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Gli studi palinologici sulla Sindone e sul Sudario di Oviedo

16 Febbraio 2025 - Autore: Alleanza Cattolica

Giacomo Roggeri Mermet, Cristianità n. 431 (2025)

Nella primavera di quest’anno vi sarà un’ostensone, riservata ai giovani, del telo sindonico, conservato nella cattedrale di San Giovanni Battista di Torino. In quegli stessi giorni in Piazza Castello sarà eretta una tenda nella quale si terranno iniziative per far conoscere la Sindone ai torinesi e ai turisti. 

Questi avvenimenti offrono l’occasione per un riepilogo sugli importanti studi compiuti finora sui pollini ritrovati sulla Sindone e sul Sudario di Oviedo, che contribuiscono a confermare la provenienza del telo dalla terra di Gesù (1).

La Sindone è un telo dalle dimensioni di metri 4,36 x 1,10, prodotto con fili di Linum usitatissimum, utilizzato fin dal 6.000 a.C. e originario del Medio Oriente, lavorato con metodiche proprie di quel tempo e di quel luogo. L’intreccio è irregolare perché realizzato su di un telaio manuale ed è da considerare, per quel tempo, assai raffinato, destinato a persone facoltose. Frammisti al lino si trovano fili di cotone ma nessuna traccia di lana in quanto, secondo la legge mosaica, lana e lino dovevano essere tenuti separati. 

Il Sudario di Oviedo non presenta alcuna immagine impressa ma solo tracce di sangue, anch’esse del gruppo AB, come il sangue della Sindone. Inoltre, sono disposte come il sangue della Sindone, sovrapponibili ad esso. Con buona probabilità hanno avvolto lo stesso corpo (2). Il Sudario ha un tipico ordito di epoca romana, prodotto fra il 400 a.C. e il 500 d.C. (3). È stato tessuto con torcitura a «Z», tipica della zona siro-palestinese, e ha una struttura tessile — afferma Franca Pastore Trosello — «come quella della Sindone: lino, identico spessore delle fibre, filato a mano, con una torsione a “Z”, ma tessuto in modo differente: sargia a spiga per la Sindone e motivo ortogonale (taffettà) per il Sudario» (4).

Che cos’è il polline

Il polline, contenuto nelle antere dei fiori, si può definire come il «gametofito maschile» delle piante spermatofite, a loro volta divise in angiosperme e gimnosperme. È l’elemento fecondante ed è una cellula che, a seguito della divisione meiotica, possiede un corredo cromosomico aploide e due o più nuclei, uno generativo e uno o più vegetativi.

Le dimensioni di un granulo pollinico variano da 10 a 200 micrometri o micron (µ), secondo le specie. Il micrometro è pari al millesimo di millimetro (10-6), quindi il singolo granulo pollinico è invisibile a occhio nudo. Ha un colore che varia, sempre secondo le specie, dal giallo all’arancione, al blu, al viola, al marrone, e così via. La forma del polline — sferica, oblata (ellissoide), poliedrica —, come anche la struttura e la scultura della superficie esterna, sono variabili secondo le specie. Vi sono pollini che emanano odori repulsivi per gli animali erbivori, evitando così che il fiore, con il polline, sia assunto dagli stessi come cibo e sia impedita la fecondazione.

Molto complessa, pur nella sua piccolezza, è la struttura del granulo: in questa cellula troviamo, oltre al nucleo generativo, un nucleo vegetativo che produce il tubo pollinico nel quale scorre il materiale genetico, destinato a penetrare nell’ovario attraverso lo stigma e quindi lo stilo. Vi sono meccanismi che impediscono al polline dello stesso fiore di fecondare il proprio stigma e anche quello degli altri fiori della stessa pianta per favorire il ricambio genetico. Altri modi ancora impediscono la germinazione del tubo pollinico qualora il granulo si depositi sullo stigma del fiore di una specie diversa. Il granulo pollinico è protetto da un primo strato esterno, l’esina, a sua volta suddivisa in tectum, columella, piede ed endesina, e su di essa, specialmente nelle piante entomofile, anche se non tutte, si può trovare il pollenkit, cioèun materiale adesivo che si trova sui granuli pollinici della maggior parte delle piante impollinate da animali eche favorisce l’attacco sia al vettore del polline sia allo stigma, oltre a contenere enzimi, proteine e glicoproteine. Queste ultime hanno il compito di nutrire il granulo e di farsi riconoscere dalla parte femminile del fiore, perché geneticamente compatibili. Vi è poi uno strato interno, l’intina. Il granulo può rimanere agganciato anche ai peli di un tessuto come, per esempio, il telo sindonico.

La produzione del polline è immensa, soprattutto nelle piante anemofile, ma è un solo granulo pollinico a fecondare l’ovario di ciascun fiore. Tutto il resto è destinato a essere disperso nell’ambiente oppure utilizzato dai vettori animali, come le api, quale importante fonte proteica. 

La scienza che studia il polline è la palinologia, nata fra il XVII e il XVIII secolo. 

Breve storia della conoscenza del polline

Il termine «polline» deriva dal latino pollen, pollinis il cui significato è fior di farina, polvere. Anticamente non se ne conosceva la funzione, anche se vi era qualche idea sulla sua capacità fecondante fin dai tempi più remoti, tant’è che nei bassorilievi dei palazzi del re assiro Assurbanipal (668-629 a. C.) alcuni personaggi mitologici, «[…] agitando delle infiorescenze, praticano la fecondazione artificiale dei datteri» (5).

Aristotele (384/383-322 a.C.) negava che vi fosse una distinzione sessuale nelle piante, ma non così il medico greco Tirtano, soprannominato Teofrasto (371 a.C.-287 a.C.), importante botanico dell’antichità e fondatore della fisiologia vegetale. Descrisse cinquecento piante, comprese alcune fossili, e fu il primo studioso a distinguere fra palme femmine e palme maschi e a capire che la polvere (il polline) della palma maschio è ciò che feconda la palma femmina, pur essendo lontano dal capire come avviene, non potendo osservare il singolo granulo pollinico, visibile solo con un microscopio. Anche Plinio il Vecchio (23-79) nella Naturalis historia distingue conifere maschili e conifere femminili. 

