Giovanni Cantoni, Cristianità n. 73-74 (1981)
L’analisi accurata dei dati complessivi del recente referendum sull’aborto – dati che la stampa ha ignorato nella loro completezza, non tenendo così conto della reale incidenza delle astensioni, e che pubblichiamo comparandoli con i risultati del referendum sul divorzio – testimonia come la evidente sconfitta del mondo cattolico non sia tanto da addebitare a un incremento delle forze rivoluzionarie quanto alla incapacità della dirigenza del mondo cattolico stesso di mobilitare la propria base. Questo il significato dell’alto numero delle astensioni che, in alcune regioni, in modo particolare del centro-sud, ha quasi dimezzato i voti antiabortisti rispetto ai voti antidivorzisti del 1974, senza peraltro andare a incrementare lo schieramento abortista. La necessità, espressa dalla sconfitta referendaria e ripetutamene manifestata dal regnante Pontefice, di «formare le intelligenze, con ferme ed illuminate convinzioni» allo scopo di «ricominciare tutto da capo» e di preservare i cristiani «dall’ateismo, dall’agnosticismo, dall’illuminismo vagamente moralistico, da un cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza morale oggettiva».
Anatomia di un “referendum”
17 maggio 1981: la verifica della confusione e della delusione
La tornata elettorale referendaria del 17 maggio ha visto la conferma, attraverso le urne, delle norme della iniqua «legge» n. 194, che dal 22 maggio 1978 ha introdotto il preteso «diritto di aborto» nell’ordinamento giuridico della nostra nazione.
L’infausto esito della consultazione popolare – una sconfitta inequivocabile del mondo cattolico italiano e del senso comune del nostro popolo – richiede si vada immediatamente oltre il dolore e l’eventuale stupore per la quantità della sconfitta, affinché, da un esame attento e impietoso del fatto, emergano, con la maggiore chiarezza possibile, le linee di una rimonta e di una rivincita, alla quale ciascuno può e deve portare il proprio contributo.
1. È anzitutto necessario sgomberare il terreno dalle impressioni prodotte dal risultato, impressioni che vengono consuetamente alimentate dal modo con cui il risultato stesso viene presentato, e cioè in rapporto ai voti validamente espressi. Infatti, se è vero che sono questi i voti che determinano l’effetto politicamente e giuridicamente rilevante – nel caso, la conferma della «legge » n. 194 -, è pure vero che la loro considerazione esclusiva occulta lo stato della nazione e falsifica l’immagine reale del corpo sociale. Inoltre, accanto ai dati che hanno determinato in positivo il risultato – cioè accanto ai dati relativi ai «no» e ai «sì» al quesito minimale sottoposto a referendum abrogativo, forniti con riferimento all’intero corpo elettorale -, vanno presentati quelli relativi alle schede bianche, a quelle nulle e, finalmente, il numero e la percentuale degli elettori che non si sono presentati a votare, pur avendone diritto. Solo in queste condizioni si può notare come nel turno elettorale svoltosi il 17 maggio 1981 si sia registrata la maggiore percentuale di astensioni dal 1946: infatti, non si è presentato a votare il 20,4% degli aventi diritto. Ancora: poiché è perfettamente nota la elevata politicizzazione degli abortisti – cioè, in generale, dell’elettorato di sinistra, sostanzialmente e ufficialmente coincidente con quello abortista -, è lecito sottrarre gli astenuti al novero degli abortisti stessi. Se a tale novero si sottraggono anche le schede bianche e quelle nulle – frutto di timore di sbagliare e di scarsa o imperfetta informazione, anch’essa non propria di un elettorato altamente politicizzato e controllato dai partiti, e a compenso di quanti hanno detto «no all’aborto» votando «no»! -, se ne ricava che la «legge» n. 194 è stata confermata da meno del 50% degli aventi diritto. Questo risultato configura, almeno dal punto di vista quantitativo, condizioni sia pure lievissimamente migliori di quelle messe in evidenza dai dati, correttamente presentati, forniti dal referendum antidivorzista del 12 maggio 1974 (1)!
