Daniele Fazio, Cristianità n. 426 (2024)
Relazione, rivista e annotata, al convegno su Occidente La fine di un’epoca, l’alba del futuro, organizzato a Bergamo, il 13 aprile 2024, da Alleanza Cattolica in collaborazione con Centro Studi Rosario Livatino, Nonni 2.0, Ditelo Sui Tetti!, Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti. Cfr. la cronaca in questo numero, pp. 77-82.
1. Per una definizione di Occidente
Che cos’è l’Occidente? Da un punto di vista meramente geografico consiste nei territori dell’emisfero terrestre a ovest del meridiano di Greenwich (1), dunque quella parte della Terra verso cui — per un astronomo della classicità greco-romana — il sole tramonta. Del resto, anche l’etimologia dei termini latini da cui la parola deriva — occido, occidens — rimandano a una tale definizione.
A questa descrizione ne possiamo associare almeno altre due: una di natura politica e una –– più pregnante per la nostra riflessione –– di carattere culturale. Per quanto riguarda l’aspetto geopolitico, il termine «Occidente» oggi designa un mondo che, soprattutto all’indomani della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), dovendo contrapporsi al blocco sovietico, ha assunto assetti politici, economici e sociali comuni, per esempio stipulando alleanze strategico-militari, quale la North Atlantic Treaty Organization (NATO). In questo senso, e allargando i confini politici ed economici dell’asse occidentale, fanno parte dell’Occidente l’Europa dell’ovest e, dopo la rimozione del Muro di Berlino, anche vari Paesi della sua parte orientale, oltre alle Americhe, all’Australia e all’Oceania.
La definizione che accentua, invece, l’aspetto culturale rimanda all’origine e, quindi, all’anima o all’identità più propria di Occidente.
All’interno della cultura greca antica per la prima volta si avvertono le differenze antropologiche e politiche rispetto al mondo persiano-orientale. Da un lato, come notano gli storici Erodoto (484-425 a.C.) e Tucidide (460-404 a.C.), vi sono l’uomo greco e le poleis che fanno della libertà un valore imprescindibile, dall’altro lato vi è il mondo della schiavitù, che assoggetta gli uomini al volere di altri, i quali giungono a farsi glorificare come dei. Proprio per questo un gruppuscolo di città-Stato dell’Ellade resisterà fino a trionfare definitivamente sull’esercito persiano invasore fra i secoli VI e V a. C.
La distinzione diventa più significativa quando, in quell’appendice di terra e nelle sue colonie — in Grecia e nella Magna Grecia, nel meridione della penisola italica — incastonate al centro del Mar Mediterraneo, nasce il pensiero filosofico. L’uomo di quelle latitudini prende consapevolezza del suo proprium, ossia di essere dotato di un logos, di una sorta di «ponte» conoscitivo verso le realtà naturali e verso i propri simili. Proprio il logos — con la sua carica polisemica: ragione, parola, discorso, ricerca, studio — è la causa dell’essere naturalmente «politico» dell’uomo. Questi, grazie allo strumento della parola, interagisce con gli altri al fine di conoscere la verità e il bene, che sono i mezzi della propria realizzazione nella comunità politica. Il logos, dunque, è una caratteristica umana che non spinge l’uomo semplicemente a un rapporto strumentale con il mondo, ma lo conduce, oltre il materiale, a intercettare e a inquadrare il senso della realtà e dell’esistenza in un ordine trascendente. Con la nascita della filosofia, in fondo, l’uomo si scopre capace di verità e diviene capace di uno sguardo teoretico sul mondo. Secondo il sociologo Rodney Stark (1934-2022), proprio questo «miracolo greco» (2) è la prima scintilla della nascita dell’Occidente.
Una tale sapienza naturale, fatta di senso comune e di riflessione, che poggia il proprio basamento sul realismo metafisico, nel tempo si è incontrata con un altro popolo, affacciatosi sul medesimo quadrante geografico. È il popolo romano, che con il diritto imprime il secondo elemento caratterizzante della civiltà occidentale. Nel diritto romano e nella lunga avventura di Roma, che dura dalla sua fondazione, nell’anno 753 a.C., fino alla caduta dell’Impero Romano di Occidente nel 476, non troviamo un novum, bensì la capacità di integrare, sintetizzare, far convivere elementi umani e sociali diversi. L’atteggiamento del popolo romano è riassunto nei suggestivi versi del poeta Publio Virgilio Marone (70-19 a. C.) che nell’Eneide ricorda ai romani la loro vocazione: governare i popoli, imporre civiltà e pace, avere pietà di coloro che si sottomettono e sconfiggere i ribelli (3).
Questo elemento di «secondarietà» — così come è definito dal filosofo francese Rémi Brague (4) —, lungi dall’essere insignificante, è un atteggiamento di trasmissione fondamentale e di formazione concreta di un mondo culturale che ha permesso alla filosofia greca e poi al cristianesimo di trovare uno «spazio» comune di incontro e di sintesi. Il modello «romano», dunque, è una condizione fondamentale per la definizione dell’identità occidentale.
Il terzo elemento proviene dal popolo ebraico e da un evento che da tale orizzonte si è imposto in tutta la sua universalità: la nascita, la predicazione, la passione, la morte in croce e la resurrezione di Gesù di Nazareth, il Messia, il Figlio di Dio. Egli ha ordinato ai suoi discepoli di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini fino agli estremi confini della terra, assicurando la sua permanente presenza all’interno della Chiesa con a capo l’apostolo Pietro e i suoi successori. La Chiesa cattolica ha trovato storicamente la sua sede proprio a Roma, divenendo — per quanto il cristianesimo sia universale — una presenza caratterizzante soprattutto della storia europea.
Se vogliamo adoperare una suggestione geo-culturale, allora, possiamo dire che l’Occidente — e in primis l’Europa — poggiano su tre colli: l’Acropoli di Atene, il Campidoglio di Roma e il Golgotha di Gerusalemme (5). Grazie all’integrazione — non senza apporti loro propri — dei popoli celtici, germanici, slavi e ugro-finnici (6), dalle ceneri dell’Impero romano cristiano è nata l’Europa della cristianità romano-germanica. Questa Europa — così come è avvenuto per la Grecia secoli prima — si è diffusa, nel corso dei secoli, al di là dei propri confini geografici informando con la sua anima, ossia inculturandovisi, altri popoli: le Americhe, l’Oceania e perfino zone non piccole dell’Asia e dell’Africa.