Come detto, a quei tempi si era ben lontani da uno studio scientifico del polline tramite il microscopio, inventato nel 1590, a Leida, in Olanda. Inizialmente si trattava di uno strumento assai rudimentale, che offriva immagini piuttosto opache e non ancora utili allo studio del polline. Perfezionato dallo scienziato inglese Robert Hooke (1635-1703) consentì, finalmente, molte scoperte in campo scientifico. Lo scienziato bolognese Marcello Malpighi (1628-1694) e l’inglese Nehemiah Grew (1641-1712), soci della Royal Society fondata nel 1660, collaborarono, pur se a distanza, nelle ricerche sul polline e arrivarono entrambi a osservarlo al microscopio ottico, scambiandosi le proprie opinioni per mezzo di plichi postali con tempistiche di spedizione lunghe anche mesi. 

Grew accertò che fra i granuli pollinici delle varie specie vi è differenza di volume, di forma e di colore. In quegli stessi anni Malpighi, futuro archiatra di Innocenzo XII (1691-1700), si dedicò anche allo studio degli insetti, degli embrioni e delle piante, osservando il polline e collocandosi tra i fondatori dello studio microscopico dei vegetali. Nel 1766, il botanico tedesco Joseph Gottlieb Kölreuter (1733-1806) descrisse i principali tipi d’impollinazione delle piante, distinguendo quella anemofila da quella entomofila.

Da allora in poi gli studi proseguirono assiduamente. Molti furono gli scienziati che se ne occuparono e fra alcuni si dedicarono allo studio dei pollini presenti sul telo sindonico: primo fra tutti il botanico svizzero Max Frei-Sulzer (1913-1983), morto prima di terminare lo studio dei pollini raccolti e lasciando incompiuto il lavoro sulla Sindone. I suoi studi, forse perché terminati senza precisare la metodologia scelta per arrivare al riconoscimento non solo del genere, ma anche della specie, sono stati oggetto di alcune critiche, come quelle di Silvano Scannerini, già ordinario di Botanica nell’Università di Torino (1940-2005) e presidente dell’Ac­cademia di Agricoltura nella stessa città, e di Rosanna Caramiello, ordinario di Botanica forestale nel medesimo ateneo. Sono interessanti in proposito gli studi della botanica e biologa Marzia Boi, ricercatrice presso l’Università delle Isole Baleari a Palma di Maiorca (Spagna), an­ch’essa critica verso le conclusioni di Max Frei-Sulzer, e ancora lo studio della scrittrice italiana Emanuela Marinelli, laureata in Scienze Naturali e in Scienze Geologiche, autrice di oltre venti libri sulla Sindone. 

Vettori del polline

Sono vari i vettori del polline che è trasferito dall’antera, la parte maschile del fiore che li produce, fino allo stigma, la parte femminile. Vi sono piante a impollinazione anemofila, che affidano al vento il polline prodotto in grandissima quantità — milioni di granuli — perché è disperso nell’aria mentre pochissimi granuli giungono a destinazione; idrofila, per quelle che affidano il polline all’acqua; zoogama, per quelle che lo affidano agli animali, come gli insetti (piante entomofile), i ragni, gli uccelli, i rettili, i piccoli mammiferi e alcuni crostacei marini. 

Se lo stigma di una pianta anemofila non può far nulla per attirare il polline della propria specie disperso nell’aria e questa possibilità è lasciata al caso, diversa è la condizione delle piante a impollinazione entomofila. Pensiamo all’ape, che passa da un fiore a un altro della stessa pianta o di un altro esemplare della stessa specie: in questo caso lo «spreco» del polline è minore, toccando essa, con il corpo pieno del polline che raccoglie — perché importante fonte proteica da portare nell’alveare — lo stigma degli altri fiori e lasciando su di esso, pur se involontariamente, qualche granulo che provvederà alla fecondazione.

Il polline delle piante tipiche della zona palestinese ritrovato sulla Sindone è in buona parte entomofilo non mancando, ma in minore quantità, quello anemofilo di incerta provenienza.

Il prelievo dei pollini sulla Sindone e sul Sudario di Oviedo

La notte del 21 novembre 1973 Frei-Sulzer ebbe, limitatamente alle parti più esterne del telo sindonico, la desiderata autorizzazione di prelevare alcuni campioni di polvere (240 cm2) e per questa operazione utilizzò una dozzina di semplici nastri adesivi, che sono «[…] messi in contatto con la superficie con leggera pressione e grazie alla loro adesività quando sono staccati asportano tutte le microtracce senza danneggiare o alterare in qualsiasi modo il supporto» (6), ripiegandoli quindi su se stessi e riponendoli dentro dei contenitori sui quali era indicata la zona del telo sindonico dal quale erano stati estratti (7). Nel 1978, nella notte fra l’8 e il 9 settembre, Frei-Sulzer eseguirà un nuovo prelievo con «una ventina di applicazioni ed altrettanti “strappi” con nastri adesivi per completare le indagini sui vari pollini iniziate nel 1973» (8).

In quest’ultima occasione anche l’équipe dello STURP (Shroud of Turin Research Project), il gruppo di ricerca internazionale costituito per studiare scientificamente la Sindone, procede al prelievo di campioni di polvere con nastro adesivo ma utilizzando un «applicatore appositamente progettato che esercitava sul nastro una forza costante e predeterminata» (9) e trovando «solo un granulo di polline» (10). Frei-Sulter, riferisce invece Marzia Boi, «[…] pressava con forza il nastro contro il telo strofinandolo con un’unghia» (11). Egli ricevette anche campioni di polvere contenente polline estratto dalla teca d’argento nella quale era stata conservata la reliquia. 