2. Il quadro venuto alla luce non trasforma certamente una dolorosa sconfitta in una vittoria di fantasia, ma può contribuire in modo rilevante alla identificazione delle concause che hanno determinato, più o meno direttamente e a diverso titolo, tale sconfitta. Infatti, non ci si deve assolutamente arrestare alla generica e coinvolgente considerazione secondo cui «abbiamo perso». Perché, ancora, se è vero che la società corrotta è dominata dalla Rivoluzione non è percentualmente avanzata dal 12 maggio 1974 al 17 maggio 1981, ma che chi la organizza ha saputo portarla a valere sempre di più dal punto di vista politico, si deve ugualmente notare come il mondo avverso alla Rivoluzione, o a essa colpevolmente indifferente, se non ha globalmente ceduto in consistenza percentuale nello stesso lasso di tempo, non ha però trovato uomini capaci di organizzarlo, di animarlo e di mobilitarlo, in modo da potenziarne rilevantemente il peso politico. Il quadro che si evince, sulla base di questa ulteriore osservazione, descrive una nazione statica dal punto di vista della consapevole immoralità, nonostante l’incremento numerico dell’elettorato, evidentemente giovanile, che ha assunto le posizioni di quello più maturo, contro ogni facile profezia e retorica che vuole i «giovani» per definizione «progressisti». In essa operano con diverso insuccesso due polarità mobilitanti, l’una – quella divorzista e abortista – senza riuscire a dilatare positivamente la propria base reale; l’altra – quella antidivorzista e antiabortista – senza riuscire a mobilitare e organizzare il proprio potenziale elettorato, anzi, perdendo sempre più contatto con esso. In conclusione, il risultato referendario evidenzia con chiarezza più la sconfitta del personale che pretende alla rappresentanza e alla dirigenza del mondo cattolico e genericamente benpensante, piuttosto che la vittoria della dirigenza rivoluzionaria, che ha certamente aumentato il proprio peso politico, ma che, dal punto di vista sociale, non ha conquistato percentualmente nessuno, ottenendo sul mondo che la avversa soprattutto un risultato di confusione e di demoralizzazione. Conferma di quanto affermato si ricava ampiamente leggendo i dati della astensione dal nord al sud del paese, dalla permanente corrispondenza tra la Sudtiroler Volks-Partei e la sua base elettorale al crollo della credibilità democristiana e alla conseguente crisi di consenso; dalle aree caratterizzate dall’associazionismo cattolico più recente e spontaneo a quelle animate – o disanimate, nonostante gli sforzi di parte del clero – dal fatiscente associazionismo ufficiale, sempre più evidentemente incapace di mobilitare, quando non anche di mobilitarsi. Quanto alla confusione, mi limito a ricordare quella grande prodotta dalle molte consultazioni contemporanee, oggettivamente banalizzante il tema «aborto», equiparato, per esempio, al «porto d’armi». E taccio, perché di esperienza comune, della aggressione dei mass media, pressoché totalitariamente manipolati dalle forze della Rivoluzione, sia confesse che nella forma di «quinta colonna».
3. Venendo a conclusione, merita un cenno – suggerito dal riferimento alla «quinta colonna» – l’opera che gli stessi pretendenti alla rappresentanza e alla dirigenza del mondo cattolico hanno svolto nel senso della confusione e della demoralizzazione, a. attraverso il ritardato ricorso allo strumento referendario che, se ha permesso la inequivocabile rilevazione della ecatombe, ha pure permesso la incipiente assuefazione a essa; b. attraverso una lotta condotta più contro la turbativa prodotta dal referendum promosso dai radicali che non contro la «legge» n. 194 e contro quello Stato secondo le cui autorità solo l’aborto è «costituzionale»; c. attraverso, infine, una azione propagandistica basata più sulla «difesa della vita» che sulla denuncia della natura e del carattere omicida dell’aborto, con effetti attenuanti l’entusiasmo nella lotta e lo scandalo. E così via, di nuovo, tacendo della confusione e della demoralizzazione remote, seminate dal relativismo morale e dal permissivismo.