I confini culturali dell’Occidente, allora, si allargano dall’Europa alla cosiddetta «Magna Europa» (7), la cui anima è la sintesi tra la filosofia greca, il diritto romano e il cristianesimo. La diffusione di quest’ultimo ha fatto da collante, permettendo di riunire in una casa comune i popoli greci, latini e barbari, dando così avvio a una nuova civiltà dopo il crollo della romanità pagana.
Dopo circa quattro secoli dalla caduta dell’Impero d’Occidente sorgeva un nuovo impero romano, questa volta autodefinitosi «sacro», a capo del quale era un uomo proveniente dalle popolazioni barbariche ormai convertitesi al cristianesimo. La notte di Natale dell’anno 800, con l’incoronazione a imperatore del re franco Carlo Magno (742-814) da parte di Papa Leone III (795-816), segna emblematicamente la nascita della cristianità occidentale, «[…] cioè una società che è cristiana non solo negli aspetti culturali e sociali, ma anche nella sua organizzazione politica» (8).
Questo grandioso incontro tra la fede cristiana e la ragione dell’uomo ha dato vita a modelli antropologici ed etici fondamentali: il primato dell’uomo come persona, l’importanza della famiglia quale pietra angolare della società, il ruolo centrale della formazione e dell’educazione integrale dell’uomo — per la sua realizzazione terrena ma anche ultraterrena — e la subordinazione delle comunità politiche a una legge trascendente che riposa sul diritto naturale. Tale fecondità teoretica, senza negare limiti e manchevolezze — sempre presenti nella storia umana —, ha prodotto una fioritura culturale ed etica unica e intramontabile. Basti guardare, per fare qualche esempio, alle grandi istituzioni dell’umanità, come gli ospedali (9) e le università (10), alla riforma radicale dei rapporti intra-familiari a partire da un nuovo concetto di auctoritas (11), alla graduale condanna della schiavitù e anche all’apporto fattivo che questa mentalità ha prodotto in relazione allo sviluppo della scienza e della tecnica (12).
2. Un lungo processo di dissolvimento
L’Occidente che oggi appare ai nostri occhi è evidentemente diverso dalla cristianità romano-germanica: i suoi elementi culturali egemonici esprimono una chiara volontà di recidere o di alterare profondamente le fondamenta metafisiche, etiche, giuridiche e religiose da cui è fiorito.
Ovviamente, questo accade con velocità diverse nei vari luoghi. Sembrano però emergere tre aspetti sociologici comuni.
Il primo è il calo vertiginoso della pratica religiosa assidua: se, per esempio, guardiamo all’Italia post-covid, essa è scesa al 19%; ancora più bassa è quella nei Paesi dell’Europa settentrionale, dove oscilla fra il 3 e l’8% (13).
Quindi, si osserva come l’assetto delle società appare sempre più profondamente disarticolato: i legami familiari, sociali e politici sono sempre più «liquidi», tanto che si è coniato già da tempo il sintagma «società coriandolare» per indicare contesti umani in cui il modello dominante è il single,«fluttuante» all’interno di uno spazio in cui a guidare le scelte, anche politiche, è l’emotività e non più la razionalità (14).
Infine, la demografia è contrassegnata da un trend decisamente negativo: nella vecchia Europa, secondo Eurostat, l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea, nel 2022 la soglia dei nuovi nati è scesa sotto la quota dei 4 milioni (15).
Da un punto di vista ideologico l’ultimo assalto alle radici culturali e spirituali dell’Occidente è dato, da un lato, dalla volontà di cancellare ogni segno esteriore delle sue radici dallo spazio pubblico materiale e culturale, in quanto ritenute colpevoli di ogni male e di ogni discriminazione nella storia degli uomini (16); e, dall’altro lato, dal disconoscimento della dignità intangibile di ogni uomo e, quindi, dalla negazione esplicita della sacralità della vita e della nozione stessa di natura umana, per cui l’uomo diventa un essere da inventare o reinventare continuamente e la sua vita oggetto di una disponibilità indiscussa.
Tale stato di cose, per nulla improvvisato, è il risultato di un processo plurisecolare di crisi (17), che riguarda proprio l’uomo occidentale e cristiano e che oggi ha portato non pochi studiosi a ipotizzare la fine di un’epoca, cosicché i termini post-cristiano e anche post-occidentale (18) sembrano non poco calzanti nel descrivere l’attuale momento storico.
La percezione della crisi, della fine o del tramonto dell’Occidente, tuttavia, è già presente in una consistente letteratura che si snoda a partire dai primi decenni del Novecento (19). Essa non fa altro che rilevare l’impressione che, nonostante si avvicendassero paradigmi culturali, etici e sociali nuovi rispetto a quelli fondativi della civiltà occidentale, questi non ne fossero una valida sostituzione, bensì un surrogato in fondo inefficace. Vale la pena, quindi, cercare di comprendere le ragioni di questa crisi e il suo carattere di snodo centrale e di svolta dell’Occidente. In questo senso, mi sembrano opportune due considerazioni, fra esse intrecciate, che riguardano la disintegrazione del rapporto fecondo tra la fede cristiana e la ragione greca e il riduzionismo antropologico con il conseguente smarrimento dell’umano.
a) Ragione e fede: ali spezzate
Il tempo delle cattedrali è comprensibile solamente rammentando che l’uomo medioevale viveva in un fondamentale equilibrio fra la sua natura razionale e la sua fede in Dio. Realizzazione umana e realizzazione cristiana si attuavano mediante la speranza della salvezza eterna e dell’impegno per raggiungerla. La ragione e la fede –– distinte e autonome, ma mai in contraddizione –– erano concepite come due grandi doni provenienti da Dio affinché l’uomo potesse innalzarsi verso le alte vette dello spirito e contemplare la verità su sé stesso, sul proprio ruolo nel mondo e in definitiva sul proprio fine. Tutto discendeva da Dio e ogni ente era a lui connesso tramite una partecipazione. L’uomo rappresentava l’apice del creato, la sola creatura che svettava per essere stata voluta a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,26).