Circa la successiva preparazione del polline per rendere possibile l’osservazione al microscopio Frei-Sulter così riferisce: «È stato un compito molto difficile identificare i diversi granuli pollinici nella polvere raccolta. Per prima cosa li dovevo estrarre dal nastro adesivo e dopo la pulizia essi erano inclusi in glicerina come preparati permanenti, in modo da poter essere studiati da tutti i lati al microscopio ottico. L’unico metodo veramente scientifico per l’identificazione dei granuli pollinici è il confronto diretto con un preparato nello stesso mezzo di polline maturo raccolto da una specie alla quale il polline sconosciuto potrebbe appartenere» (12).

Precisa a sua volta Pierluigi Baima Bollone: «Sappiamo comunque che la procedura inizia con l’individuazione del granulo sul nastro. Segue l’estrazione, la pulitura con reagenti appropriati e infine la preparazione per la osservazione al microscopio ottico ordinario o con il microscopio elettronico a scansione, strumento che unisce ad un elevato potere di ingrandimento e di risoluzione una grande profondità di campo che consente riprese che danno l’illusione della tridimensionalità» (13).

Emanuela Marinelli, a questo proposito, scrive: «In un suo manoscritto, Frei spiegava come prelevava i granuli di polline dai suoi campioni di nastro adesivo per metterli sui vetrini: incideva a T il nastro, dissolveva l’adesivo in toluolo e con grande attenzione sollevava il granulo con un piccolo cappio metallico oppure infilava nell’incisione la punta di un triangolo di nastro adesivo con la quale prendeva il granulo per poi depositarlo su un vetrino portaoggetti. A questo punto metteva una goccia di un mezzo di inclusione, poneva i granuli dei pollini di controllo e copriva tutto con un vetrino coprioggetti» (14).

In merito a questa metodologia i botanici Scannerini e Caramiello affermano: «La procedura sembra essere stata corretta o comunque tale da non poter alterare fortemente le caratteristiche della parte pollinica della polvere prelevata» (15). La palinologa Marzia Boi esprime qualche dubbio sull’utilizzo del nastro adesivo, che è «aggressivo per le fibre del lino e inoltre rende difficile identificare i pollini specifici» (16).

Raccolto comunque il polline, ripulito e preparato per l’osserva­zione al microscopio ottico ed elettronico, Frei-Sulter si è trovato di fronte al gravoso compito di identificare questi granuli. Non è un’opera­zione semplice perché, se è vero che ogni specie produce un polline diverso da quello delle altre, è anche vero che le differenze fra le specie, all’interno di uno stesso genere che è diffuso in più ampie zone rispetto alla specie, sono sovente minime. Tali differenze, inoltre, non sono facilmente rilevabili in pollini da duemila anni mescolati a unguenti nelle fibre di un telo. Inoltre, per essere certi dell’identificazione della specie, sarebbe necessario avere un buon numero di pollini, almeno un centinaio, perché «qualsiasi pianta oltre a produrre pollini perfettamente normali, produce pollini malformati» (17) ed è quindi opportuno averne un buon numero a disposizione. 

Frei-Sulter affermò di avere identificato circa cinquanta specie differenti di piante, la metà della quale vive in Medio Oriente, e arrivò a queste conclusioni: «La presenza sulla Sindone del polline di 29 piante del Vicino Oriente, e specialmente di 21 piante che crescono nel deserto o nelle steppe, conduce direttamente all’ipotesi che il Lenzuolo, oggi conservato nella Cattedrale di San Giovanni Battista di Torino, nel passato fu esposto all’aria libera in Paesi dove queste piante fanno parte della vegetazione normale. […] Tre quarti delle specie riscontrate sulla Sindone crescono in Palestina, tra le quali 13 specie sono molto caratteristiche od esclusive del Negev e della zona del Mar Morto (piante alofite). La palinologia permette quindi di affermare che la Sindone nel corso della sua storia (compresa la fabbricazione) ha soggiornato in Palestina» (18).

Sul telo sono però presenti anche pollini di piante tipiche della steppa, in Palestina assenti o raramente presenti. Per questo motivo, continua Frei-Sulter, la Sindone «[…] deve essere stata esposta all’aria libera anche in Turchia poiché 20 delle specie riscontrate sono abbondanti in Anatolia (Urfa, ecc…) e quattro nei dintorni di Costantinopoli, e mancano completamente nell’Europa Centrale ed Occidentale» (19).

La palinologa Marzia Boi, tuttavia, esprime alcune perplessità sulle conclusioni di Frei-Sulter: «I pollini sono stati sicuramente individuati, ma sono stati forzosamente fatti corrispondere con una probabile origine geografica per dimostrare il lungo viaggio della reliquia. In questo lavoro questa è stata considerata quasi come una bandiera, che ha viaggiato all’aperto e che quindi al suo passaggio su di essa sarebbero aderiti tutti i pollini poi ritrovati; non si tiene presente invece che era un importante oggetto protetto e trasportato nascosto» (20).

Il fatto che sul telo sindonico si trovi molto polline di piante entomofile della Palestina e poco di piante anemofile della stessa zona conferma, a mio parere, quanto affermato dalla professoressa Boi. Il telo sindonico è sicuramente stato trattato con estrema cura dai primi apostoli e da quanti lo avevano in custodia e non conservato all’aperto, dove avrebbe raccolto più facilmente pollini anemofili. Esso aveva avvolto il corpo del Salvatore e su di esso si era formata l’immagine acheropita di Cristo in un modo tale che la scienza, ancora oggi, non è riuscita a spiegare. Era, già allora, la prima e più importante reliquia della cristianità. 

