Plinio Corrêa de Oliveira, Cristianità n. 69 (1981)
Messo in evidenza dalle elezioni americane
Conservatorismo popolare
Una falsa concezione degli atteggiamenti popolari – oppure una loro volontaria deformazione maliziosa – ha provocato le errate previsioni circa i risultati della recente competizione elettorale che si è svolta negli Stati Uniti e che ha visto una decisa vittoria del candidato conservatore Ronald Reagan. Il significato del risultato, che ha rivelato l’esistenza di un conservatorismo popolare, massiccio, e che contraddice le diagnosi rivoluzionarie obbligate. Un fenomeno non solo americano, ma forse mondiale, che costituisce premessa importante della restaurazione di una società autenticamente cristiana.
«Negli Stati Uniti si sta realizzando una “rivoluzione sociale” assolutamente poco comune», ha affermato, in una corrispondenza da Los Angeles, in California, El Mercurio, il quotidiano più diffuso di Santiago del Cile (1). La corrispondenza spiega in profondità il fenomeno a proposito del quale si sono rivelate errate così pesantemente le previsioni di innumerevoli organi della stampa scritta e parlata, in tutto l’Occidente; cioè la sconfitta di Carter e la vittoria di Reagan.
L’ampiezza di questo errore di previsione è stata tale che un redattore della Folha de S. Paulo ha potuto scrivere spiritosamente, nella sezione Cotidiano, che il fatto getta il discredito su «tutti i “commentatori”, “interpreti”, “osservatori”, “specialisti”, “periti” e altri chiacchieroni», che hanno scritto sull’argomento, così come su «i più stimati istituti di analisi e di interpretazione della opinione pubblica» (2).
Mi sembra che questo errore penosamente madornale sia stato dovuto al fatto che nessuno ha tenuto conto del fenomeno, per altro facile da cogliere, che il corrispondente di El Mercurio riassume in questi termini: oggi, «i ricchi diventano “progressisti” e i poveri diventano “conservatori”». E il giornale spiega: i ricchi, negli Stati Uniti, stanno soffrendo di un «complesso da poveri» che li porta – per esempio – a lasciare da parte le automobili sfarzose e ultraconfortevoli di un tempo, e a preferire le «piccole automobili giapponesi o tedesche con rumorosi motori diesel». I poveri, al contrario, mossi da un «complesso da ricchi», usano le automobili più vistose che riescono a comperare.
La «rivoluzione alla rovescia», così descritta, a mio modo di vedere non esiste soltanto negli Stati Uniti. Si notano sintomi di essa in diversi paesi. Per esempio, in Brasile: chi non ricorda il suffragio sorprendentemente di sinistra di una parte impressionante dell’elettorato degli agiati quartieri alti, i jardins, della capitale dello Stato di San Paolo, in occasione dell’ultima consultazione elettorale?
Non è quindi difficile spiegare perché Reagan, il candidato conservatore, abbia avuto più voti di Carter, il candidato progressista. Ciò non sarebbe stato possibile senza una avanzata del conservatorismo nella classe povera e, per contiguità, nelle categorie più modeste della popolazione; ossia in settori sociali per definizione molto numerosi.
Evidentemente non era identica la posizione di queste
classi quando, nel 1976, fu eletto Carter. Gli oracoli professionali, spiritosamente enumerati dal redattore della Folha de S. Paulo, non hanno visto questo mutamento? Oppure l’hanno visto, ma, condizionati dalle note pressioni ideologiche, non hanno potuto portarlo a conoscenza del pubblico?
Il fatto è che l’Occidente veniva tratto in inganno dalla convinzione secondo cui i poveri costituiscono un enorme mare di gente scosso dalla indignazione, increspato da onde di crescente aggressività. Stava ormai accadendo, in diverse parti, che queste onde si gettavano contro la parete ostinata dei plutocrati, sempre più avidi e più irriducibili. A un dato momento, sarebbe stato inevitabile che le onde finissero per abbattere la parete. Infatti questa non avanza: resiste soltanto. E vincere non consiste solamente nel resistere, ma anche, e principalmente, nell’avanzare. Era questo il vecchio mito marxista della lotta di classe, con cui la propaganda internazionale intossicava giorno e notte l’Occidente.