Non solo, ma il cristianesimo era il portatore di una grande novità: Dio — che per la filosofia greca era un mero principio razionale — si era fatto carne, ossia la ragione eterna, il Logos,era diventato uomo pur rimanendo Dio (cfr. Gv 1). Non si era più innanzi a un semplice principio astratto bensì a una Persona da incontrare e conoscere, che stava all’inizio, al centro e alla fine delle vicende cosmiche e umane. Tutta la storia, da questo punto di vista, acquistava un senso nuovo, quel senso che sant’Agostino d’Ippona (354-430) ben sintetizza nella continua competizione fra due amori: quello di sé fino al disprezzo di Dio e quello di Dio fino al disprezzo di sé (20).
La fondamentale sintesi fra lo spirito greco e la fede cristiana — di cui possiamo sentire il «profumo», per esempio, nella Summa theologiae di san Tommaso d’Aquino O.P. (1225-1274), nella bellezza letteraria ed etico-pedagogica della Divina commedia di Dante Alighieri (1265-1321) e nel ciclo pittorico etico-politico dell’Allegoria del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti (1290-1348) — viene messa in discussione a partire dall’«autunno del Medioevo» (21), prima dal volontarismo di Giovanni Duns Scoto O.F.M. (1265/1266-1308) e poi dal formalismo logico e antimetafisico di Guglielmo d’Ockham O.F.M. (1285-1347). L’uomo, che nella visione scolastica tramite l’analogia entis era strettamente connesso a Dio proprio per la facoltà di ragione — segno della sua anima spirituale e immortale —, adesso viene in qualche modo separato radicalmente dall’orizzonte divino e la sua ragione sembra iniziare a smarrire i sentieri della verità e anche la certezza della conoscenza.
Da ciò si genererà una forma di fideismo che culminerà nella tesi di Martin Lutero (1483-1546), secondo cui la ragione è la «prostituta del demonio» (22). La divisione della cristianità occidentale (23), che porterà ai conflitti di religione del secolo XVI e scaverà una frattura mai ricomposta nel cuore dell’Europa fra nazioni latine e nazioni nordiche, è dunque una conseguenza del primo stadio della de-ellenizzazione, che procederà parallelamente alla scristianizzazione dell’Occidente.
Il cristianesimo è una religione universale, che nella storia ha avuto la capacità di inculturarsi, ossia di valorizzare i valori umani presenti nelle varie civiltà incontrate, purificandoli ed elevandoli, dando loro nuova fecondità. In Europa ciò è avvenuto attraverso il legame intrinseco della Rivelazione biblica con la filosofia greca; quindi, il tramonto dell’Occidente si può dare solo attraverso il continuo esaurirsi di queste due risorse e lo sfilacciarsi del loro fecondo legame. Infatti, quando la ragione — così come considerata dalla filosofia greca classica — non è più ritenuta capace di verità, dovrà occuparsi semplicemente delle conoscenze tecnico-scientifiche e la fede resterà o un residuo privato e sentimentale oppure un orpello da cui l’umanità deve liberarsi per uscire dal proprio stato di minorità (24).
L’insofferenza al fideismo luterano, incarnata soprattutto dall’Illuminismo francese, causa filosofica della Rivoluzione del 1789, vuol sostituire alla fede — quale collante fra gli uomini — il solo principio della ragione, che ormai è semplicemente una ragione di tipo strumentale, fissata nei confini fenomenici e incapace di orizzonti metafisici. S’inaugura, così, il tempo della modernità quale chiusura programmatica all’ordine trascendente: mentre prima l’uomo si trovava nel crocevia fra l’immanenza e la trascendenza, nella modernità, pur aspirando a un miglioramento continuo delle sue sorti, l’essere umano viene rinchiuso solipsisticamente nell’immanentismo. È il tempo di un nuovo paradigma, che trova sintesi nell’affermazione di Ugo Grozio (1583-1645) «etsi Deus non daretur» (25), un mondo in cui l’uomo fa a meno di Dio e diventa legislatore di sé stesso. Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) nella Fenomenologia dello spirito situa l’inizio dell’Età Moderna proprio nel momento in cui la coscienza smette di cercare realtà trascendenti, Dio stesso, fuori di sé ma diventa in sé stessa certa di essere ogni realtà (26).
La modernità può essere, così, anche interpretata come il luogo in cui è avvenuta un’inversione della teleologia, da progresso a mera conservazione, per cui la realtà e l’uomo stesso vengono concepiti in maniera funzionalistica (27). L’eschaton cristiano ha subìto una riduzione secolaristica (28) e il moderno, paradossalmente, pur non accettando i presupposti cristiani, vuole riprodurre nelle condizioni storiche finalità che richiamano un paradiso terreste da cui però è stato cacciato Dio.
La separazione radicale tra le fede e la ragione produce una duplice ipertrofia della ragione immanentistica, che si esprime nel razionalismo e nell’idealismo e in una chiusura in sé stessa della fede, che diventa fideismo. Questa separazione, proiettata nello spazio pubblico, causerà anche un corto circuito fra l’autorità religiosa, incarnata principalmente dalla Chiesa cattolica, e l’autorità civile e politica, che tenderà a invadere ogni spazio, anche quello delle coscienze.
Il laicismo, riducendo sempre più gli spazi pubblici riservati alla fede cristiana, cercherà una formula universale per affermare un nuovo ordine, che troverà sbocco nella formazione dello Stato moderno, una sorta di surrogato dell’autorità morale di Dio (29). Lo Stato moderno diventerà, dunque, espressione di un’autorità cui si deve obbedire perché incarna la «volontà generale», sostituto della legge morale naturale. Ancora Hegel affermerà che lo Stato è «l’ingresso di Dio nel mondo» (30). Ciò significa che è l’autorità a determinare la legge e non più la verità (31), ossia il dettato della legge morale naturale. Il diritto non sarà dunque più un limite al potere dello Stato, bensì un suo prodotto.
La piena modernità è il teatro di «ragioni forti», quelle delle ideologie, già presenti in nuce nelle varie fasi della Rivoluzione francese, che si manifestano fra Ottocento e Novecento, proponendosi all’uomo come progetto di salvezza immanente. Le ideologie si presentano come dei messianismi secolarizzati, costruiti nelle varie stagioni storiche intorno al culto della ragione, della scienza, dell’umanità, della nazione, della libertà, della razza, dell’autorità e della democrazia universale. Esse assumono l’aspetto di «religioni politiche» (32), grandi narrazioni che, in fondo, sono solo surrogati delle radici cristiane: hanno i loro «profeti», i loro «comandamenti», le loro ricette salvifiche (33), i loro «paradisi», ma i loro prodotti concreti non sono semplicemente deludenti, bensì spesso atroci e catastrofici.