Il polline di piante della Palestina presenti sul telo è tipico di piante entomofile, probabilmente perché queste facevano parte degli unguenti ma anche perché i fiori potrebbero essere stati posati sullo stesso già nel sepolcro oppure quando, è ipotizzabile, la sacra immagine era venerata dagli apostoli e dai primi cristiani di Palestina e quindi, per esempio, appoggiata su di una lunga tavola per osservare e pregare davanti all’imma­gine del Maestro. Ed è anche possibile, come afferma Marzia Boi, che lo stesso polline si sia conservato così a lungo e sia rimasto attaccato alle fibre del telo per duemila anni proprio perché il corpo del Signore è stato unto con oli e resine secondo il rito cerimoniale e la preparazione del tempo, sostanze, queste, poi assorbite dal telo: «[…] è possibile che questi prodotti untuosi abbiano permesso al polline, come una traccia invisibile, di persistere e rimangono attaccati al tessuto fino ai nostri giorni» (21).

È presente, invece, più polline di piante anemofile non della Palestina probabilmente perché, in luoghi più lontani, il telo era esposto all’a­perto e tenuto disteso — imprudentemente — davanti a folle di fedeli. Per esempio, sappiamo che «nel 1494 e nel 1560, la Sindone verrà esposta distesa dal ponte levatoio del castello di Vercelli» (22) come anche nel­l’e­sposizione a Torino, in piazza Castello, rappresentata nell’incisione di Antonio Tempesta (1555-1630) del 1613.

«Delle diverse spezie ed aromi legati ai riti funebri di 2000 anni fa, l’incenso e la mirra sono i più conosciuti ma ne esistono molti altri, di cui è andata perduta l’informazione, la sua esatta specie, utilità ed utilizzo. Di alcuni di essi è stato possibile recuperare informazioni controllando i manoscritti di scrittori dell’epoca, come Dioscoride e Plinio il Vecchio, che ne commentano gli usi nell’antichità» (23).

San Giovanni scrive al cap.19 del suo Vangelo: «Vi andò [a prendere il corpo di Gesù] anche Nicodemo — quello che in precedenza era andato da lui di notte — e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di aloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura». 

Marzia Boi precisa che «il popolo ebraico non ammette l’imbalsa­mazione, la mummificazione o altre tecniche di conservazione, come indica il Talmud: “le spezie servono a togliere la puzza”, come trattamento salutare per il clima secco e caldo. Il Talmud, raccolta di leggi e tradizioni ebraiche, non accetta che in un cadavere, con segni di violenza (il caso di Gesù), il sangue venga pulito, ritenendo che sia parte del corpo e che debba andare unito al corpo nella tomba. Il corpo che è stato avvolto nella Sindone di Torino è stato simbolicamente pulito, ma non lavato. Ha subito una morte violenta e, come assicurano i rilievi forensi, i segni di sangue presente sono pre- e post mortem, a conferma di un rituale ebraico come descritto dal Talmud» (24).

Continua la studiosa: «La Sindone molto probabilmente è stata spalmata con oli e unguenti, così come le parti del corpo prive di sangue, contribuendo a una migliore protezione contro la rapida decomposizione, oltre a purificare l’ambiente. 

«Gli oli e gli unguenti, secondo gli usi etnoculturali, applicati durante i rituali funebri e funerari sono stati di diversi tipi lasciando tracce, tra le fibre del lino, come il polline degli stessi prodotti utilizzati. Questa pratica può inoltre aver facilitato la cattura di altri pollini dal­l’ambiente, garantendo per di più una protezione notevole del tessuto per le sue importanti e ottimali proprietà antisettiche e conservanti. 

«I pollini riconosciuti sulla Sindone di Torino possono chiarire il rituale funebre applicato al corpo avvolto al suo interno, come testimoni e illustratori dell’ambiente circostante e delle pratiche dell’e­poca. 

«Considerando che il corpo e il telo funebre sono stati trattati con olii e unguenti, secondo il rito cerimoniale e le preparazioni di 2000 anni fa, è possibile che questi prodotti grassi abbiano permesso ai pollini, come una traccia invisibile, di persistere e rimanere attaccati al tessuto fino ai nostri giorni» (25).

La studiosa conclude che «le indagini realizzate finora si sono concentrate sulla definizione del percorso della Sindone, trascurando le prove che i pollini stavano dimostrando sulla preparazione del rito funebre, che al momento comprende specie botaniche di: Cistus spp. y Cistaceae, Ferula spp., Helichrysum spp. e Pistacia spp., che sono tutte specie mediterranee. Nei campioni raccolti da Frei ci sono 109 pollini ancora senza determinazione (Danin et al., 1999). Se fosse possibile analizzarli, e raccogliere altri campioni, si potrebbero ottenere risultati più definitivi sul rituale funerario» (26).

Il Sudario di Oviedo è un telo di lino conservato in Spagna fin dal­l’anno 812, o dal 842. Su questo telo, che misura 84 x 54 cm, si osservano macchie di sangue e fluidi corporali di un cadavere umano «[…] come affermato nel 1985 dal Dott. Pierluigi Baima Bollone, e confermato nel 1994 dal Dott. José Delfín Villalaín Blanco. 

«Le macchie presenti sulle due tele manifestano tra loro un’evi­den­te somiglianza morfologica» e a queste va aggiunta la «la concordanza delle distanze tra le lesioni che hanno originato le macchie» (27).

Nel 1977 Frei-Sulter ricevette da mons. Giulio Ricci (1913-1995) quattro campioni prelevati dal Sudario, insufficienti, tuttavia, a compiere l’identi­ficazione dei pollini. Dal 15 al 17 maggio del 1979 Frei-Sulter si recò a Oviedo per prelevare 46 campioni di polvere sempre con la tecnica dei nastri adesivi. In quell’occasione ha «identificato il polline di 13 piante» (28) mentre negli anni 1990 il CES. Centro Spagnolo di Sindonologia ha utilizzato un altro metodo di prelievo e, come nella Sindone, ha individuato del polline anche sul sudario, sempre appartenente a piante entomofile. «La ricerca dei pollini sul Sudario di Oviedo è stata successivamente portata avanti dalla biologa Carmen Gómez Ferreras, della Universidad Complutense di Madrid, la quale ha identificato 25 tipi di polline che confermano il soggiorno del Sudario in un ambiente mediterraneo» (29). Secondo la Boi «il polline ritrovato nel sudario di Oviedo è molto similare a quello della Sindone che ho identificato come del genere Helichrysum» (30).

