Riflettere sulla civiltà occidentale in dialogo con un articolo stimolante di Pietrangelo Buttafuoco
di Marco Respinti
Sulle pagine culturali del quotidiano Libero di mercoledì 3 ottobre la penna elegante e dotta del presidente della Fondazione La Biennale di Venezia, Pietrangelo Buttafuoco, firma una recensione perfetta.[1] Il libro recensito è Il tempo del beduino dello scrittore e saggista scozzese Ian Stewart Dallas (1930-2021)[2] e la perfezione del recensore sta nell’avere ottenuto lo scopo per cui si scrive una recensione: spingere il lettore a leggere il libro. Starà poi al lettore appurare quanto nella recensione ci sia del recensito e quanto del recensore, e se i confini siano poi così netti.
Il pezzo di Buttafuoco è un piccolo saggio, suggestivo e immaginifico, di critica alla modernità filosofica che è nata dalla Rivoluzione Francese (1789-1799). Splendido l’accento sul «de» fintamente nobiliare che, grandeur dei rivoluzionari, il cittadino, quasi il compagno Maximilien Robespierre (1758-1794) antepose al proprio cognome senza che un solo capello gli si spettinasse per avere mozzato le teste degli aristocratici nobili e dei loro amici. Portentoso l’affondo sulla democrazia giacobina nata allora e protrattasi poi in una caricatura della vera rappresentanza politica. Stupende le invettive contro l’economia che schiaccia la politica, la finanziarizzazione dell’economia che spersonalizza il mondo, il pragmatismo cinico che divora la civiltà lungo il filo rosso che dalla Parigi rivoluzionaria porta diritto ai nefasti del Novecento totalitario. Buttafuoco cita bene il santo cardinale inglese John Henry Newman (1801-1890) in un ennesimo strale contro l’ateismo giacobino o il razionalismo sostituito a Dio, e ancora meglio la scristianizzazione, la persecuzione della Chiesa e il genocidio dei vandeani (1793-1794) ordinati dal Comitato di Salute Pubblica. Insomma, un encomiabile pezzo di filosofia della reazione come troppo pochi se ne leggono nel conformismo contemporaneo, come ne mancano, come ce n’è bisogno quanto dell’aria per respirare.
A questa demolizione del regno delle quantità che è segno del tempo in cui viviamo, a questa critica senza requie del moderno giusto prima che il Kali Yuga sia irreversibile, Buttafuoco oppone la rivincita di «una nuova era», auspicando che «una schiatta di uomini “nuovi”» emerga in «una visione circolare del tempo» per sconfiggere «il nichilismo in cui l’uomo moderno si dibatte», camminando «nella direzione di un Ernst Jünger [1895-1998]» per «così iniziare una nuova resistenza, una insorgente nuova Vandea potremmo dire dove, insieme a suoi simili, il ribelle […] afferma il nuovo nomos».[3]
Queste “squadre di protezione” composte di novelli kṣatriya posti a salvaguardia dei confini Buttafuoco le desume da Dallas che le prende da Al-Muqaddima, il trattato sulla storia universale del magistrale storico arabo del Maghreb Ibn Khaldûn (1332-1406),[4] e sono i beduini musulmani. Dallas si convertì infatti all’islam nel 1967 assumendo il nome di Abdalqadir as-Sufi e fondando il movimento religioso musulmano dei murabitun, precisamente il Murabitun World Movement (da non confondere con i jihadisti di matrice qaedista di al-Murābiṭūn, gruppo attivo in Africa fra 2013 e 2017, quindi confluito ufficialmente nella branca di al-Qāʿida del Mali). E però questa apologia della “contro-rivoluzione beduina” pone più di un problema.