Quando crollerà l’ultima ideologia del Novecento, ossia il marxismo-leninismo comunista, la nuova era sarà dominata da una ragione ormai impotente, non più interessata alla ricerca della verità, rassegnata al relativismo, al nichilismo e dunque al non-senso. Se la ragione, quindi, non è più l’organo della verità, se quest’ultima in fondo non esiste, all’uomo non resta che sottoporsi alla guida della propria sfera biologica e istintiva e quindi abbattere gli ultimi legami con un ormai sopito ordine morale.
A partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, il processo di disgregazione di un Occidente che ha dissolto gli elementi strutturali e più macroscopici della società cristiana giunge alla rivoluzione degli aspetti più strettamente antropologici. Ciò è riscontrabile nell’attacco alla vita — soprattutto nel suo stadio iniziale e in quello finale —, nella liberalizzazione delle droghe, nella ridefinizione dell’istituto della famiglia, fino alla negazione dell’identità biologica dell’essere umano con le teorie gender. Si assiste oggi a un crescente impegno militante di vasti settori della politica e della magistratura, per esempio, nel rendere leggi i cosiddetti «nuovi diritti», al fine di inaugurare — spesso palesemente contro la stessa realtà — un nuovo modello di uomo e di società, conforme alle diverse mode culturali che si avvicendano.
La «morte di Dio» (34) — annunciata da Friedrich Nietzsche (1844-1900) —, non solo quale oblio del Dio cristiano, ma anche quale crollo dei fondamenti metafisici, morali e scientifici della nostra civiltà, è il risultato ultimo del processo di de-ellenizzazione e di scristianizzazione dell’Occidente. Resta solo la «volontà di potenza», incarnata dalla tecnoscienza, che sta trasformando sempre più il prodotto delle mani dell’uomo in un ritrovato magico-demiurgico con l’obiettivo di rovesciare definitivamente la realtà e rivoluzionare l’umanità, a costo anche della sua abolizione.
b) L’umano: dal riduzionismo all’abolizione
La nozione di «persona» (35) è centrale nell’incrocio tra la filosofia greca, il diritto romano e il cristianesimo. Dire «persona», quindi, non vuol dire utilizzare un mero sinonimo, genericamente interscambiabile, per esempio, dei termini «uomo» o «individuo». Dire «persona» significa rappresentarsi l’uomo come un essere dotato di logos e naturalmente sociale, capace di verità, intrinsecamente libero e responsabile delle proprie azioni, che trova la sua piena dimora nella dimensione dell’amore. La rivelazione cristiana ha suggellato la rappresentazione dell’uomo affermando che egli è «immagine e somiglianza di Dio». All’umanità, rispetto a ogni altra specie creata e agli stessi angeli, è stata concessa una relazione speciale con la stessa divinità, in quanto il Figlio di Dio ha legato inscindibilmente la sua esistenza terrena alla natura umana: «il Verbo si è fatto carne» (Gv 1,14). A oggi, non troviamo in nessuna cultura, religione o filosofia una concezione e/o una definizione così alta, che garantisca in maniera incondizionata l’intangibile dignità del genere umano. Con molta probabilità è la vetta più alta che l’inculturazione della fede cristiana in Occidente abbia prodotto.
La particolarità della specie umana sta nell’essere un intreccio fra la trascendenza e l’immanenza. L’uomo è una natura spirituale e uno spirito incarnato al tempo stesso. Il composto umano è «corpore et anima unus» (36). Già quando i filosofi classici parlavano di «anima» intendevano una complessità che univa l’aspetto somatico, quello emozionale e quello razionale. Socrate (470/469-399 a.C.) e Platone (428/427-348/347 a.C.), inoltre, avevano chiaramente intuito che questa realtà è sicuramente immortale. L’evento della risurrezione di Cristo e l’aver glorificato il corpo umano ha fatto ulteriormente superare l’opposizione corpo-anima, tipico delle culture orfica, pitagorica e platonica. Sebbene, dunque, l’anima ne sia la forma, il corpo rimane una parte fondamentale dell’essere personale. Possiamo, quindi, affermare che la persona umana non è mai un qualcosa di evanescente ma un qualcuno ben individuabile in una corporeità definita che si lega a una dimensione altrettanto unica, che è la sua interiorità spirituale.
La parabola antropologica della modernità, tuttavia — rifiutando l’unità di corpo e anima —, si è snodata tra la visione di un «io» esaltato e quella di un «io» spezzato (37).
La visione dell’umano subisce una prima scissione con René Descartes «Cartesio» (1596-1650). Questi riduce la dimensione plurivoca dell’anima semplicemente alla «mens» (38), quindi alla «res cogitans», ossia alla capacità fondamentalmente computazionale della ragione. Dall’altro lato, con la «res extensa», resta il corpo, quale sostanza con caratteristiche differenti alla precedente e che obbedisce a un ordine deterministico. Le conseguenze di questo impianto si sono manifestate in una dialettica fra correnti filosofiche che hanno optato per lo spirito-ragione e correnti che hanno optato per il corpo-materia. Per questa via sono dunque emerse difficoltà nel dare una definizione realistica e non ideologica dell’essere umano, attirato ora nelle maglie del razionalismo immanentistico, ora nelle maglie del materialismo marxista.
Contestualmente, dall’Illuminismo in poi, e soprattutto con la filosofia di Immanuel Kant (1724-1804), va sempre più scemando la fiducia che la filosofia greca aveva nutrito nei confronti del logos, per cui l’uomo potrebbe conoscere solamente ciò che è fenomenico. Dal kantismo al positivismo sarà netto il rifiuto di una ricerca dei fondamenti metafisici del reale.