Identificazione dei pollini

Identificare pollini di duemila anni prima non è operazione semplice, come già detto, e soprattutto non lo è arrivare alla specie: «la forma, le dimensioni, lo spessore dell’esina si studiano ordinariamente al microscopio ottico, mentre le ornamentazioni sono meglio evidenziabili al microscopio elettronico a scansione. I due strumenti sono dunque complementari, in quanto funzionano in modo diverso (non è solo questione di ingrandimenti diversi!) e permettono di focalizzare l’attenzione su caratteristiche differenti» (31).

Circa l’identificazione della specie da parte di Frei-Sulter i botanici Scannerini e Caramiello così si sono espressi: «l’attribuzione di una denominazione a livello di specie dei granuli rilevati pone qualche interrogativo» (32). Essi, infatti, si domandano «eccetto che nel caso di generi monospecifici, come si può avere la sicurezza di attribuire un polline ad una specie disponendo di materiale così scarso (qualche granulo? Una decina?)» (33). Continuano gli autori affermando che «se Frei si fosse limitato all’individuazione del genere, operazione già di per sé problematica, in molti casi con poco materiale le sue conclusioni sul percorso della Sindone, le sue ostensioni in località diverse ed i conseguenti contatti con ambienti a carica pollinica molto diversificata, sarebbero stati egualmente significativi e forse persino più probanti» (34), osservazione che «non vuole invalidare il lavoro» (35) di Frei-Sulter. 

Questo dubbio è stato ripreso anche da Baima Bollone nella sua opera Sindone e scienza, dove cita Luigi de Beaulieu, del laboratorio di botanica storica e di palinologia di Marsiglia, e Carmen Gómez Ferreras, professoressa del Dipartimento di Biologia Vegetale dell’U­niversità di Madrid. Anche Marzia Boi esprime dubbi sull’identifica­zione della specie mentre Marta Mariotti Lippi, già professore associato nel Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, fa notare che Frei-Sulter «[…] non aveva sufficiente familiarità con le indagini su materiali antichi» (36). 

Quali pollini sono stati trovati?

Fra i pollini ritrovati sulla Sindone, secondo Frei-Sulter, il 29% apparterebbe a Gundelia tournefortii, pianta commestibile della famiglia Asteraceae, simile a un cardo, originaria del Medio Oriente e del Mediterraneo orientale, con impollinazione entomofila tramite farfalle. Fin dall’anti­chità è raccolta prima della fioritura per un uso gastronomico: quest’u­sanza ha comportato una riduzione della crescita di questa specie nelle zone in cui vive, fra le quali anche la Palestina. Questa identificazione è stata confermata da Avinoam Danin (1939-2015), professore di Botanica all’Università di Gerusalemme che, con altri studiosi, suppone che proprio la Gundelia sia stata utilizzata per preparare la corona di spine. La Gundelia non possiede, però, spine molto acuminate, e inoltre una corona sarebbe composta con le foglie spinose e non con i fiori, come rileva la professoressa Boi. A proposito di ciò Scannerini ritiene che «basandosi sulla posizione delle lesioni del capo del­l’immagine sindonica, sul portamento dei rami spinosi della pianta, sulla sua grande diffusione in Palestina, sul suo uso comune come esca per accendere il fuoco, si può identificare la pianta del casco di spine il Poterium spinosum L. o Sarcopterium spinosum Schranz, la nostra spina porci» (37).Inoltre, questo polline, secondo i rilievi di Frei, sarebbe presente in tutti i campioni e ciò è piuttosto anomalo in quanto, se si tratta davvero di Gundelia, dovrebbe trovarsi solo nella zona del capo, dove fu posta la corona di spine. Non sono nemmeno presenti tracce del lattice della Gundelia, che trasuda abbondante da steli e foglie. 

Attraverso successivi controlli, molto precisi, delle fotografie del polline eseguite da Frei-Sulter, Marzia Boi «sovrapponendo le immagini del microscopio ottico con le foto precedentemente rilasciate e controllando il tipo di spine e aperture»(38) afferma che quel polline, date le maggiori dimensioni dello stesso, non appartiene a Gundelia bensì a una qualche specie del genere Helichrysum, pure appartenente alla famiglia Asteraceae. Si tratta di piante che si avvalgono di farfalle diurne e notturne per l’impollinazione, quindi sempre entomofile. Se la questione riguardante l’identificazione dei pollini di Helichrysum sembra una questione solo per esperti botanici, in realtà la presenza sul telo sindonico dell’Helichrysum, e non della Gundelia, riveste una non piccola importanza trattandosi, l’Helycrisum, di una pianta dalla quale si ricava l’olio essenziale di elicriso dalle sommità fiorite. Nell’an­tichità quest’olio era utilizzato proprio per proteggere i lini e anche nei riti funebri per ritardare la decomposizione dei corpi e coprire l’odore delle sepolture. 

Importante è anche la presenza di pollini dello Zigophyllum dumosum o fagiolo-cappero, una specie della famiglia Zigophyllaceae con impollinazione entomofila. Questa pianta cresce solo in Israele, in parte della Giordania e nella penisola del Sinai. In Israele è presente nel deserto della Giudea, nella valle del Mar Morto, nell’oasi di Ein Gedi sulla sponda occidentale, sulle colline del Negev e nella città di Eilat sulla costa del Mar Rosso, nell’area geografica di Aravh al confine con la Giordania e nella valle del Giordano. La diffusione geograficamente limitata conferma oltremodo che la Sindone ha una stretta relazione con la zona sopra indicata. 