La civiltà spazzata via dalla Rivoluzione Francese, e sopravvissuta sgangherata in qualche angolo del mondo, non è quella nata dall’islam. La civiltà contro cui i «de» Robespierre si sono accaniti, e così i loro epigoni di tutti i socialcomunismi della storia, compreso quello liberale e quello nazista, non è quella musulmana. La civiltà del cui sangue il giacobinismo e la sua progenie si sono lordati le mani è quella sorta da Gerusalemme, Atene e Roma. Ne hanno discusso tanti e diversi: i Joseph Lortz (1887-1975) e i Christopher Dawson (1889-1970), i T.S. Eliot (1888-1965) e i Russell Kirk (1918-1994), gli Eric Voegelin (1901-1985) e utile è persino l’Alexis de Tocqueville (1805-1859) de L’antico regime e la Rivoluzione e la democrazia in America,[5] indispensabili per capire anzitutto che se la metafisica è fatta di bianchi e neri, la realtà storica è una scala di grigi, dunque che la modernità con cui la Rivoluzione Francese ha travolto l’Occidente non ha seppellito proprio tutto. E si potrebbe persino giungere all’invito a non confondere dozzinalmente tutto in un solo fascio inestricabile e incomprensibile che Gertrude Himmelfarb (1922-2019) propone in The Roads to Modernity: The British, French, and American Enlightenments.[6]
Ho appena usato l’espressione «Occidente»: altri hanno usato l’espressione, evocativa e pregna, «Magna Europa».[7] Resta il fatto che la difesa della nostra civiltà dalla Rivoluzione Francese non può venire da chi produce altra distruzione. Nessuno dei miei molti amici islamici, compreso uno studioso musulmano discepolo di Dallas-Abdalqadir con cui mi trovo spesso a difendere la libertà religiosa di varie fedi nel mondo, italiano, siciliano come Buttafuoco, se ne ha a male se cito dallo stesso trattato Al-Muqaddima di Ibn Khaldûn: «si noterà che la civiltà è sempre danneggiata in modo irreparabile dall’urto della conquista araba: gl’insediamenti si sono spopolati e la terra è divenuta soltanto terra».[8]
Inoltre la salvezza per Buttafuoco verrà soltanto dalla “contro-rivoluzione beduina” perché, a suo dire, anche la destra attuale, nelle sue tante varianti «liberale, liberalcristiana, moderata, conservatrice e populista»,[9] si riferirebbe alla esecranda matrice rivoluzionaria francese. Ma quelle varianti o sono ossimori irricevibili, o aprono dibattiti enormi che vale la pena discutere ma qui non c’è più spazio, oppure sono errori.
Solo la notte liberale in cui tutte le vacche sono liberali occulta la lezione di Friedrich von Hayek (1899-1992)[10] sulla contrapposizione fra un liberalismo derivato dai rivoluzionari di Francia e un altro, diverso, persino erede di una tradizione antecedente. O quella analoga del reazionario asburgico Erik von Kuehnelt-Leddihn (1909-1999).[11]
Quanto al conservatorismo, oggi sta bene su tutto, arreda e si porta elegantemente per le vie del centro, ma quello vero ha una origine netta. Sono le Riflessioni sulla rivoluzione in Francia di Edmund Burke (1729-1797),[12] il primo lucido critico della Rivoluzione Francese e dal mondo nato da essa. Da lui hanno imparato tutti gli eroi dell’anti-modernità o, meglio, di un modo diverso di abitare l’evo moderno, compreso il principe dei codini, Joseph de Maistre (1753-1821). Burke fu il primo a intuire che la Rivoluzione Francese fosse lo spartiacque fra due civiltà inconciliabili: «Ma l’era della cavalleria è finita», scrisse. «Le è succeduta quella dei sofisti, degli economisti e dei calcolatori, e la gloria d’Europa è estinta per sempre».[13] Il conservatorismo è nato lì per conservare le «dottrine sane», affermava a inizio Ottocento il periodico Le Conservateur animato da François-René de Chateaubriand (1768-1848)[14] con altri burkeani in Francia. Per la “contro-rivoluzione beduina” leggere invece sempre alla voce Ibn Khaldûn.
