Prof. don Dario Composta S. D. B., Cristianità n. 64-65 (1980)
Dal punto di vista morale
«Si deve rifiutare il sostegno alle due proposte referendarie del MpV»
È noto che da qualche tempo gruppi di cittadini italiani stanno raccogliendo firme per l’abrogazione parziale della legge n. 194 (con cui il parlamento italiano il 22 maggio 1978 ha legalizzato l’aborto), in appoggio a una duplice iniziativa referendaria, promossa dal Movimento per la Vita in vista di due mete generiche: a) fronteggiare l’iniziativa referendaria dei radicali; b) rimediare ai gravissimi mali che la «legge» 194 ha operato e opera in Italia.
1. L’iniziativa del Movimento per la Vita promuove e propone due soluzioni, l’una «massimale», l’altra «minimale».
La «massimale» tende a restringere «al massimo» le disposizioni della 194, conseguendo, sì, l’abrogazione dell’aborto legale, ma, insieme, l’estensione legale anche ai minorenni della «somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile» (art. 2, comma 3). In altre parole, si viene a estendere legalmente l’uso dei contraccettivi. Ovviamente, si fa poi carico allo Stato e alle regioni di finanziare i consultori per tale somministrazione (art. 3, comma 1).
La «minimale», inoltre, contiene larghe concessioni alle stesse disposizioni abortiste della legge 194, tra cui: a) conferma della legalizzazione dell’aborto terapeutico per tutti i 9 mesi della gravidanza; b) conferma del finanziamento pubblico per l’esecuzione legale degli aborti; c) conferma dell’obbligo per gli enti ospedalieri di eseguire «in ogni caso» gli aborti richiesti.
L’appello a sostenere tali proposte è rivolto dal MpV anzitutto ai cattolici, e quindi ai «laici» (cattolici, non-credenti), nell’intento di raccogliere larghi consensi e così sconfiggere il referendum radicale.
2. Poiché l’adesione alle due proposte referendarie del MpV è caldeggiata da Avvenire e da altri periodici cattolici, sono stato pregato da eminenti personalità della Gerarchia Cattolica e da esponenti del laicato di esprimere pubblicamente un parere sulla liceità di sostenere con la firma, e domani con il voto, l’una o l’altra o entrambe le proposte, «minimale» e «massimale».
Dopo un attento esame dei due quesiti referendari proposti dal MpV e dei due nuovi testi di legge che ne scaturirebbero, ritengo opportuno e doveroso (salvo sempre la questione della buona intenzione di chi ha promosso tali iniziative) esprimere le mie gravi riserve. Riserve che non concernono, ovviamente, quanto nelle due soluzioni colpisce l’aborto come delitto o intende ridurne la pratica, ma le concessioni sopra esposte, nonostante i motivi che vengono addotti a giustificarle e che solo apparentemente le giustificano.
3. Come giurista e canonista osservo che, secondo i principi della filosofia classica e cristiana e quelli del diritto canonico, il valore di un atto umano è specificato dal suo oggetto formale. Ora l’aborto, anche quello detto «terapeutico», è, come oggetto, formalmente specifico, e tende alla soppressione della vita umana. È dunque immorale nella sua specificità, ossia è intrinsecamente immorale. Cfr. San Tommaso d’Aquino, I-II, 90, 2 ad III.
Ovviamente, tale considerazione concerne l’aborto diretto, volontario e procurato. Ma tale peccato (e colpa) possiede una dimensione sociale di estremo rilievo: la vita, infatti, è un bene anche familiare, sociale, nazionale; anzi, secondo i principi della filosofia perenne essa è il massimo bene temporale per la persona umana e per la comunità umana. Pertanto l’aborto ha rilevanza nei diversi ordini umani: familiare, sociale, nazionale.
Di qui la legittimità di ogni intervento in foro esterno» che tuteli la vita umana mediante statuizioni preventive, punitive, pedagogiche.
Si pone peraltro il quesito sui limiti del «foro esterno» nell’ambito della coscienza morale, e, in termini filosofici, ci si chiede quali siano i rapporti tra morale (come coscienza del singolo) e diritto (la norma in foro esterno).
