Di Wlodzimierz Redzioch da Acistampa del 14/08/2024
Nel 1917 nella Russia zarista scoppiò la rivoluzione che rovesciò lo zar e avviò il processo di nascita di uno stato comunista. Ma i comunisti russi guidati da Lenin voleva espandere la loro ideologia in tutto il mondo cominciando con la conquista dell’Europa. Come proclamava il comandante sovietico Michail Tuchačevskij: “La via della rivoluzione mondiale passa sul cadavere della Polonia Bianca. Sulle nostre baionette porteremo la felicità e la pace alle masse lavoratrici. Mettiamoci in marcia verso l’Occidente!” Una volta conquistata la Polonia, le truppe comuniste avrebbero proseguito verso la Germania e, a sud, verso la Cecoslovacchia, l’Ungheria e l’Italia.La Polonia, in seguito alle tre spartizioni avvenute fra il 1772 e il 1795 ad opera dei tre potenti imperi vicini (il russo, il prussiano e l’austro-ungarico), sparì dalla mappa dell’Europa. Riconquistò la sua sovranità nazionale il 18 novembre 1918, ma l’indipendenza del Paese fu subito minacciata dalla Russia comunista. Nell’estate del 1920 l’Armata Rossa avanzò minacciosamente verso il fiume Vistola, fino alle porte della capitale polacca, Varsavia. In Polonia ci fu una grande mobilitazione della popolazione: tutti coloro che erano idonei si arruolavano nell’esercito polacco; chi non poteva combattere e rimaneva a casa, pregava. In questa drammatica situazione i vescovi polacchi, per smuovere le coscienze di tutti, inviarono alcune lettere alla nazione, agli episcopati del mondo intero e al Papa, chiedendo a Benedetto XV preghiere e benedizioni per la Polonia minacciata dai bolscevichi. I sacerdoti stavano anche a fianco dei soldati polacchi. Alla storia è passato soprattutto uno di loro, padre Ignacy Skorupka, cappellano del 236° reggimento della fanteria, composto da volontari. Padre Skorupka partecipò alla battaglia di Varsavia indossando sempre la sua talare: con la croce in mano come unica arma, coraggiosamente guidò i giovani volontari al contratto delle linee nemiche, trovando la morte.L’esercito polacco era guidato dal maresciallo Jozef Piłsudski che si rendeva conto del pericolo mortale che il comunismo era per l’Europa: difendendo la patria, difendeva la civiltà europea. Tuttavia, il capo del giovane esercito polacco si trovava in una situazione difficilissima: il suo esercito si era dovuto ritirare di 500 km davanti all’avanzata dei russi. Il maresciallo era consapevole che non aveva abbastanza soldati per fermare quasi due milioni di soldati bolscevichi. Perciò si inventò un piano, rischioso ma geniale perché non previsto dai comandanti russi: attaccò il fianco scoperto dell’Armata Rossa a sud di Varsavia. E la manovra riuscì perfettamente: i soldati russi, sorpresi da questo attacco audace, cominciarono a perdere terreno e furono sconfitti, prima ancora di potersi riorganizzare. La vittoria dell’esercito polacco alle porte di Varsavia fu chiamata subito il «miracolo sulla Vistola». In quel drammatico periodo della minaccia comunista un ruolo importantissimo svolse il nunzio apostolico a Varsavia mons. Achille Ratti. Il 25 aprile 1918 Benedetto XV nominò l’allora prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, visitatore apostolico per la Polonia. L’anno successivo mons. Ratti divenne ufficialmente il primo nunzio apostolico nella Polonia rinata. Nei mesi terribili dell’estate 1920, con i bolscevichi a pochi chilometri da Varsavia, mons. Achille Ratti rimase nella Nunziatura: fu, infatti, l’unico diplomatico che nell’agosto del 1920 non lasciò la capitale, mentre gli altri ambasciatori fuggivano spaventati. Mons. Ratti partecipava attivamente alle preghiere organizzate durante la battaglia sulla Vistola. Fece anche un gesto molto