Péricles Capanema Ferreira e Melo, Cristianità n. 75-76 (1981)
I problemi posti all’episcopato nicaraguense dalla attiva partecipazione dei cristiani alla rivoluzione marxista-leninista dei sandinisti, in un articolo di un acuto commentatore politico brasiliano. I dubbi, lo smarrimento, le pesanti incertezze del popolo cattolico del Nicaragua, ateistici e materialistici del governo rivoluzionario, disorientato dagli atteggiamenti denominatosi sandinista, ma di fatto marxista e comunista. Un doloroso, ma positivo ammonimento ai cattolici di tutto il mondo affinché rifiutino qualsiasi collaborazione con forze di ispirazione marxista e comunista, comunque camuffate.
Dopo la rivoluzione sandinista
Nicaragua: una ennesima lezione per i cattolici di tutto il mondo
Dopo una prima fase nella quale l’episcopato del Nicaragua, preso nel suo insieme, ha appoggiato con enfasi la rivoluzione sandinista, si dà ora un nuovo tipo di rapporti tra il governo del paese e i vescovi. Quali sono le caratteristiche di questa seconda fase? Quali lezioni racchiude per gli abitanti dell’America Latina, dal momento che il «modello nicaraguense» è presentato da portavoce della sinistra cattolica o laica come un ideale da imitare? Quali ripercussioni ha prodotto all’interno della Chiesa la rivoluzione sandinista? È quanto intendo trattare in questo articolo.
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D’esordio traccerò rapidamente il quadro antico. Il governo di Somoza si è reso responsabile di pratiche condannabili. Il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN), i cui capi erano stati armati e addestrati specialmente a Cuba, si è presentato come punto di coagulo dei settori scontenti. Senza mai negare il suo carattere marxista-leninista, ma anche senza farne propaganda – anzi, occultandolo -, per evitare di intimorire gli incauti, il FSLN a poco a poco è venuto organizzando attorno al suo comando le diverse opposizioni del paese. Fortemente sostenuto da governi e da istituzioni di centro-sinistra e da Cuba – si legga: dalla Russia, dal momento che attualmente Cuba riesce a malapena a piantare canna da zucchero -, ha attaccato militarmente le truppe della Guardia Nazionale nicaraguense.
Non soltanto militarmente. Nello stesso tempo ha scatenato una intensa propaganda filo-sandinista nei mezzi di comunicazione sociale dell’Occidente. Carter ha tagliato gli aiuti a Somoza, mentre la Russia appoggiava i guerriglieri. Di conseguenza, Manágua è caduta in mano a un movimento – il sandinismo – il cui vertice era completamente costituito da marxisti-leninisti, formati nelle dottrine e nei metodi delle scuole del partito comunista.
Soltanto gli studiosi del comunismo dotati di acume analitico scorgevano con chiarezza la manovra politica in corso: un gruppo di rivoluzionari professionisti, esercitati nelle tecniche di agitazione e di propaganda, comandano masse di scontenti, con diversi gradi di indottrinamento marxista e di esaltazione emotiva.
Il fatto che esistano persone lontane dal marxismo nel Fronte Sandinista non toglie a esso il carattere leninista. Lo stesso Lenin accettava nel partito tutti quelli che concordavano nel sottomettersi al suo programma e alle sue direttive. Affermava che avrebbe accettato anche sacerdoti.
Humberto Ortega, attuale ministro della Difesa e sandinista di spicco, ha dichiarato alcuni mesi fa in una intervista a Radio Sandino: «Non abbiamo mai negato di essere marxisti-leninisti. Abbiamo sempre dichiarato di essere sandinisti, ma mai di non essere marxisti-leninisti» (1).
Tuttavia, il FSLN prometteva un tipo nuovo di rivoluzione, rispettosa del pluralismo, senza sangue e senza carceri.