Venerdì, 4 ottobre 2024
[1] Cfr. Pietrangelo Buttafuoco, Quei rivoluzionari che fingono di essere nobili, in Libero quotidiano, anno LIX, n. 272, Milano 2-10-2024, p. 24
[2] Cfr. Ian Stewart Dallas, Il tempo del beduino: sulla politica del potere, trad. it., Il Fondaco dei Libri, s.l. 2024.
[3] P. Buttafuoco, art. cit., Il riferimento interno è a Ernest Jünger, Trattato del ribelle (Der Waldgang, 1951), trad. it. Adelphi, Milano 1990.
[4] Cfr. Ibn Khaldûn, Discours sur l’Histoire universelle. “Al-Muqaddima”, libro I, capitolo II, § 25, trad. francese, con presentazione e note di Vincent Monteil (1913-2005), 3a ed. riveduta, Sindbad, Parigi 2000. Il traduttore francese, orientalista, si è convertito nel 1977 dal cattolicesimo progressista all’islam con il nome di Mansour, approdando quindi ad ambienti «revisionisti». Ibn Khaldûn, il cui nome completo è Walī al-Dīn ʿAbd al-Raḥmān ibn Muḥammad ibn Muḥammad ibn Abī Bakr Muḥammad ibn al-Ḥasan al-Ḥaḍramī, nacque a Tunisi e morì a Il Cairo.
[5] Cfr. Alexis Henri Charles de Clérel de Tocqueville, L’Antico regime e la rivoluzione (L’Ancien Régime et la Révolution, 1856), trad. it., a cura di Corrado Vivanti (1928-2012), Einaudi, Bologna 1989, e Idem, La democrazia in America (De la démocratie en Amérique, 1835-1840), trad. it. a cura di Nicola Matteucci (1926-2006), UTET, Torino 2014.
[6] Cfr. Gertrude Himmelfarb, The Roads to Modernity: The British, French, and American Enlightenments, Knopf, New York 2004. Cfr. anche il mio Himmelfarb, la via conservatrice alla modernità, in La nuova Bussola Quotidiana, Monza 14-01-2020 e, in generale, Matteo Forte, Lo spazio per un conservatorismo non “gangster” c’è già, in Tempi, Milano 30-7-2024.
[7] Cfr. Hendrik Brugmans (1906-1997), Magna Europa, in Les Cahiers de Bruges. Recherches européennes (periodico del Collegio d’Europa), anno 5°, I, Bruges marzo 1955, pp. 108-115, nonché Giovanni Cantoni (1938-2020) e Francesco Pappalardo (a cura di), Magna Europa. L’Europa fuori dall’Europa, D’Ettoris, Crotone 2006, testo riveduto nella I ristampa corretta, 2007.
[8] Ibn Khaldûn, op. cit.,p. 232.
[9] P. Buttafuoco, art. cit.
[10] Cfr. almeno Friedrich A. von Hayek, voce Liberalismo, in Enciclopedia del Novecento, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1978, vol. III, pp. 982-993.
[11] Cfr. Almeno Erik von Kuehnelt-Leddihn, The Four Liberalisms, in Religion & Liberty (periodico dell’Acton Institute for the Study of Religion and Liberty, Grand rapids, Michigan), vol. 2, n. 4, luglio-agosto 1992, che ho tradotto in italiano con il titolo Liberali, liberal e libertarian: tutta la storia di un’idea prettamente occidentale, in il Domenicale. Settimanale di cultura, anno 3, n. 22, Milano 29-5-2004, p. 3.
[12] Cfr. Edmund Burke, Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia (Reflections on the Revolution in France, 1790), trad., it., a cura mia, Ideazione, Roma 1998.
[13] Ibid., p. 99.
[14] Il periodico fu pubblicato a Parigi fra 1818 e 1820 per i tipi di Le Normant fils.