Questo «cogito»esaltato giunge al suo apogeo nell’idealismo tedesco e, tuttavia, inizierà a essere messo in discussione dal momento in cui la psicoanalisi di Sigmund Freud (1856-1939) e la filosofia di Nietzsche riveleranno un fatto inquietante: in fondo l’uomo è in balìa di forze irrazionali e l’«io» — che pure era l’unica certezza metafisica per Cartesio e per la modernità immanentistica — non è altro che un equilibrista maldestro e spesso sconfitto, che si dimena fra pulsioni provenienti dall’inconscio e schemi sociali, educativi e morali provenienti dalla cultura (39). Il dionisiaco nietzscheano incarna la dimensione dell’«uomo nuovo», colui che oltre l’umanità tradizionale sopravvive felicemente alla «morte di Dio» e si pone «al di là del bene e del male». Non esistono più una verità raggiungibile o un mondo vero, ma solo interpretazioni generate dall’Oltreuomo, la cui metafisica è insita integralmente nella volontà di potenza (40).
Un ulteriore sviluppo del principio antropologico, esito di tali premesse — dopo l’uomo razionalista, l’uomo materialista e l’uomo dionisiaco —, è quello del nostro tempo, che si contraddistingue per essere l’età della rivoluzione antropologica vero nomine. Essa si snoda a partire dalla visione culturale «sessantottina» in cui l’uomo, in nome della liberazione da ogni legame, finalmente avrebbe dovuto instaurare il dominio della sfera della creatività istintiva su quello della sfera razionale; ragion per cui la gerarchia ragione-volontà-sentimenti deve essere necessariamente ribaltata. Il principio di autorità e ogni riferimento alla morale verrà quindi rigettato nel tentativo di superare l’ultimo legame, ossia quello con la nostra natura razionale.
Il programma filosofico proposto, per esempio, da Herbert Marcuse (1898-1979), che aggiornava la prospettiva rivoluzionaria marxista, incitava alla liberazione dell’eros quale presupposto per superare con il principio di piacere non solo il principio di realtà, ma anche quello di prestazione. Ciò avveniva attraverso una critica alla famiglia cosiddetta patriarcale e all’imposizione di una sessualità costruita attorno a canoni borghesi (41).
A questo stadio del processo si avvia in qualche modo il congedo dall’«epoca delle ideologie» o, quanto meno, delle ideologie «classiche», delle «grandi narrazioni» (42), quali surrogati della verità cristiana, per giungere al dominio del relativismo e del nichilismo.
In tale contesto non solo è difficile definire l’umano, ma soprattutto si rinuncia o si vede una impossibilità persino a porre le domande esistenziali e ontologiche che hanno caratterizzato ogni civiltà: chi sono? da dove vengo? dove vado?
Il parossismo del processo della rivoluzione antropologica è palese nella prospettiva del «transumanesimo», un’ideologia che non si accontenta più di conoscere la specie umana così come è stata finora conosciuta ma, grazie alle potenzialità della tecnica, vorrebbe creare una nuova specie post-umana, incarnata dal cyborg, l’uomo-macchina. Per il transumanesimo l’uomo non «è», ossia non è ciò che si evince dalla sua realtà, ma l’uomo «si fa». Questa dottrina appare il prodotto di un orizzonte nichilistico, in cui la tecnica assume una forte valenza demiurgica e salvifica, un ruolo prioritario e unico (43). Per i transumanisti l’obiettivo è superare la specie umana e giungere a «uno stato di cose scientista e cooperativista, in cui […] l’uomo avrà raggiunto un grado di libertà, di uguaglianza e di fraternità finora inimmaginabile» (44). Oggi siamo, dunque, giunti a un punto di svolta epocale, in quanto si potrebbe inverare una vera e propria abolizione dell’umano (45), paradossalmente operata per potenziare alcune dimensioni dell’uomo e negarne però altrettante fondamentali.
3. Come vivere il cambiamento d’epoca?
La modernità, fin dalla rivoluzione culturale del Sessantotto e con la caduta del comunismo sovietico nel 1989-1991, sembra aver esaurito la sua agenda rivoluzionaria (46): ha tentato in ogni modo di cambiare il paradigma originario dell’Occidente e ha lasciato «un mondo in frantumi» (47), una «catastrofe antropologica» (48). I caratteri e i tempi del «cambiamento di epoca» (49) che attraversiamo difficilmente possono essere fissati in maniera esaustiva: i tempi che viviamo, in mancanza di un termine definitorio complessivo, sono nominati in genere «post-modernità». La nostra è un’età in cui sembra emergere una riluttanza verso ogni punto fermo di natura valoriale e relazionale: è il dominio della «liquidità» (50) e della «cultura del provvisorio» (51) e, mentre con la globalizzazione sono divenuti sempre più deboli i confini degli Stati nazionali e si è accentuato in termini di scontro — una «terza guerra mondiale a pezzi» (52) — il multipolarismo geopolitico, la cifra che caratterizza le esistenze è quella dello smarrimento e del disorientamento. Tutta l’esperienza umana viene ricapitolata in funzione individualistica. La malinconia è il sentimento proprio dell’uomo in tempi di nichilismo.
Non scompare la religione ma diventa un «fai-da-te». Non scompare l’amore fra l’uomo e la donna, ma oscilla fra rapporti che escludono la procreazione e relazioni che desiderano la procreazione senza sessualità. Non scompare la socialità fra gli uomini, ma si attua sempre più radicalmente nell’ambito «virtuale». Non scompare l’istituto, già fragilissimo, della famiglia, ma si coniuga al plurale e si apre alla possibilità che possa esservi anche fra specie diverse. Il rapporto fra l’uomo e il creato e fra l’uomo e il prodotto tecnico del proprio ingegno è sempre più squilibrato e destinato a pesare negativamente sull’essere, che pure riveste un primato inequivocabile per il suo status ontologico.
Davanti a questo panorama, che descrive un mondo morente, si stagliano due opzioni: o partecipare al dissolvimento dell’anima dell’Occidente, magari tifando per gli aggressori esterni di questo mondo, o difenderne le radici, le uniche che possono ridarne vitalità nella consapevolezza che, pur riconoscendo che nella civiltà occidentale si mescolano elementi positivi e negativi, in essa, «per quanto e nella misura in cui è degradata, gli elementi positivi primeggiano su quelli negativi, le luci hanno la meglio sulle ombre» (53).
Non vogliamo scrivere il necrologio dell’Occidente, né proporre ricette anacronistiche. Intendiamo piuttosto far emergere — sia pure all’interno di una cultura mortifera — la speranza che un mondo nuovo possa nascere. La nostra nostalgia non è per il passato ma per l’avvenire, come ha insegnato Giovanni Cantoni sulla scorta di Gonzague de Reynold (54).
