Il pubblicano si presenta davanti al Signore confessando in tutta onestà i suoi molti peccati e proprio per questo trova perdono
di Michele Brambilla
L’Angelus del 26 ottobre prende le mosse dal fatto che «oggi il Vangelo (cfr Lc 18,9-14) ci presenta due personaggi, un fariseo e un pubblicano, che pregano nel Tempio. Il primo vanta un lungo elenco di meriti» perché «le opere buone che compie sono molte, e per questo si sente migliore degli altri, che giudica in modo sprezzante. Sta in piedi, a testa alta», mentre l’altro, il pubblicano, umilmente non osa alzare lo sguardo verso il Signore. Sa di avere molti peccati: i pubblicani erano coloro che riscuotevano le tasse per i Romani ed erano considerati dagli altri ebrei dei traditori della patria. Tuttavia «Gesù ci dice che proprio lui, tra i due, è quello che torna a casa “giustificato”, cioè perdonato e rinnovato dall’incontro con Dio».
Il pubblicano ritorna perdonato perché «ha il coraggio e l’umiltà di presentarsi davanti a Dio. Non si chiude nel suo mondo, non si rassegna al male che ha fatto. Lascia i luoghi in cui è temuto, al sicuro, protetto dal potere che esercita sugli altri. Viene al Tempio da solo, senza scorta, anche a costo di affrontare sguardi duri e giudizi taglienti, e si mette davanti al Signore, in fondo, a testa bassa, pronunciando poche parole: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”», mentre il fariseo nasconde le sue mancanze dietro un’applicazione ferrea della Legge che non ammette misericordia.
«Così Gesù ci dà un messaggio potente: non è ostentando i propri meriti che ci si salva, né nascondendo i propri errori, ma presentandosi onestamente, così come siamo, davanti a Dio, a sé stessi e agli altri, chiedendo perdono e affidandosi alla grazia del Signore», dice il Pontefice. «Commentando questo episodio, Sant’Agostino paragona il fariseo a un malato che, per vergogna e orgoglio, nasconde al medico le sue piaghe, e il pubblicano a un altro che, con umiltà e saggezza, mette a nudo davanti al dottore le proprie ferite, per quanto brutte a vedersi, chiedendo aiuto» a Colui per il quale noi non siamo la somma dei nostri peccati. «Non ci stupisce […] se quel pubblicano, che non ebbe vergogna a mostrare la sua parte malata, se ne tornò […] guarito» (Sermo 351,1): ha interpellato lo Specialista.
Allora «facciamo così anche noi. Non abbiamo paura di riconoscere i nostri errori, di metterli a nudo assumendocene la responsabilità e affidandoli alla misericordia di Dio. Potrà così crescere, in noi e attorno a noi, il suo Regno, che non appartiene ai superbi, ma agli umili, e che si coltiva, nella preghiera e nella vita, attraverso l’onestà, il perdono e la gratitudine».
La grande malattia dell’anima del nostro tempo è la conflittualità. Il Papa continua a chiedere di pregare il S. Rosario per la pace, perché «da questa intercessione del cuore nascono tanti gesti di carità evangelica, di vicinanza concreta, di solidarietà. A tutti coloro che, ogni giorno, con fiduciosa perseveranza, portano avanti questo impegno, ripeto: “Beati gli operatori di pace”».
Lunedì, 27 ottobre 2025
