La Russia sconfitta in ucraina e i terroristi non hanno ottenuto ciò che volevano
di Danilo Taino – il “Corriere della sera” del 3 ottobre 2025
La Russia di Putin ha ormai perso la guerra che ha scatenato contro l’Ucraina: possiamo dirlo. E la sconfitta di Hamas è vicina, con essa quella dell’Asse della Resistenza incardinato sull’Iran. Forse, a questo punto, faremmo bene a cambiare la conversazione prevalente: stiamo vedendo che il club dei bellicisti e degli odiatori delle democrazie ha, come dice Trump, delle tigri di carta tra i soci; e, pur con tutte le loro indecisioni e incertezze morali, i Paesi occidentali mantengono una forza, almeno d’inerzia, che nemmeno essi sapevano di avere. L’attacco al sistema liberale è probabilmente solo agli inizi ma per ora non registra risultati, anzi. L’offensiva di Mosca è finita nella sabbia: non riuscirà ad annullare l’Ucraina come pretendeva dal 2014 e poi nel 2022. Il pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023 ha prodotto il contrario dell’obiettivo: il ridisegno della mappa politica del Medio Oriente che segna la fine dell’egemonia imposta da ayatollah e terroristi.
La propaganda del Cremlino, condivisa spesso dai filorussi in Europa, vuole fare credere che Mosca sta avanzando sia sul terreno ucraino sia in termini politici e diplomatici. È falso. L’invasione del febbraio 2022 è stata un fallimento e, da allora, anche l’avanzata nelle regioni di confine dell’Est è stata insignificante, nonostante il milione di soldati russi morti e feriti che Putin ha mandato al sacrificio. Sul Financial Times, lo storico militare Yuval Noah Harari ha calcolato che, se avanzasse al ritmo degli scorsi nove mesi, l’esercito russo impiegherebbe cento anni e decine di milioni di perdite umane per raggiungere l’obiettivo. Sul mare gli ucraini hanno costretto la Marina russa a stare lontana. E nei cieli Mosca non è mai riuscita ad avere il controllo di quello ucraino.
In parallelo, l’esercito di Kiev era del tutto impreparato nel 2014, quando la Russia invase la prima volta e si impossessò della Crimea: oggi è probabilmente l’esercito tecnologicamente più preparato al mondo, innovativo e determinato. Difendere il proprio Paese mobilita e aguzza le menti. Il Cremlino riesce solo a colpire case e infrastrutture, a uccidere i civili. All’interno, Putin ha creato un’economia di guerra, ma ciò ha significato asfissiare l’economia civile. Un fallimento in fondo prevedibile data la logica vecchia di un Paese che non ha capacità d’innovazione e deve contare sempre più sul sostegno di Cina, Corea del Nord, Iran. Certo, Mosca è impegnata in una guerra ibrida contro l’Europa, nella speranza di ottenere successi grazie alle quinte colonne che ha in un po’ di Paesi: in questo è pericolosa, ma finora ha ottenuto di fare entrare Finlandia e Svezia nella Nato e di dare una sveglia ai Paesi della Ue (non tutti) e al Regno Unito. Contava su Trump ma anche il presidente americano sembra avere realizzato che Putin è, come direbbe lui stesso, «un perdente».
Se Hamas pensava, il 7 ottobre 2023, di approfittare della guerra in Ucraina per sistemare i conti con Israele, anzi con gli ebrei, ha ottenuto l’opposto: il declassamento suo e dei suoi amici che per decenni hanno tenuto il Medio Oriente sotto il ricatto del terrorismo e delle minacce armate. È vero che Israele oggi è isolato a livello internazionale a causa di una guerra che le è stata dichiarata e che non ha potuto che accettare, pena la sua sopravvivenza. È vero che il governo Netanyahu ha compiuto errori e ha pagato l’avere nella sua maggioranza estremisti su posizioni inaccettabili per i Paesi democratici. È altrettanto vero che le forze di Israele — in gran parte riservisti, civili che difendono il diritto di esistere della loro casa, come gli ucraini — in Libano hanno disarticolato i vertici e parte della struttura di Hezbollah, si sono difesi con successo dagli attacchi jihadisti provenienti dall’Iraq e dagli Houthi, hanno favorito la caduta del regime di Assad in Siria, hanno decimato la potenza militare di Hamas e infine hanno, con l’aiuto di Washington, ridimensionato gli obiettivi e il prestigio degli ayatollah di Teheran.
La conversazione prevalente in Europa addossa a Israele la responsabilità della tragedia in corso a Gaza. E le bombe che uccidono civili non sono meno orribili di quelle britanniche e americane che caddero su Dresda, su Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Ma una parte dell’indignazione che corre è data dall’avere troppo spesso presa come realtà la propaganda di Hamas stessa; un’altra parte viene dai passi estremi del governo israeliano, spesso anche arrogante; e un’altra parte ancora da una dose preoccupante di antisionismo e antisemitismo risuscitati. Soprattutto, non ci si è quasi mai chiesti quale alternativa aveva Israele dopo il pogrom di due anni fa. Ora, vedremo se il piano in venti punti avanzato da Trump, accettato dal primo ministro israeliano e apprezzato da una serie di Paesi arabi avrà le gambe per camminare. Il presidente americano ha certamente torto il braccio dietro la schiena a Netanyahu per limitarlo e spingerlo verso l’accordo. Ma, se un accordo ci sarà, sarà perché l’Asse della Resistenza è stato declassato e deve accettare il proprio ridimensionamento politico e militare. Non perché, come spesso si dice, Hamas ha comunque vinto in quanto avrebbe attratto Israele in una trappola: non ha vinto.
Putin, gli ayatollah, i terroristi non cesseranno le loro azioni. Anzi, feriti possono essere ancora più aggressivi. Ma mostrano di avere i piedi d’argilla.
Domenica, 5 ottobre 2025