Se un nuovo inizio può sembrare confuso e travagliato, proprio in esso bisogna impegnarsi — tesaurizzando i princìpi eterni dei secoli della cristianità, prima ancora delle sue forme storiche e dei limiti in queste manifestatisi — per aprire processi, piccoli ma significativi, di rinascita. Quando il secolare Impero Romano d’Occidente volse al declino, era già in atto da tempo — in quel contesto assai tormentato — il germe della rinascita. Tale seme fu piantato dall’evangelizzazione degli apostoli e della prima comunità cristiana, fu lungamente irrorato da tre secoli di martirio dei cristiani e coltivato con cura dalla sapiente opera educativa di san Benedetto (480-547) e dei suoi monaci. Ne venne fuori, pur senza una volontà preventivata, la cristianità medioevale romano-germanica.
La speranza storica ci dice che, se è stato possibile allora, una rinascita può essere possibile anche ora e su questa scia mi permetto di indicare tre grandi campi d’azione per individuare alcune fondamenta di «una [possibile] società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio» (55).
Il primo campo d’azione riguarda una nuova alleanza tra la fede e la natura dell’uomo, quale risposta alle prospettive relativistiche e nichilistiche. Per il filosofo francese Gustave Thibon (1903-2001) un tempo il cristianesimo dovette lottare contro la natura per immettere in essa la grazia, oggi invece è suo compito sostenere la natura dell’uomo, perché essa è come una torre dalla quale ci si deve slanciare verso il soprannaturale. Dunque, la salvezza del cristianesimo — o, meglio, l’opera della nuova evangelizzazione promossa da tutti i Papi prima e dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) — non può prescindere dal salvataggio della natura, perché essa è «così indebolita, così avvelenata, così delusa dai suoi idoli che non può che essere salvata dal Dio dei cristiani. Una tale convergenza è forse unica nella storia […] la suprema speranza è divenuta l’unica speranza» (56).
Il secondo campo d’azione riguarda la difesa dell’umano contro le prospettive transumanistiche, epilogo ultimo della rivoluzione antropologica anti-personalistica. Il filosofo tedesco Robert Spaemann ha fatto notare che, se da un lato la storia della nozione di persona è intrinsecamente legata alla teologia cristiana, dall’altro lato l’impiego di tale nozione è possibile in quanto evidente anche a prescindere dai presupposti teologici, perché l’uomo — a partire dalla propria esperienza — scopre che non è un avvenimento biologico artificioso. Lo stesso filosofo, tuttavia, dice che «la scomparsa della dimensione teologica alla lunga potrebbe implicare anche la scomparsa del concetto di persona» (57). Alla fine del percorso della modernità possiamo affermare che l’eclissi di Dio ha prodotto una grave eclissi dell’uomo. In questo senso, il rinnovato impulso all’annuncio del Vangelo, che ha al centro la figura di Cristo, e unisce umanità e divinità, diventa ancora una volta imprescindibile per risollevare le sorti dell’umano. L’alternativa vincente all’uomo «sazio e disperato» dell’Occidente malato è ancora una volta Gesù Cristo, la misura vera di un umanesimo pieno.
Il terzo campo riguarda la «via pulchritudinis» quale antidoto contro l’avanzare della «cancel culture»: Papa Leone XIII (1878-1903) nell’enciclica Immortale Dei scriveva che «nessuna mala arte di nemici può contraffare od oscurare» (58) la testimonianza dei monumenti che la civiltà cristiana ha eretto. Dinnanzi all’odio distruttivo, la bellezza che ci hanno lasciato i secoli della cristianità può ripristinare nell’uomo di oggi il gusto della meraviglia, da cui scaturiscono le domande metafisiche ed esistenziali. Se, da un lato, oggi domina la convinzione che la ragione dell’uomo sia debole nel riconoscere grandi verità, dall’altro il carattere attrattivo della bellezza del creato e dell’arte può stimolare riflessioni che aprano al desiderio di verità eterne. L’Europa è ancora punteggiata di campanili, dovunque sono ancora presenti le vestigia della cristianità. Questo è un campo da valorizzare, perché lo «splendore della verità» (59) possa colpire nuovamente l’uomo, lo affascini e questi inizi così a recuperare un quadro di realizzazione esistenziale.
Sorge però spontanea la domanda: chi può fare tutto questo? Gli intellettuali? La politica? Un’istituzione particolare? La risposta ci viene sia dalla storia, sia dal magistero di Papa Benedetto XVI. Possono fare tutto ciò delle piccole comunità, delle «minoranze creative» (60), che vivano e trasmettano questi princìpi eterni e si mettano a servizio della verità — senza agognare successi immediati — con amore, con coraggio e, soprattutto, con disponibilità alla sofferenza (61), sicuri che per dare nuova vita occorrerà a volte anche morire, così come il chicco di grano del Vangelo, il quale solo morendo porta frutto (cfr. Gv 12,24-26). Pertanto, bisogna propiziare sempre più la formazione di ambienti e di élite che, animati dalla virtù teologale della speranza, possano favorire e guidare processi di rinascita.
In questo senso, mi sembrano emblematiche e incoraggianti le parole di Plinio Corrêa De Oliveira, con cui concludo: «Quando gli uomini decidono di collaborare con la grazia di Dio, allora nella storia accadono cose meravigliose: la conversione dell’Impero romano, la formazione del Medioevo, la riconquista della Spagna a partire da Covadonga, sono tutti avvenimenti di questo tipo, che accadono come frutto delle grandi resurrezioni dell’anima di cui anche i popoli sono suscettibili. Risurrezioni invincibili, perché non vi è nulla che possa sconfiggere un popolo virtuoso e che ami veramente Dio» (62).
Daniele Fazio
Note:
1) Cfr. la voce Emisfero occidentale, nel sito web <https://it.wikipedia.org/wiki/Emisfero_occidentale> (gli indirizzi internet dell’intero articolo sono stati consultati l’8-5-2024).
2) Cfr. Rodney Stark, La vittoria dell’Occidente. La negletta storia del trionfo della modernità, trad. it., Lindau, Torino 2014.