coraggioso e simbolico, che sollevò il morale dei combattenti: si recò a Radzymin, sulla linea del fronte, mentre la battaglia infuriava, allo scopo di far sentire la sua vicinanza ai soldati polacchi. Egli sapeva bene qual era la vera posta in gioco della guerra, dicendo che «un angelo delle tenebre stava conducendo una gigantesca battaglia con l’angelo della luce»: per Papa Ratti la Polonia sarebbe sempre rimasta un «antemurale dell’Europa e del cristianesimo».AdvertisementQuest’anno, il 13 agosto, il successore di mons. Ratti, mons. Antonio Guido Filipazzi, attuale Nunzio Apostolico in Polonia, ha iniziato i principali festeggiamenti in ricordo del “miracolo sulla Vistola” celebrando una solenne Santa Messa presso il Santuario di Nostra Signora delle Vittorie a Kamionek. L’Eucaristia è stata celebrata in un posto particolare: il 13 del memorabile agosto del 1920, fu di lì, che p. Ignacy Skorupka partì per la battaglia, dopo aver celebrato la Messa per i volontari del reggimento di fanteria della Legione Accademica.All’inizio della sua omelia mons. Filipazzi ha ringraziato il vescovo per l’invito sottolineando che è venuto volentieri anche “per rendere omaggio al mio grande predecessore, il Nunzio Achille Ratti, divenuto poi Papa Pio XI, la cui memoria trovo ancora molto viva in Polonia”. Mons. Filipazzi ha ricordato che il suo predecessore “ha sempre conservato nel suo cuore un grande ricordo della Polonia. Perciò volle, fra l’altro, che la sua cappella privata nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo avesse un’impronta polacca”. Per questo motivo Pio XI ha voluto sopra l’altare l’immagine della Madonna Nera di Czestochowa, invece sulle pareti i quadri che rappresentano la difesa del monastero di Jasna Gora, assediato dagli Svedesi e la battaglia di Varsavia del 1920 con, in primo piano , l’eroico don Skorupka.Parlando della cerimonia il Nunzio ha detto che non si tratta di solo di una commemorazione di tipo patriottico, ma “siamo qui per pregare e raccogliere alcuni insegnamenti che ci vengono dagli avvenimenti di oltre un secolo fa’”. Successivamente ha spiegato che la battaglia sulla Vistola “fu ben più che la guerra fra due Stati, anche perché dal suo risultato dipendevano le sorti dell’Europa e del mondo di allora” citando lo stesso Nunzio Ratti: “un angelo delle tenebre stava conducendo una gigantesca battaglia con l’angelo della luce”. Ovviamente tali parole ci “rimandano in qualche modo alla pagina del libro dell’Apocalisse appena proclamata, che ci presenta la lotta fra il dragone e la donna”. In questo contesto ha ricordato Benedetto XVI che affermava che la storia umana è presentata dall’Apocalisse come “una lotta tra due amori: l’amore di Dio… fino al dono di se stesso, e l’amore di sé fino al disprezzo di Dio , fino all’odio degli altri”. E “questi due amori appaiono in due grandi figure”: il dragone e la donna.Papa Benedetto spiegava che le parole della Sacra Scrittura trascendono sempre il momento storico perciò “anche oggi esiste il dragone in modi nuovi, diversi. Esiste nella forma delle ideologie materialiste che ci dicono: è assurdo pensare a Dio; è sicuro di osservare i comandamenti di Dio; è cosa di un tempo passato”.Mons. Filipazzi ha sottolineato che oggi “anche noi partecipiamo alla lotta fra il dragone e la donna, tra i due amori, e ognuno di noi deve schierarsi e combattere per il dragone o per la donna, per il Maligno o per Cristo Re”. Concludendo mons. Filipazzi ha detto che la vicenda della battaglia della Vistola “ci indica anche quali sono le armi che portano veramente alla vittoria, così come portarono alla vittoria del 15 agosto 1920. Mi sembra che esse siano soprattutto dovute: la preghiera e la concordia”.