Come insegnato da sant’Alfonso Maria de’ Liguori, pensare alla propria morte significa mettere al centro il nostro personale incontro con il Signore risorto. Il transumanesimo dimentica che la radice della morte non sta nella morte stessa, ma nel peccato originale
di Michele Brambilla
Aprendo l’udienza del 10 dicembre, Papa Leone XIV osserva che «il mistero della morte ha sempre suscitato nell’essere umano profondi interrogativi. Essa infatti appare come l’evento più naturale e allo stesso tempo più innaturale che esista. È naturale, perché ogni essere vivente, sulla terra, muore. È innaturale, perché il desiderio di vita e di eternità che noi sentiamo per noi stessi e per le persone che amiamo ci fa vedere la morte come una condanna, come un “contro-senso”». Il Santo Padre deplora che mentre «molti popoli antichi hanno sviluppato riti e usanze legate al culto dei morti, per accompagnare e ricordare chi si incamminava verso il mistero supremo», oggi «si registra una tendenza diversa. La morte appare una specie di tabù, un evento da tenere lontano; qualcosa di cui parlare sottovoce, per evitare di turbare la nostra sensibilità e tranquillità. Spesso per questo si evita anche di visitare i cimiteri, dove chi ci ha preceduto riposa in attesa della risurrezione», come ci ricordano molte iscrizioni poste al loro ingresso.
«Che cosa è dunque la morte? È davvero l’ultima parola sulla nostra vita? Solo l’essere umano si pone questa domanda, perché lui solo sa di dover morire. Ma l’esserne consapevole non lo salva dalla morte, anzi, in un certo senso lo “appesantisce” rispetto a tutte le altre creature viventi. Gli animali soffrono, certamente, e si rendono conto che la morte è prossima, ma non sanno che la morte fa parte del loro destino» perché non hanno finalità più alte degli scopi preposti alla loro specie. Solo l’uomo, quindi, è consapevole di dover morire, ma si ricorda che è anche destinato a risorgere?
«Sant’Alfonso Maria de’ Liguori», lo stesso Dottore della Chiesa a cui dobbiamo il canto Tu scendi dalle stelle, «nel suo celebre scritto intitolato Apparecchio alla morte, riflette sul valore pedagogico della morte, evidenziando come essa sia una grande maestra di vita. Sapere che esiste e soprattutto meditare su di essa ci insegna a scegliere cosa davvero fare della nostra esistenza», perché al di là della fatale soglia ci attende il Giudice per eccellenza, Gesù, che per la nostra salvezza ha gustato per primo la morte e l’ha vinta, risalendo poi alla destra del Padre.
Allora «pregare, per comprendere ciò che giova in vista del regno dei cieli, e lasciare andare il superfluo che invece ci lega alle cose effimere, è il segreto per vivere in modo autentico, nella consapevolezza che il passaggio sulla terra ci prepara all’eternità. Eppure molte visioni antropologiche attuali promettono immortalità immanenti, teorizzano il prolungamento della vita terrena mediante la tecnologia». Il transumanesimo, citato esplicitamente dal Pontefice, è una grande e grave illusione perché carente dal punto di vista antropologico: vuole un’eternità meramente funzionale, ma senza intaccare la natura misteriosa del male. Ammesso che si riesca ad allontanare la morte fisica, «la stessa scienza potrebbe garantirci che una vita senza morire sia anche una vita felice?». La risposta è chiaramente no, perché fu il peccato ad introdurre la morte nel mondo, non viceversa. Pertanto, «l’evento della Risurrezione di Cristo», che aveva come obbiettivo primo la vittoria sulla radice di ogni male, cioè il peccato originale, «ci rivela che la morte non si oppone alla vita, ma ne è parte costitutiva come passaggio alla vita eterna. La Pasqua di Gesù ci fa pre-gustare, in questo tempo colmo ancora di sofferenze e di prove, la pienezza di ciò che accadrà dopo la morte. L’evangelista Luca sembra cogliere questo presagio di luce nel buio quando, alla fine di quel pomeriggio in cui le tenebre avevano avvolto il Calvario, scrive: “Era il giorno della Parasceve e già risplendevano le luci del sabato” (Lc 23,54)». Il Sabato Santo è la dimensione della nostra esistenza, dopo la quale si spalanca l’Ottavo Giorno, quello che “rompe” il tempo cronologico, basato sulla settimana, e lo porta davvero alla sua pienezza.
«Il Risorto», quindi, «ci ha preceduto nella grande prova della morte, uscendone vittorioso grazie alla potenza dell’Amore divino. Così ci ha preparato il luogo del ristoro eterno, la casa in cui siamo attesi; ci ha donato la pienezza della vita in cui non vi sono più ombre e contraddizioni. Grazie a Lui, morto e risorto per amore, con San Francesco possiamo chiamare la morte “sorella”» e attenderla come il passaggio gioioso ad un altro “stadio” della nostra esistenza.
Sono pensieri che non costituiscono un’irenistica “fuga dal mondo”: sono proprio coloro che vivono nella prospettiva dell’eternità a difendere meglio la dignità di ogni essere umano, come fa lo stesso Papa nel suo appello per il cessate il fuoco tra Thailandia e Cambogia. Leone XIV richiama ancora una volta come esempio virtuoso il percorso di riconciliazione tra tedeschi e polacchi dopo la Seconda guerra mondiale, che ha avuto come promotori i vescovi delle due nazioni e come fondamento le comuni radici cristiane.
Giovedì, 11 dicembre 2025