Frei-Sulter rilevò ancora la presenza di pollini di Cistus creticus. In Palestina crescono due specie di Cistus mentre una ventina sono le specie e tutte originarie delle regioni mediterranee. Le due specie di Cistus della Palestina sono C. creticus, appunto, e C. salviifolius. La fioritura avviene tra marzo e giugno e l’impollinazione è sempre entomofila; in particolare è eseguita dalle api e dalle farfalle. I Cistus hanno fogliame molto profumato, come anche le resine, in particolare il Cistus ladanifer che però non si trova in Palestina. Danin e altri studiosi rilevarono, invece, la presenza del polline di altre due specie, Cistus incanus (Cisto rosso), che vive nell’area del Mediterraneo, la cui fioritura avviene fra marzo e giugno, e Cistus salviifolius. Marzia Boi ricorda che l’attuale identificazione è Cistus spp., cioè più specie e sottospecie del genere Cistus presenti sul telo, senza arrivare alla specie.

Fra le altre specie riscontrate sulla Sindone, sempre secondo Frei-Sulter, vi sono Pistacia lentiscus e Pistacia vera: il primo originario del bacino Mediterraneo e il secondo del Medio Oriente, dove era coltivato fin dai tempi preistorici mentre l’attuale identificazione è Pistacia spp. cioè, più specie del genere Pistacia. Questi quattro tipi di pollini, secondo Danin, rappresentano il 64% del polline identificato. 

Fra gli altri pollini identificati da Frei-Sulter ricordo: «Onosma Syriacum [gen. Onosma: Mediterraneo e Asia centrale principal­mente] e lo Hyo­scyamus Aureus [gen. Hyoscyamus originario del Mediterraneo orientale e Iraq], piante specializzate a vivere sulle rupi, sui muri e sulle rovine che ai tempi di Cristo non mancavano in Palestina. Il loro polline si trova sulla Sindone, e le stesse piante crescono tutt’oggi sulle mura della vecchia cittadella di Gerusalemme. Tutti sanno che lo studio dei pollini fossili, per esempio nella torba, permette di ricostruire l’aspetto della vegetazione del passato. In egual modo i pollini sepolti nel fango del Mar Morto ci danno un’idea molto chiara della flora palestinese (chiamata “flora della Bibbia”) ai tempi di Cristo. Alcuni degli elenchi, pubblicati dall’Università di Tel Aviv, di pollini estratti dal fondo del Mar Morto o dal lago di Genezaret contengono molti nomi identici alle liste da me pubblicate nel 1978 del polline sindonico. Per essere chiaro: questi pollini nei sedimenti marittimi o lacustri sono fossili, ma non rappresentano piante estinte e pure i pollini della Sindone non provengono da piante estinte. Fatta riserva, se possibile, per quel polline di cui ho detto che non sono ancora riuscito a classificare» (39). Frei-Sulter, sempre in questo suo intervento, ricordava anche un polline che non era riuscito a identificare ma non per questo necessariamente appartenente a una pianta estinta. Nell’articolo di Scannerini e Caramiello si legge: «La serietà di quanto afferma Frei è anche sottolineata dal fatto che personalmente smentisce il ritrovamento sensazionale di specie estinte in questi due ultimi millenni: dice che si sarebbe augurato di avere tanta fortuna ma non asserisce di averla avuta, sdrammatizzando quindi quanti vorrebbero usare i suoi dati come “prove irrefutabili” dell’autenticità del telo» (40).

L’assenza, sui campioni finora raccolti ed esaminati, di polline dell’olivo (Olea europeaea), peraltro a impollinazione anemofila, ha sollevato curiosità in alcuni studiosi. L’olivo è apparso nel Mediterraneo orientale circa diecimila anni prima della nostra era ed è stato domesticato nella fascia fertile compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate. È stato anche riportato alla luce nei pressi di Tel Aviv un oleificio filisteo capace di una produzione annuale di duemila tonnellate di olio. La fioritura dell’olivo avviene in un’epoca media dell’anno, fra aprile e giugno (41). La Pasqua nel­l’anno della morte di Cristo cadde, secondo i biblisti, il 3 o il 7 aprile e probabilmente prima dell’inizio della piena fioritura dell’olivo. Inoltre, il polline dell’olivo, se è vero che può spostarsi anche lontano di dieci e più chilometri, è pur vero che nella maggior parte dei casi si ritrova a poche decine di metri dalle piante.

Che cosa suggeriscono gli studiosi

La professoressa Boi, ritenendo che siano state finora trascurate le prove circa la preparazione del rito funebre che i pollini possono raccontarci, vorrebbe analizzare quelli raccolti da Frei-Sulter e raccogliere altri campioni. Ritiene che «gli studi sui pollini della Sindone di Torino fino ad oggi, sono arrivati a determinare che contiene polline originario dell’A­sia Minore. Le corrette identificazioni dei pollini forniscono oggi informazioni preziose sul fatto reale, perché le piante, con i loro balsami, unguenti e oli o spezie, sono entrate nei riti funebri e nella sepoltura» (42). La professoressa Marinelli nel suo intervento al congresso di Valencia del 2012 afferma che il lavoro pionieristico di Frei-Sulter merita rispetto e che la verifica dei risultati dell’indagine sulla Sindone e sul Sudario andrebbe condotta da una commissione di referee scevri da pregiudizi; nel frattempo auspica una nuova campagna di esami e di prelievi.

Ugualmente Scannerini e Caramiello terminano il loro articolo scrivendo che «il lavoro sui pollini della Sindone mantiene tutto il suo interesse e proprio per questo sarebbe auspicabile una sua integrazione, tentando in tal modo di eliminare quelli che parrebbero eccessi di precisione non suffragati da prove sufficienti» (43).

Infine, la professoressa Mariotti Lippi, prendendo in considerazione le specie identificate e pubblicate da Frei-Sulter, ha da esse eliminato quelle presenti in Europa, rappresentate anche solo a livello di genere, lasciando le piante proprie della zona medio-orientale. Considerando anche gli errori nell’identificazione delle specie, all’interno di uno stesso genere e delle stesse famiglie, la studiosa ha ridotto ancor più l’elenco. 