4. Dunque, il mondo cattolico ha perduto una battaglia storica. Dunque, solo l’aborto è «costituzionale». Niente è mai definitivo, per chi non lo vuole. Tutto, forse, è ancora possibile. Ma il Papa ha parlato, dirà qualcuno. Ma i vescovi non hanno taciuto, incalzeranno altri. Certo, ma chi ha trasmesso gli ordini? Dov’erano i corpi intermedi tra la Gerarchia e la base? Dove i propagatori costanti di una cultura veramente cattolica? Su quale terreno sono caduti gli appelli, per altro espliciti?
Or non è molto, parlando ai convegnisti di Missioni al Popolo per gli anni ‘80, il regnante Pontefice notava: «Bisogna ammettere realisticamente e con profonda e sofferta sensibilità che i cristiani oggi in gran parte si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi, si sono sparse a piene mani idee contrastanti con la Verità rivelata e da sempre insegnata; si sono propalate vere e proprie eresie in campo dogmatico e morale, creando dubbi, confusioni, ribellioni, si è manomessa anche la Liturgia; immersi nel “relativismo” intellettuale e morale e perciò nel permissivismo, i cristiani sono tentati dall’ateismo, dall’agnosticismo, dall’illuminismo vagamente moralistico, da un cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza morale oggettiva» (2).
Come non riconoscere la puntualità della diagnosi? Come non riconoscerne la verifica, non desiderata, nei risultati del 17 maggio 1981?
I dati che ho tentato di mettere in evidenza definiscono il campo dell’opera apostolica da svolgere, le cui linee sono magistralmente tracciate dallo stesso Pontefice: «Oggi bisogna aver pazienza, e ricominciare tutto da capo, dai “preamboli della fede” fino ai “novissimi”, con esposizione chiara, documentata, soddisfacente. È necessario formare le intelligenze, con ferme ed illuminate convinzioni, perché solo così si possono formare le coscienze» (3).
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Alle considerazioni svolte credo se ne debba aggiungere un’altra, che direi «fuori serie», ma, comunque, di straordinaria importanza. La situazione sulla quale mi è parso di dover attirare l’attenzione di ogni osservatore descrive, infatti, una sorta di costante ma lentissimo smottamento del corpo sociale dalla moralità alla amoralità, e da questa alla immoralità vera e propria. Si tratta di un processo senza salti; senza passaggi trascurati, che si svolge sotto gli occhi dell’uomo della strada, del semplice cittadino, e che, in sé stessa, è di una assoluta ovvietà e di una quasi immediata percettibilità. Stando così le cose, perciò, quello che colpisce maggiormente, nel processo cui faccio riferimento, non è tanto il processo stesso, quanto piuttosto, la sua velocità, cioè la straordinaria lentezza con cui esso si svolge.
Non posso fare a meno di rilevarla, questa lentezza nella corruzione, questo resistere strano di trincee e di posizioni ormai da tempo sostanzialmente sguarnite; questa incertezza nel nemico a sferrare l’attacco finale, che sembra, umanamente parlando, sicuramente vincente e, quindi, incomprensibilmente rimandato; questo incombere dell’onda, che pure non si abbatte.
In altri termini, appare incomprensibile, o almeno molto strano, che la Rivoluzione non si sia ancora impadronita anche ufficialmente di un paese nel quale giunge a mobilitare la metà del corpo elettorale e su un tema della oggettiva importanza dell’aborto.
E, rilevando questa lentezza, non posso non segnalarne la natura chiaramente straordinaria, frutto evidente della benevolenza divina e dei meriti verso la gloria di Dio accumulati nel passato dalla nostra nazione. Ma devo chiedermi e chiedere, con timore e tremore: fino a quando le cose continueranno così ? Fino a quando Dio sopporterà? Fino a quando durerà il nostro capitale di meriti? Mi pare che il Signore allunghi la notte perché ci svegliamo prima dell’alba e così possa non rimproverarci di non aver vegliato con lui neppure un’ora.
Giovanni Cantoni