Il regime di Vladimir Putin, che può contare su uomini che provengono dal vecchio KGB sovietico e ne perpetuano le ambizioni imperialiste ed eversive, dimostra che la conversione della Russia non è ancora avvenuta
di Roberto Cavallo
Papa Benedetto XVI, durante l’omelia pronunciata sulla spianata del Santuario di Fatima, il 13 maggio 2010, ebbe a dire: «Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa».
Anche in relazione a tale passaggio, il Capitolo Nazionale di Alleanza Cattolica nell’aprile 2022, e cioè all’indomani dell’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, pubblicava un testo dal titolo: Fatima, la guerra e la Contro-Rivoluzione.
In esso, fra le altre cose, si legge: «Ma non si deve dimenticare che il Messaggio (di Fatima, n.d.r.) ha anche un’evidente dimensione pubblica e politica – nel senso nobile e alto del termine –, che riguarda tanto la Russia comunista, la quale ha diffuso i suoi errori in tutto il mondo nel corso del Novecento, quanto la Russia odierna, e quindi la guerra scoppiata dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo».
Come noto, la Russia è l’unico Paese direttamente citato dalla Madonna nel Messaggio, e per ben due volte!
L’invito allora è quello di continuare a pregare – e a fare sacrifici – perché i popoli della Russia, come chiesto dalla Vergine, si convertano. Ciò significa che la Russia non si è già convertita. Il vistoso passaggio al riconoscimento del culto ortodosso, infatti, ben poca consistenza riveste se non accompagnato dal riconoscimento del diritto naturale, dello jus gentium e dei diritti umani fondamentali, drasticamente conculcati dalle autocrazie, compresa quella russa.
Ma c’è di più. Siamo veramente sicuri che il 1991 abbia comportato un taglio, drastico e definitivo, con il passato comunista? Molti, troppi lo danno per scontato.
Non così Catherine Belton, che nel suo libro Gli uomini di Putin. Come il KGB si è ripreso la Russia e sta conquistando l’Occidente (La Nave di Teseo, 2020, pp. 783) con dovizia di particolari e di fonti, ritiene che certamente una transizione vi sia stata, ma che i comunisti, e nello specifico il KGB, abbiano preso a tempo debito (e cioè già prima dell’implosione dell’URSS) tutte le proprie precauzioni. Per la Belton, giornalista finanziaria per sei anni corrispondente del Financial Times a Mosca, si è trattato soprattutto di un aggiustamento di tiro, e cioè del passaggio dall’economia socialista all’economia di mercato: in ciò il circolo putiniano e il nuovo FSB si distinguevano dai vetero-comunisti. Resta il fatto che siamo dinanzi ad un’economia di mercato rigidamente teleguidata dallo Stato, con l’esercizio di un particolare e soffocante capitalismo governativo. Oligarchi e magnati possono anche proliferare e arricchirsi, in patria e all’estero, ma devono obbedire a questo cliché, pena la prigione o il suicidio “assistito”.
Se tutto ciò vale dal punto di vista macroeconomico, da quello culturale e religioso la musica non cambia. Secondo la Belton, «la maggior parte di questo rinnovato zelo religioso non era in realtà altro che una copertura. All’interno della Russia, l’unione tra Chiesa e Stato era l’ennesima goccia che rischiava di erodere l’ultimo residuo di democrazia; l’avvicinamento all’ortodossia da parte dell’élite al potere ha permesso di reprimere ulteriormente chiunque operasse al di fuori del loro sistema» (p. 524).
E come in economia il KGB/FSB gradualmente ma inesorabilmente si è impossessato di asset pregiati, iniziando dai mezzi di comunicazione e poi dalle grandi aziende del gas e del petrolio, creando fondi di investimento e partecipazioni pubblico/private a doppio filo con grandi aziende dell’Occidente, così nell’ambito culturale e religioso altri uomini legati a Putin hanno infiltrato movimenti culturali e politici nazionali e occidentali – anche ben orientati sul tema della famiglia, del gender, dell’omosessualità – per dirigerli a favore dell’unico obiettivo possibile: la rinascita della potenza russa. Scrive la Belton: «Queste tattiche erano, ancora una volta, tratte dal manuale dell’epoca sovietica, quando il KGB si era insinuato nel movimento antinucleare statunitense e nelle proteste contro la guerra in Vietnam» (p. 525). L’unica differenza è che oggi sono le “ONG” russe a prendersi il compito di concedere sovvenzioni ai gruppi dell’ultrasinistra e dell’ultradestra occidentali.
Resta a questo punto da esaminare il livello di consenso popolare alla leadership putiniana. Per Catherine Belton il tacito patto con la nuova borghesia medio alta, cresciuta nel quarto di secolo putiniano, riguarda non solo la garanzia di trascorrere ogni anno piacevoli ferie estive sul Mar Nero o in Turchia (almeno prima della guerra ucraina), ma soprattutto l’entusiasmo per il ripristino dell’impero (p. 464). Entusiasmo che riguarda gran parte del popolo russo.
Alla luce di tali premesse, l’aggressione manu militari prima alla Georgia e poi all’Ucraina e la strisciante guerra ibrida scatenata all’Europa sarebbero solo la conferma fattuale della continuità della volontà di potenza di una Nazione e di un Popolo per cui la Santa Vergine, come scritto in esordio, ci chiede di pregare e di sacrificarci ancora, perché – alla fine – la sua reale conversione ci sarà.
Venerdì, 27 novembre 2025