Così, «sono rimasti granuli pollinici di alcune piante medio-orien­tali, a mio avviso ben riconoscibili. Ne ho concluso che la Sindone, in un certo periodo di tempo imprecisato, ha soggiornato in Medio-Oriente» (44) e, a differenza di altri ricercatori, afferma che «con le conoscenze attuali in campo palinologico, che è il mio campo di ricerca, non siamo in grado di ottenere dati utili a stabilire l’autenticità o meno della Sindone» (45), mentre avrebbe senso «la revisione del materiale già prelevato da parte di una commissione di palinologi: la eventuale presenza di granuli pollinici medio-orientali avvalorerebbe l’ipotesi di una permanenza del lenzuolo in Medio-Oriente» (46). Auspica, infine, che lo studio della Sindone sia inquinato, d’ora in poi, il meno possibile e che si rinvii «ai nostri posteri il compito di percorrere itinerari di ricerca che oggi non conosciamo e che neppure possiamo immaginare» (47).

Il lavoro da fare è ancora molto e, nel rispetto della più importante reliquia della cristianità, non rimane che auspicare che gli studiosi della materia stabiliscano un preciso piano di ricerca operando in pieno accordo fra loro, ovviamente sempre nel rispetto della volontà della Chiesa, oggi detentrice della Santa Sindone, senza dimenticare le parole di Gesù riportate nel Vangelo: «Perché mi hai visto, Tommaso, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Gv 20,29).

San Giovanni Paolo II e la Sindone

La Sindone è provocazione all’intelligenza. Essa richiede innanzitutto l’impegno di ogni uomo, in particolare del ricercatore, per cogliere con umiltà il messaggio profondo inviato alla sua ragione e alla sua vita. Il fascino misterioso esercitato dalla Sindone spinge a formulare domande sul rapporto fra il Sacro Lino e la vicenda storica di Gesù. Non trattandosi di materia di fede, la Chiesa non ha competenza specifica per pronunciarsi su tali questioni. Essa affida agli scienziati il compito di continuare a indagare per giungere a risposte adeguate agli interrogativi connessi con questo lenzuolo che, secondo la tradizione, avrebbe avvolto il corpo del nostro Redentore quando fu deposto dalla croce. La Chiesa esorta ad affrontare lo studio della Sindone senza posizioni precostituite, che diano per scontati risultati che tali non sono; invita ad agire con libertà interiore e premuroso rispetto sia della metodologia scientifica sia della sensibilità dei credenti.

Ciò che soprattutto conta per questi ultimi è che la Sindone è specchio del Vangelo. In effetti, se si riflette sul Sacro Lino, non si può prescindere dalla considerazione che l’immagine in esso presente ha un rapporto così profondo con quanto i Vangeli raccontano della passione e morte di Gesù che ogni uomo sensibile si sente interiormente toccato e commosso nel contemplarla. Chi a essa si avvicina è, altresì, consapevole che la Sindone rimanda a Colui al cui servizio la Provvidenza amorosa del Padre l’ha posta. Pertanto, è giusto nutrire la consapevolezza della preziosità di questa immagine, che tutti vedono e nessuno per ora può spiegare. Per ogni persona pensosa essa è motivo di riflessioni profonde, che possono giungere a coinvolgere la vita (48).

Giacomo Roggeri Mermet

Note:

1) Cfr. Silvano Scannerini (1940-2005), Mirra, aloe, pollini e altre tracce. Ricerca botanica sulla Sindone, Elledici, Torino 1997, pp. 4-5.

2) Cfr. Marco Bonati, Quei forti legami tra la Sindone e il sudario di Oviedo, inAvvenire. Quotidiano di ispirazione cattolica, 3-5-2017.

3) Cfr. Nicoletta De Matthaeis, Il sudario di Oviedo, nel sito web <https://reliquiosamente.com/2015/09/04/il-sudario-di-oviedo> (gli indirizzi Internet del­l’articolo sono stati consultati il 27-2-2025).

4) Cit. in Alfonso Sanchez Hermosilla, Possibili concordanze tra la Sindone di Torino e il Sudario di Oviedo,in Sindon. La rivista del CISS: Centro Internazionale di Studi sulla Sindone,n. 3, agosto 2021, pp. 56-62 (p. 56), nel sito web <https://www.sindone.it/rivista>. Sanchez Hermosilla è medico forense dell’I­sti­tuto di Medicina Legale di Murcia, in Spagna, e direttore dell’EDICES, l’Equipo de investigación del Centro Español de Sindonología.

5) Renato Ariano, Breve storia degli studi sul polline,nel sito web <https://www.pollinieallergia.net/articoli_pdf/180.pdf>.

6) Max Frei-Sulzer, Il passato della Sindone alla luce della palinologia, in La Sindone e la Scienza, Atti del II Congresso Internazionale di Sindonologia, Torino 7-8 ottobre 1978, Edizioni Paoline, Torino 1979, pp. 191-200 e pp. 370-378.

7) Cfr. Mario Moroni (1933-2017) e Francesco Barbesino, Apologia di un falsario, Maurizio Minchella, Milano 1997, p. 52.

8) Pierluigi Baima Bollone e Grazia Mattutino, Quarant’anni dopo gli esami scientifici sulla Sindone del 1978, p. 4, nel sito web <https://­accademiadimedicina.unito.it/images/img/pdf/BaimaBolloneMattutino.pdf>. Baima Bollone è presidente onorario del Centro Internazionale di Sindonologia; Grazia Mattutino è criminologa dell’Istituto di Medicina Legale di Torino.

9) Marzia Boi, Il significato etnoculturale dell’uso delle piante negli antichi rituali funerari e le sue possibili implicazioni con i pollini trovati sulla Sindone di Torino,in Sindon. La rivista del CISS: Centro Internazionale di Studi sulla Sindone, anno LXV,n. 8, gennaio 2024, pp. 47-63 (p. 50).