3) «Excudent alii spirantia mollius aera,/credo equidem, vivos ducent de marmore voltus,/orabunt causas melius, caelique meatus/describent radio, et surgentia sidera dicent:/ Tu regere imperio populos, Romane, memento:/hae tibi erunt artes, pacisque imponere morem,/parcere subiectis et debellare superbos» (Virgilio, Eneide, libro VI, vv. 847-853).
4) Cfr. Remi Brague, Il futuro dell’Occidente. Nel modello romano la salvezza dell’Europa, trad. it., Bompiani, Milano 2005.
5) Cfr. Stanisław Grygiel (1934-2023), Le radici dell’Europa, in Cristianità, n. 327, anno XXXIII, gennaio-febbraio 2005, pp. 3-7; e Gonzague de Reynold (1880-1970), La Casa Europa. Costruzione, unità, dramma e necessità, trad. it., a cura di Giovanni Cantoni (1938-2020), D’Ettoris Editori, Crotone 2015.
6) Cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale «Ecclesia in Europa» su Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa, del 28-6-2003, n. 19.
7) Cfr. G. Cantoni e Francesco Pappalardo (a cura di), Magna Europa. L’Europa fuori dall’Europa, 1a rist. riv., D’Ettoris Editori, Crotone 2007.
8) F. Pappalardo, Carlo Magno e il Sacro Romano Impero, in Marco Invernizzi, Paolo Martinucci e Michele Brambilla (a cura di), Storia della Cristianità occidentale, D’Ettoris Editori, Crotone 2022, pp. 107-111 (p. 107). Sulla straordinaria importanza storica dell’incoronazione di Carlo Magno, cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio al Cardinale Antonio Maria Javierre Ortas in occasione del Convegno per il 1200° anniversario dell’incoronazione imperiale di Carlo Magno, 14-12-2000.
9) Cfr. Francesco Agnoli, La grande storia della carità, Cantagalli, Siena 2013.
10) Cfr. il mio, L’Università e la Scolastica (XII-XIV sec.), in Storia della Cristianità occidentale, cit., pp. 129-135.
11) Cfr. Régine Pernoud (1909-1998), «Il Medioevo: l’unica epoca di sottosviluppo che ci abbia lasciato delle cattedrali», intervista a cura di Massimo Introvigne, in Cristianità, anno XIII, n. 117, gennaio 1985, pp. 8-11.
12) Cfr. James Hannam, La genesi della scienza. Come il medioevo ha posto le basi della scienza moderna, trad. it., a cura di Maurizio Brunetti,D’Ettoris Editori, Crotone 2015.
13) Cfr. Franco Garelli, Italia: in forte ribasso la pratica religiosa, nel sito web <https://www.settimananews.it/societa/italia-forte-ribasso-pratica-religiosa>, 8-10-2023.
14) Cfr. Giuseppe De Rita, Governare una società a coriandoli, in Corriere della Sera, 14-9-2007; nonché Censis, 41° Rapporto annuale sulla situazione del Paese 2007. Considerazioni generali, Franco Angeli, Milano 2007; Idem, 51° Rapporto annuale sulla situazione del Paese 2017. Considerazioni generali, Franco Angeli, Milano 2017; Idem, 52° Rapporto sulla situazione del Paese 2018. Considerazioni generali, Franco Angeli, Milano 2018, p. 3; Istituto Nazionale di Statistica, Rapporto annuale 2022. La situazione del Paese, ISTAT, Roma 2022.
15) Cfr. Eurostat, How many children were born in the EU in 2022?, 7-3-2024, nel sito web <https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-eurostat-news/w/ddn-20240307-1>.
16) Cfr. Laura Boccenti, Cancellare la cultura per cancellare l’uomo, in Cristianità, anno L, n. 414, marzo-aprile 2022, pp. 3-18.
17) Sul carattere processuale e plurisecolare della crisi il Magistero pontificio si è ripetutamente pronunciato. A titolo esemplificativo cfr. Pio XII (1939-1958), Discorso «Nel contemplare» agli Uomini di Azione Cattolica Italiana, 12-10-1952; Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al III Forum Internazionale della Fondazione Alcide De Gasperi, 23-2-2002; e Benedetto XVI, Lettera enciclica «Spe salvi» sulla speranza cristiana, 30-11-2007, nn. 16-23.
18) Cfr. Eugenio Capozzi, Storia del mondo post-occidentale. Cosa resta dell’età globale?, Rubbettino, Soveria Manelli (Catanzaro) 2023.
19) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario con materiali di «fabbrica» del testo e documenti integrativi, trad. it., presentazione e cura di G. Cantoni, Sugarco, Milano 2009; Marcel de Corte (1905-1994), L’intelligenza in pericolo di morte, trad. it., Effedieffe, Milano 2015;Paul Hazard (1878-1944), La crisi della coscienza europea, trad. it., UTET, Torino 2019; Johan Huizinga (1872-1945), La crisi della civiltà, trad. it., Einaudi, Torino 1963; Edmund Husserl (1859-1938), La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. it., Il Saggiatore, Milano 2015; Idem, Crisi e rinascita della cultura europea, trad. it., Marsilio, Venezia 1999; Oswald Spengler (1880-1936), Il tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale, trad. it., con introduzione di Stefano Zecchi, Guanda, Parma 1999.
20) Cfr. sant’Aurelio Agostino, La Città di Dio, trad. it., Mondadori, Milano 2001, libro XIV, par. 28.
21) Cfr. J. Huizinga, Autunno del Medioevo, trad. it., Rizzoli, Milano 2002.
22) Cfr. Martin Lutero, Il servo arbitrio, trad. it., Claudiana, Torino 1993, p. 268.
23) Cfr. Christopher Dawson (1889-1970), La divisione della cristianità occidentale, trad. it., a cura di Paolo Mazzeranghi, con prefazione di M. Invernizzi,D’Ettoris Editori, Crotone 2009.
24) Cfr. Immanuel Kant (1724-1804), Che cos’è l’Illuminismo?, trad. it., Edizioni Riuniti, Roma 1991.
25) Cfr. Ugo Grozio (1583-1645), Il diritto della guerra e della pace. Prolegomeni e libro primo, trad. it., CEDAM, Padova 2010.
26) Cfr. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello Spirito, trad. it., La Nuova Italia, Firenze 2001, pp. 140-148.