La posizione del clero
Mai il clero ha partecipato così attivamente a una rivoluzione come a quella del Nicaragua. Specialmente nelle fasi finali del regime di Somoza ha ostentato la sua militanza attraverso la partecipazione attiva di sacerdoti e di laici alla guerriglia. Effetto ancora più devastante ha avuto indubbiamente il soffocamento dei sospetti diffusi nel popolo nicaraguense di trovarsi di fronte a una rivoluzione comunista classica. Le resistenze che il timore avrebbe sollevato sono state rose dall’appoggio generalizzato dato dal clero alla insurrezione sandinista.
La sinistra cattolica di tutto il mondo ha esultato per l’andata al potere dei sandinisti.
Sono passati i mesi…
La rivoluzione avanzava inesorabilmente radicalizzando il suo stesso processo. Quello che gli occhi avveduti di alcuni avevano già scorto anche prima della caduta del regime di Somoza – i cui eccessi contribuivano al successo della guerriglia -, andava diventando una tenebrosa realtà. Il marxismo-leninismo lasciava a poco a poco cadere la maschera. Pluralismo sì, ma soltanto se controllato, e che non minacciasse in alcun modo il trionfo esclusivo del sandinismo. Campagne di alfabetizzazione, chiaramente. Tuttavia, con i metodi «coscientizzanti» del tristemente famoso Paulo Freire. Libertà ai prigionieri politici, naturalmente. Ma non subito. Sarebbe stato necessario prima «rieducare» i settemila infelici anti-sandinisti che giacciono ancora nelle galere della dittatura. Elezioni? Per il futuro…
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L’episcopato, che aveva appoggiato la guerriglia contro il regime dl Somoza, di fronte agli orientamenti presi dal sandinismo, ha cercato di prendere le distanze dal processo rivoluzionario svolto dal nuovo governo. In un cattolico autentico, questo mutamento suscitava speranze ed era fonte di consolazioni. Almeno, era passata la fase iniziale, nella quale la inspiegabile convivenza del progressismo con i marxisti del FSLN sconcertava e diffondeva lo scoraggiamento negli abitanti del Nicaragua desiderosi di evitare il dominio dei seguaci di Marx e di Lenin.
Con alla testa la figura dell’arcivescovo di Managua, mons. Miguel Obando y Bravo, sacerdoti e laici di spicco hanno espresso inizialmente con dolcezza il loro dispiacere di fronte agli indirizzi che prendeva la rivoluzione sandinista. In una intervista a Gustavo C. Caycedo, di El Tiempo di Bogotà (2), l’arcivescovo ha esposto alcune delle riflessioni che ha presentato ai membri del governo:
1. I settemila prigionieri politici la cui posizione non è chiara, oltre alla fame terribile cui sono sottoposti. (Paragonando la popolazione del piccolo Nicaragua con quella del Brasile, questo equivarrebbe alla esistenza in tale paese di più di 350 mila prigionieri politici!).
2. La televisione e la libertà di pensiero. Il ministro dell’Interno garantisce la libertà di espressione, ma che la televisione sarebbe stata statalizzata. «Ma permetteremo alla Chiesa di dire la sua messa».
3. Le scuole cattoliche. Il ministro ha risposto: «Voglio essere sincero. Saranno nazionalizzate. ma permetteremo alle suorine di lavorare in esse».
È degno di nota il tono di scherno del sandinista: «ma permetteremo alla Chiesa di dire la sua messa», «ma permetteremo alle suorine di lavorare in esse». Il portavoce insospettabile del governo parlava, in quella occasione, al più qualificato rappresentante della forza che era stata decisiva per il trionfo della rivoluzione!
Il carattere ateo, la militanza marxista-leninista, i controlli e le crescenti limitazioni alle libertà hanno fatto crescere le insofferenze e il senso cattolico radicato nel popolo ha reagito con forza. I sandinisti hanno risposto con un duro comunicato pubblicato sul loro organo ufficiale Barricada, nel quale hanno esposto con chiarezza la loro posizione (3).