La dottrina classica ha sempre sostenuto che né vi può essere identità, né opposizione, bensì diversificazione. Quando, dunque, la norma giuridica assume i principi morali, non procede in vista del bene delle coscienze (almeno direttamente), ma per il bene comune. Secondo la dottrina classica, un’azione prudente, forte e temperante può divenire giusta e doverosa quando conduca a un effettivo bene comune. La compatibilità tra le tre virtù etiche (prudenza, fortezza e temperanza) e la virtù sociale (la giustizia), è fissata dalla possibilità per le tre prime virtù di restare intatte nel loro estrinsecarsi nel bene comune, pubblico, sociale. Qualora la norma imponesse azioni forti, temperanti e prudenti ma non ordinate al bene comune, essa sarebbe ingiusta. In altre parole la norma giuridica: a) non può regolare tutta la sfera etica del privato; b) non può opporsi alla morale delle tre virtù etiche.
4. Venendo ora alle due proposte del MpV, è ovvio che nessuna legge umana può rendere buono ciò che intrinsecamente cattivo, ciò che invece pretenderebbero di fare le due nuove leggi che scaturirebbero direttamente dalla vittoria delle due iniziative del MpV.
Né, inoltre, può lecitamente essere assunto a criterio ciò che nei parlamenti degli Stati moderni sempre più frequentemente avviene: che si pretenda di rendere legalmente buono ciò che è intrinsecamente malvagio.
Né, infine, può essere invocato il principio della «tolleranza». Infatti, con le due nuove leggi che verrebbero direttamente causate da un vittorioso voto a favore delle due iniziative del MpV, il male è non già tollerato, ma positivamente causato, legalizzato, organizzato, finanziato. Ora, se può talora doversi tollerare – perché impossibilitati a contrastarlo – un male inflitto da altri alla giustizia e al bene comune, certamente non è mai lecito positivamente infliggerlo.
E sarebbe grave che ai cattolici fosse chiesto – sia pure ufficiosamente – di sacrificare a calcoli vani gli immutabili principi della morale naturale e cristiana (cfr. Matt. V, 17).
Vi sono, inoltre, aspetti inquietanti nell’estensione della somministrazione di contraccettivi disposta da entrambe le soluzioni del MpV: per esempio, la conferma – che non può non trovarvi esplicito sostegno – della tesi secondo cui la contraccezione potrebbe, almeno legalmente, essere assunta come antidoto e limite alla pratica dell’aborto. In ciò – e con tale estensione – si commettono due gravi errori: a) si contravviene alla morale (cfr. l’enciclica Humanae Vitae); b) si ignora che oggi – cfr. per esempio ciò che già accade negli USA – è lo stesso abuso contraccettivo a servire direttamente la pratica dell’aborto (cfr., tra l’altro, il sistema cosiddetto di aspirazione mestruale, con cui ogni mese il medico estrae meccanicamente mestrui o feti). Si aggiunga il gravissimo errore pedagogico (gravissimo soprattutto perché l’estensione concerne i minorenni) di una proposta referendaria – che ha come termine tale estensione – sostenuta ufficiosamente da organi di stampa cattolici e da organismi cattolici. Di fronte a tale confusione dei problemi e distorsione dei princìpi, vi è legittimamente da chiedersi se i cattolici debbano essere lasciati a sé stessi, o se non occorra, invece, una parola illuminante del Magistero ecclesiastico che rimetta ordine nelle idee e nelle iniziative, perché a incerte prospettive «politiche» non sia sacrificata la morale naturale e cristiana. Le medesime considerazioni, a fortiori, valgono per la proposta che ha come termine la legalizzazione dell’aborto.
5. Se, dunque, a nessuna legge umana è consentito decretare buono ciò che è in sé stesso cattivo, deve dirsi, anche solo per le sommarie considerazioni esposte, che all’uomo retto e soprattutto al cattolico non è mai lecito causare – mediante una firma o un voto – la vittoria e il vigore giuridico di norme che dichiarino lecito, sia pure in ambito solamente sociale, ciò che è intrinsecamente immorale.
Le proposte del MpV non possono dunque appellarsi ai cattolici, perché essi in coscienza non possono ammettere che sia lecito compiere un male «ut eveniant bona»; e le norme determinate dal vittorioso esito di tali due proposte referendarie contrastano con la «retta coscienza», che è conformità all’ordine morale oggettivo. Per questo, alle due proposte referendarie del MpV deve essere rifiutata la firma e rifiutato il voto.
prof. don Dario Composta S.D.B.
decano della Facoltà Filosofica della Pontificia Università Urbaniana
vice-presidente dell’Associazione Canonistica Italiana
membro della Pontificia Accademia Romana San Tommaso d’Aquino
Roma, 15 agosto 1980.