27) Cfr. Robert Spaemann (1927-2018) e Reinhard Löw (1949-1994), Fini naturali. Storia & riscoperta del pensiero teleologico, trad. it., prefazione del card. Camillo Ruini, Ares, Milano 2013.
28) Cfr. Karl Löwith (1897-1973), Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia, trad. it., prefazione di Pietro Rossi (1930-2023), Il Saggiatore, Milano 2004.
29) Cfr. F. Pappalardo, La parabola dello Stato moderno. Da un mondo «senza Stato» a uno Stato onnipotente,D’Ettoris Editori, Crotone 2022.
30) Cfr. G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, trad. it., Laterza, Roma-Bari 1999, par. 258.
31) Cfr. Thomas Hobbes (1588-1679), Leviatano, cap. II, par. 26.
32) Cfr. Eric Voegelin (1901-1985), La politica: dai simboli alle esperienze. 1. Le religioni politiche 2. Riflessioni autobiografiche, trad. it., a cura di Sandro Chignola, Giuffrè, Milano 1993; ed Emilio Gentile, Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Laterza, Roma-Bari 2007.
33) Cfr. E. Voegelin, Il mito del mondo nuovo. Saggi sui movimenti rivoluzionari del nostro tempo, trad. it., Rusconi, Milano 1970.
34) Cfr. Friedrich Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, trad. it., Adelphi, Milano 1977, af. 125.
35) Cfr. Ermanno Pavesi, Poco meno di un angelo. L’uomo soltanto una particella della natura?, D’Ettoris Editori, Crotone 2016; e R. Spaemann, Persone. Sulla differenza tra «qualcosa» e «qualcuno», trad. it., Laterza, Roma-Bari 2007.
36) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 362-368.
37) Cfr. Paul Ricoeur (1913-2005), Sé come un altro,trad. it., Jaca Book, Milano 2016.
38) Cfr. René Descartes, Discorso sul metodo. Prima versione italiana del Commentaire di Étienne Gilson, trad. it., San Paolo, Milano 2003, pp. 466-472.
39) Cfr. Sigmund Freud, Introduzione alla psicoanalisi, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino 1978.
40) Cfr. F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, trad. it., Rizzoli, Milano 1992.
41) Cfr. Hebert Marcuse, Eros e Civiltà, trad. it., Einaudi, Torino 2001; Idem, L’uomo ad una dimensione, trad. it., Einaudi, Torino 1989.
42) Cfr. Jean-François Lyotard (1924-1998), La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, trad. it., Feltrinelli, Milano 2004.
43) Cfr. L Boccenti, La rivoluzione transumanista, in Cristianità, anno XLVIII, n. 406, novembre-dicembre 2020, pp. 9-26; e Giuseppe Vatinno, Il transumanesimo. Una filosofia per il XXI secolo, Armando Editore, Roma 2010.
44) P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., p. 178.
45) Cfr. Clive Staples Lewis (1898-1963), L’abolizione dell’uomo, trad. it., Jaca Book, Milano 2017.
46) Cfr. Augusto Del Noce (1910-1989), Il suicidio della rivoluzione, Aragno, Buccinasco (Milano) 2004.
47) Cfr. Aleksandr Solženicyn (1918-2008), Un mondo in frantumi. Discorso di Harvard, trad. it., La Casa di Matriona, Milano 1978.
48) Cfr. il sintagma di mons. Justo Mullor García (1932-2016), arcivescovo titolare di Bolsena (Viterbo), nunzio apostolico in Lituania, Estonia e Lettonia, in Luigi Accattoli, E finalmente il Pontefice vola in Lituania, in Corriere della Sera, 4-9-1993; e il concetto corrispondente in Giovanni Paolo II, Enciclica «Centesimus annus» nel centesimo anniversario della «Rerum novarum», del 1°-5-1991, n. 27.
49) La frase è presente più volte nell’insegnamento del regnante Pontefice. A titolo esemplificativo, cfr. Francesco, Discorso alla Curia romana per gli auguri di Natale, 21-12-2019.
50) Cfr. Zygmunt Bauman (1925-2017), Modernità liquida, trad. it., Laterza, Roma-Bari 2023.
51) Anche questo termine è ricorrente nell’insegnamento di Papa Francesco. A titolo esemplificativo, cfr. Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale «Christus vivit», del 25-3-2019, n. 264.
52) L’immagine è stata più volte proposta nell’insegnamento del regnante Pontefice. A titolo esemplificativo, cfr. Idem, Discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, 8-1-2024.
53) G. Cantoni, Per l’Occidente e l’Occidente cristiano, in Cristianità, anno XXIX, n. 308, novembre-dicembre 2001, pp. 13-14.
54) Cfr. Idem, Quarant’anni dopo il Sessantotto, introduzione a Idem, Per una civiltà cristiana nel Terzo Millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo, Sugarco, Milano 2008, pp. 7-10 (p. 10).
55) Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Convegno ecclesiale della Conferenza Episcopale Italiana, 31-10-1981.
56) Gustave Thibon, Ritorno al reale. Prime e seconde diagnosi in tema di fisiologia sociale, trad. it., a cura di Marco Respinti, Effedieffe, Milano 1998, p. 242.
57) R. Spaemann, Persone. Sulla differenza tra «qualcosa» e «qualcuno», cit., p. 20.
58) Leone XIII, Lettera enciclica «Immortale Dei», 1°-11-1885.
59) Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Splendor veritatis» circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa, 6-8-1993.
60) Cfr. Marcello Pera e Joseph Ratzinger, Senza Radici. Europa, relativismo, Cristianesimo, Islam,Mondadori, Milano 2004.
61) «In un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza. Chi vuole schivare la sofferenza, tenerla lontana da sé, tiene lontana la vita stessa e la sua grandezza; non può essere servitore della verità e così servitore della fede. Non c’è amore senza sofferenza — senza la sofferenza della rinuncia a se stessi, della trasformazione e purificazione dell’io per la vera libertà. Là dove non c’è niente che valga che per esso si soffra, anche la stessa vita perde il suo valore» (Benedetto XVI, Omelia per la celebrazione dei Primi Vespri della Solennità dei Santi Pietro a Paolo in occasione dell’apertura dell’anno paolino, 28-6-2008).
62) P. Corrêa De Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, cit., p. 132.