I preparativi per l’Ultima Cena, così come descritti nei Vangeli, ci ricordano che tra la Messa e la nostra vita quotidiana esiste un rapporto circolare: ci si predispone alle celebrazioni liturgiche custodendo e mettendo a frutto le grazie sacramentali ricevute
di Michele Brambilla
Papa Leone XIV, dopo aver glossato i miracoli di Gesù, approfondisce nell’udienza del 6 agosto la preparazione dell’Ultima Cena, focalizzandosi proprio sul verbo “preparare”.
«Nel Vangelo di Marco si racconta che “il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: “Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?”” (Mc 14,12). È una domanda pratica, ma anche carica di attesa»: i discepoli intuiscono che la vita di Gesù è giunta ad uno snodo decisivo. «I dettagli si fanno simbolici: un uomo che porta una brocca – gesto solitamente femminile in quell’epoca –, una sala al piano superiore già pronta, un padrone di casa sconosciuto. È come se ogni cosa fosse stata predisposta in anticipo. In effetti è proprio così. In questo episodio, il Vangelo ci rivela che l’amore non è frutto del caso, ma di una scelta consapevole», dettata dal desiderio di risanare il più grande atto di disobbedienza (il peccato originale) con una donazione totale, gratuita, nell’obbedienza al Padre. «Gesù non affronta la sua passione per fatalità, ma per fedeltà a un cammino accolto e percorso con libertà e cura. È questo che ci consola: sapere che il dono della sua vita nasce da un’intenzione profonda, non da un impulso improvviso», sottolinea il Papa.
«Ancor prima che ci rendiamo conto di avere bisogno di accoglienza, il Signore ha già preparato per noi uno spazio dove riconoscerci e sentirci suoi amici. Questo luogo è, in fondo, il nostro cuore: una “stanza” che può sembrare vuota, ma che attende solo di essere riconosciuta, colmata e custodita» dall’amore di Gesù. Quella cena pasquale era pronta, a ben vedere, dall’eternità, perché faceva parte del piano della Redenzione, Cristo, «tuttavia, chiede ai suoi amici di fare la loro parte. Questo ci insegna qualcosa di essenziale per la nostra vita spirituale: la grazia non elimina la nostra libertà, ma la risveglia. Il dono di Dio non annulla la nostra responsabilità, ma la rende feconda». Dio rispetta sempre la nostra libertà, ma essa non raggiungerebbe il suo potenziale se non incontrasse la Verità e l’Amore.
Infatti «anche oggi, come allora, c’è una cena da preparare. Non si tratta solo della liturgia, ma della nostra disponibilità a entrare in un gesto che ci supera», ci trascende, rendendo la nostra libertà ancora più autentica. Il Pontefice puntualizza che «l’Eucaristia non si celebra soltanto sull’altare, ma anche nella quotidianità, dove è possibile vivere ogni cosa come offerta e rendimento di grazie». La Messa domenicale (per chi può, anche quella feriale) si prepara, quindi, vivendo la nostra settimana (o la nostra giornata) protesi verso il Dono per eccellenza, mentre si mettono a frutto le grazie già ricevute. Come precisa lo stesso Leone XIV, «prepararsi a celebrare questo rendimento di grazie non significa fare di più, ma lasciare spazio. Significa togliere ciò che ingombra, abbassare le pretese, smettere di coltivare aspettative irreali. Troppo spesso, infatti, confondiamo i preparativi con le illusioni», che possono giocare anche sul nostro “sentirci buoni”, “a posto”, nonostante non abbiamo davvero aperto le porte del nostro cuore al Signore.
Allora «ogni gesto di disponibilità, ogni atto gratuito, ogni perdono offerto in anticipo, ogni fatica accolta pazientemente è un modo per preparare un luogo dove Dio può abitare» tra noi e dentro di noi. Nel frattempo, «se accogliamo l’invito apreparare il luogo della comunione con Dio e tra di noi, scopriamo di essere circondati da segni, incontri, parole che orientano verso quella sala, spaziosa e già pronta, in cui si celebra incessantemente il mistero di un amore infinito, che ci sostiene e che sempre ci precede».
Solo la presenza, in noi, del Signore «renderà il nostro mondo più bello e più umano», come dice il Papa ai pellegrini di lingua francese. Ai pellegrini tedeschi ricorda la coincidenza di questa udienza con la festa liturgica della Trasfigurazione del Signore, dalla quale impariamo che, «se ci apriamo a Cristo e seguiamo la sua Parola, egli illumina e trasfigura anche le nostre vite. Così possiamo fare risplendere la sua luce nel mondo», che è una luce di Verità, come il Santo Padre ripete subito dopo ai polacchi presenti a Roma.
Quando l’uomo non segue la luce di Cristo, a trionfare è il fuoco fatuo della menzogna omicida. «Ricorre oggi l’ottantesimo anniversario del bombardamento atomico della città giapponese di Hiroshima, e fra tre giorni ricorderemo quello di Nagasaki. Desidero assicurare la mia preghiera per tutti coloro che ne hanno subito gli effetti fisici, psicologici e sociali. Nonostante il passare degli anni, quei tragici avvenimenti costituiscono un monito universale contro la devastazione causata dalle guerre e, in particolare, dalle armi nucleari». Poiché la cronaca di questi giorni sembra riportarci al clima del cosiddetto “equilibrio del terrore”, «auspico che nel mondo contemporaneo, segnato da forti tensioni e sanguinosi conflitti, l’illusoria sicurezza basata sulla minaccia della reciproca distruzione ceda il passo agli strumenti della giustizia, alla pratica del dialogo, alla fiducia nella fraternità», insiste il Pontefice.
Giovedì, 7 agosto 2025
