 15-23, e sulle Confraternite della Sicilia centrale Alessandro Rovello e Giuseppe D’Anna, L’abito della Fraternità. Le Confraternite del Centro Sicilia. Riflessioni e immagini, Edizioni Lussografica, Caltanissetta 2020.
18) Cfr. G. P. Vigo, Il sacco. Genesi, carattere e dignità dell’abito confraternale, cit., p. 49.
19) Il tema dell’umiltà e la sua area semantica meriterebbero una trattazione a sé. Conviene qui menzionare che in numerosi testi del Nuovo Testamento si usano termini legati a tapeinos (cfr. G. Kittel e G. Friedrich, op. cit.) — piccolo, basso, sotto-messo — probabilmente legato all’origine del termine «tappeto».
20) Cfr. don Simone Imperiosi, La vestizione. Nuovo iter di preparazione alla celebrazione del rito. Proposte di accoglienza dei nuovi volontari e Confratelli, Confederazione Nazionale Misericordie d’Italia e Masso delle Fate Edizioni, Signa (Firenze) 2015.