10) Paul C. Maloney (1936-2018), ASSIST announces the acquiring of the Max Frei Collection for Shroud research, in The ASSIST [Association of Scientists and Scholars International for the Shroud of Torin] Newsletter, anno 1, n. 1, 1989, pp. 1-3 (p. 2), nel sito web <https://www.shroud.com/pdfs/assist1.pdf>. 

11) M. Boi, op. cit., p. 50.

12) M. Frei, Nine years of palinological studies on the Shroud, in Shroud Spectrum International, n. 3, 1982, pp. 2-7 (p. 3), nel sito web <https://www.shroud.com/­pdfs/ssi03part3.pdf>.

13) P. Baima Bollone, Sindone o no, SEI. Società Editrice Internazionale, Torino 1990, p. 213.

14) Emanuela Marinelli, La questione dei pollini presenti sulla Sindone di Torino e sul Sudario di Oviedo, I Congreso International sobre la Sabana Santa en España, Valencia 28-30 aprile 2012, pp. 1-13 (p. 3).

15) S. Scannerini e Rosanna Caramiello, Il problema dei pollini, in Sindon. La rivista del CISS: Centro Internazionale di Studi sulla Sindone,Nuova Serie, n. 1, 1989, pp. 107-111 (p. 107).

16) M. Boi, La Palinologia: strumento di ricerca per le reliquie della Sindone di Torino e del Sudario di Oviedo, in Aggiornamento sulle principali tematiche sulla Sindone di Torino, Incontro Centri di Sindonologia per la festa liturgica della S. Sindone, 2-5-2015, Centro Internazionale di Sindonologia, Torino 2015, p. 108.

17) S. Scannerini, Mirra, aloe, pollini e altre tracce. Ricerca botanica sulla Sindone, cit., p. 47.

18) E. Marinelli, op. cit., p. 3.

19) Ibidem.

20) M. Boi, La Palinologia: strumento di ricerca per le reliquie della Sindone di Torino e del Sudario di Oviedo, cit., p. 104. 

21) M. Boi, Il significato etnoculturale dell’uso delle piante negli antichi rituali funerari e le sue possibili implicazioni con i pollini rinvenuti sulla Sindone di Torino, relazione al I Congresso Internazionale sulla Sindone a Valencia organizzato dal Centro Español de Sindonologia il 28-29-30 aprile 2012, p. 9. Il testo, ricevuto direttamente dall’autrice, ha lo stesso titolo, ma contenuto diverso, di quello pubblicato in Sindon. La rivista del CISS.

22) P. Baima Bollone, Sindone e Scienza all’inizio del terzo millennio, «La Stampa», Torino 2000 (Supplemento a La Stampa, 28-6-2000), p. 17.

23) M. Boi, Il significato etnoculturale dell’uso delle piante negli antichi rituali funerari e le sue possibili implicazioni con i pollini rinvenuti sulla Sindone di Torino, relazione al I Congresso Internazionale sulla Sindone, cit., p. 3.

24) M. Boi, Il significato etnoculturale dell’uso delle piante negli antichi rituali funerari e le sue possibili implicazioni con i pollini rinvenuti sulla Sindone di Torino, cit., p. 57.

25) Ibid., p. 57-58.

26) Ibid., p. 63.

27) A. Sanchez Hermosilla, Possibili concordanze tra la Sindone di Torino e il Sudario di Oviedo, cit., p. 56.

28) E. Marinelli, op. cit.,p. 5.

29) Ibidem.

30) Stesso polline su Sindone e Sudario di Oviedo. Intervista a Marzia Boi, nel sito web <https://www.srmedia.info/2015/03/15/stesso-polline-su-sindone-e-sudario-di-oviedo-intervista-a-marzia-boi>.

31) Marta Mariotti Lippi, Riflessione sulle analisi palinologiche condotte sulla Sindone di Torino, in Collegamento pro Sindone Internet, settembre 2011, pp. 1-6 (pp. 2-3). 

32)S. Scannerini e R. Caramiello, op. cit., p. 108.

33) Ibidem.

34) Ibid., p. 109.

35) Ibidem.

36) M. Mariotti Lippi, op. cit.,p. 3.

37) S. Scannerini, Mirra, aloe, pollini e altre tracce. Ricerca botanica sulla Sindone, cit., p. 27.

38) M. Boi, Il significato etnoculturale dell’uso delle piante negli antichi rituali funerari e le sue possibili implicazioni con i pollini trovati sulla Sindone di Torino, relazione al I Congresso Internazionale sulla Sindone, cit., p. 12.

39) Max Frei [sic], Identificazione e classificazione dei nuovi pollini della Sindone, in Atti del II Convegno Nazionale di Sindonologia, a cura di Lamberto Coppini e Francesco Cavazzuti (1928-2010), Bologna 27-29 novembre 1981, Clueb, Bologna 1983, pp. 278-279.

40) S. Scannerini e R. Caramiello, op. cit., p. 108.

41) Cfr. Semi e piante, ricchezza di Palestina, nel sito web <http://­sumudpalestina.cric.it/it/mappa-del-progetto-hebron/in-diretta-dal-progetto/semi-piante-ricchezza-palestina>.

42) M. Boi, Il significato etnoculturale dell’uso delle piante negli antichi rituali funerari e le sue possibili implicazioni con i pollini rinvenuti sulla Sindone di Torino, relazione al I Congresso Internazionale sulla Sindone, cit., p. 18.

43) S. Scannerini e R. Caramiello, op. cit., p. 110.

44) M. Mariotti Lippi, op. cit.,p. 5.

45) Ibid., p. 6.

46) Ibidem.

47) Ibidem.

48) Cfr. Giovanni Paolo II (1978-2005), Discorso di commiato alla cittadinanzadi Torino nel corso della visita pastorale a Vercelli e a Torino (23-24 maggio 1998), del 24-5-1998, nn. 2 e 3.

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