L’uomo è un “capitale vivo”, che giunge alla vita eterna solo se impara a donarsi come Gesù
di Michele Brambilla
Papa Leone XIV introduce l’Angelus del 10 agosto evidenziando che «oggi nel Vangelo Gesù ci invita a riflettere su come investire il tesoro della nostra vita (cfr Lc 12,32-48)». Infatti nella pagina evangelica della liturgia del giorno il Signore «dice: “Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina”».
Cristo ci sprona «a non tenere per noi i doni che Dio ci ha fatto, ma a impiegarli con generosità per il bene degli altri, specialmente di chi ha più bisogno del nostro aiuto. Si tratta non solo di condividere le cose materiali di cui disponiamo, ma di mettere in gioco le nostre capacità, il nostro tempo, il nostro affetto, la nostra presenza, la nostra empatia». Quel che occorre donare è quindi «tutto ciò che fa di ciascuno di noi, nei disegni di Dio, un bene unico, senza prezzo, un capitale vivo, pulsante, che per crescere chiede di essere coltivato e investito, altrimenti si inaridisce e si svaluta».
Siamo quindi un dono vivente che «ha bisogno di spazio, di libertà, di relazione, per realizzarsi ed esprimersi: ha bisogno dell’amore, che solo trasforma e nobilita ogni aspetto della nostra esistenza, rendendoci sempre più simili a Dio. Non a caso Gesù pronuncia queste parole mentre è in cammino verso Gerusalemme, dove sulla croce offrirà sé stesso per la nostra salvezza».
«Le opere di misericordia sono la banca più sicura e redditizia dove affidare il tesoro della nostra esistenza», ma non si richiede una mera esternazione di carità materiale. Il metro della Pasqua di Cristo è quello di una donazione totale nell’amore, che fa sentire ricco pure il povero. «E per capire cosa vuol dire, possiamo pensare a una mamma che stringe a sé i suoi bambini: non è la persona più bella e più ricca del mondo? Oppure a due fidanzati, quando sono insieme: non si sentono un re e una regina? E potremmo fare tanti altri esempi», ma quelli elencati sono già più che sufficienti a comprendere che, ancora una volta, l’importante non è tanto il “quanto”, ma il “come”.
«Perciò, in famiglia, in parrocchia, a scuola e nei luoghi di lavoro, ovunque siamo, cerchiamo di non perdere nessuna occasione per amare», perché Gesù ci chiede di «abituarci ad essere attenti, pronti, sensibili gli uni verso gli altri come Lui lo è con noi in ogni istante»: solo così saremo davvero «“sentinelle” di misericordia e di pace, come ci ha insegnato San Giovanni Paolo II (cfr Veglia di Preghiera per la XV Giornata Mondiale della Gioventù, 19 agosto 2000) e come ci hanno mostrato in modo così bello i giovani venuti a Roma per il Giubileo».
Nella parte dedicata alle questioni internazionali, il Pontefice ritorna sull’80° anniversario del bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki (6-9 agosto 1945) per ribadire che esso «ha risvegliato in tutto il mondo il doveroso rifiuto della guerra come via per la risoluzione dei conflitti. Quanti prendono le decisioni tengano sempre presenti le loro responsabilità per le conseguenze delle loro scelte sulle popolazioni. Non ignorino le necessità dei più deboli e il desiderio universale di pace. In questo senso, mi congratulo con l’Armenia e l’Azerbaigian, che hanno raggiunto la firma della Dichiarazione congiunta di pace. Auspico che questo evento possa contribuire a una pace stabile e duratura nel Caucaso meridionale».
Meno incoraggianti le grida di aiuto provenienti da Haiti, dove «si susseguono notizie di omicidi, violenze di ogni genere, tratta di esseri umani, esili forzati e sequestri. Rivolgo un accorato appello a tutti i responsabili affinché gli ostaggi siano liberati immediatamente, e chiedo il sostegno concreto della comunità internazionale per creare le condizioni sociali e istituzionali che permettano agli haitiani di vivere in pace».
Lunedì, 11 agosto 2025