Questa falsa visione della realtà avrebbe naturalmente condotto a che i poveri diventassero sempre più esigenti, pregustando la loro vittoria; e che i ricchi – infine spaventati – divenissero sempre più capitolazionisti (mi perdoni il lettore l’orrendo neologismo).
Ebbene, questo mito, per quanto riguarda gli Stati Uniti, è stato or ora smascherato dalle ultime elezioni. I poveri hanno frenato la loro indignazione con una giravolta indubbiamente autentica. Il che – sia detto di passaggio – depone a favore della loro probità d’animo e del loro buon senso.
E i ricchi? Non dispongo, al momento, di dati che mi permettano di parlare dei ricchi nordamericani. Ho davanti agli occhi il mio Brasile, con i suoi ricchi. Per analogia con i loro corrispondenti nordamericani simili a nababbi, si può intravedere qualcosa a loro proposito.
Per quanto sia favorevole a una organizzazione sociale armonicamente stratificata, devo tuttavia affermare che, nei grandi centri, la classe sociale percentualmente più di sinistra è quella dei ricchi. Presumibilmente, se tutti gli elettori avessero la mentalità della maggior parte di questi ricchi, il Brasile sarebbe già un paese avanzatamente socialista. Ciò che salva dalla catastrofe i settori sociali più opulenti è, a mio modo di vedere, il fatto che i poveri e la classe media sono molto più conservatori di loro.
Come spiegare questa mentalità di ricchi – e specialmente di nostri ricchissimi – di sinistra? Eccoli lottare giorno e notte per moltiplicare guadagni e accumulare fortune. Per questo non sono disinteressati. Come spiegare, allora, il fatto che siano favorevoli a che il socialismo disperda quanto così laboriosamente accumulano? Paura, paura-panico dei marosi del popolo, che immaginano infuriato? Volontà, allora, di «cedere, per non perdere», secondo il vecchio slogan agro-revisionista della metà degli anni Sessanta? È certo probabile. Ma, a mio modo di vedere, non tutto si può spiegare solamente con questo …
Ma, comunque, la sgraziata e stanca melopea di Carter sui diritti umani non ha trovato ascoltatori più entusiasti, in Brasile, dei ricchi di sinistra. Né la sconfitta di Carter ha suscitato uguale tristezza in qualche altro settore della popolazione.
Il mondo sta cambiando, ma loro no. Forse la sconfitta di Carter farà loro vedere quanto siano anacronistici nei loro modi di vedere!
In realtà, allo scopo, non avrebbero bisogno della sconfitta di Carter. Basterebbe che prestassero attenzione alla più insistente parola d’ordine della «sinistra cattolica»: «coscientizzare, coscientizzare…». Chiedo: chi? La classe operaia. Di che? Del fatto che ha ragioni per indignarsi contro i padroni. Concludo: ergo, questa indignazione è minore di quanto la «sinistra cattolica» vuole. E viene gonfiata a colpi di mantice da questa.
Di conseguenza, il conservatorismo popolare non sembra essere soltanto una realtà nordamericana, ma anche brasiliana, sudamericana, forse mondiale.
Tutto questo non significa dire che i non-poveri possono darsi tranquillamente alla oppressione di poveri così rassegnati. È vero proprio il contrario. Dai poveri viene ai ricchi di sinistra una grandissima lezione di buon senso. Se a questa lezione i non-poveri trascureranno di rispondere con una condotta impregnata di rispetto, dello spirito di giustizia e di carità cristiana, il corso della storia, guidato dalla mano di Dio, abbatterà questi nababbi socialisti incorreggibili. Per fare una società senza classi? No, ma una società gerarchizzata, che cominci a meritare in modo autentico la nobile qualifica di cristiano.
Plinio Corrêa de Oliveira