Il Fronte sandinista definisce la propria posizione sulla religione
Il comunicato del citato Fronte comincia condannando i timori esistenti in mezzo al popolo. Segnala: «In questa campagna confusionista il tema religioso occupa un posto privilegiato dal momento che un’alta percentuale del popolo nicaraguense ha sentimenti religiosi ben radicati. […].
«Questa campagna dimostra una particolare perversità perché ha per oggetto una realtà che tocca i sentimenti più profondi di molti nicaraguensi» (4).
Fra le righe si legge la confessione che il timore maggiore degli attuali padroni del potere è la reazione anti-sandinista in nome della religione…
Il comunicato prosegue ricordando la partecipazione attiva del progressismo alla rivoluzione sandinista e ricordando anche che «i cristiani sono stati dunque parte integrante della nostra storia rivoluzionaria in una misura senza precedenti in nessun altro movimento rivoluzionario dell’America latina e forse del mondo. Questo fatto apre nuove ed interessanti possibilità alla partecipazione dei cristiani alle rivoluzioni in altre parti, e non solo nella fase della lotta per la conquista del potere, ma anche dopo, nella costruzione di una società nuova» (5).
I sandinisti, come si vede, sperano di ripetere la mossa in altri paesi. Sarà per il fatto che sono certi di poter contare ancora una volta sulla complicità e la ingenuità di importanti settori cattolici?
Il comunicato afferma anche di garantire la libertà religiosa, di rispettare le festività, di accettare dei cristiani in posti di responsabilità, ecc. Ma «il FSLN dichiara il suo diritto di difendere il popolo e la rivoluzione» (6). Cioè, quando, secondo i suoi criteri, giudichi che stiano per essere danneggiati il popolo e la rivoluzione, impedirà il culto e tutte le manifestazioni della vita religiosa che non si inquadrano nei suoi canoni.
Si tratta, come si capisce, del linguaggio tipico di qualsiasi partito comunista, che afferma sempre di difendere la libera pratica della religione, fino a che… Ebbene, il resto è noto.
A questo comunicato secco – che ricorda la simpatia e l’appoggio che la sinistra cattolica ha sempre dato al processo rivoluzionario e che ricorda, fra le righe, di non voler tollerare una opposizione seria, fondata su ragioni religiose – la conferenza episcopale del Nicaragua ha risposto con un manifesto inviato alla direzione nazionale del Fronte Sandinista (7).
La risposta della conferenza episcopale del Nicaragua
Nel primo paragrafo del loro documento i vescovi del Nicaragua notano, con linguaggio diplomatico, che il FSLN non ha provato di avere l’appoggio popolare, sottolineando anche il fatto che tale movimento si mantiene al potere con la forza: «Nessuno potrebbe arrogarsi, da sé o appoggiato da forze estranee al popolo, il diritto di governare e di costituirsi come “rappresentante” dello stesso popolo. […] Un popolo che non viene interpellato dentro i canoni dell’esercizio della libertà, è un popolo umiliato» (8).
Poiché sta rifuggendo dalle elezioni e si autoproclama continuamente «avanguardia cosciente del popolo», la notazione del fatto che ha piedi di argilla suona particolarmente opportuna.
Elogiando la pubblicazione della dichiarazione di principi del Fronte Sandinista, i vescovi, sempre desiderosi del dialogo, insinuano, senza affermarlo positivamente, che la rivoluzione sandinista si avvicina alla tirannia comunista: «[…] la dichiarazione dei principi […] è una base per il dialogo con il popolo cristiano. Solo dal dialogo può sorgere un nuovo cammino di relazioni che permetta di dare alla nostra rivoluzione un significato ed alcune dimensioni umane proprie, che la differenzino realmente e positivamente dalle rigidità dogmatiche di altri “modelli rivoluzionari” finora conosciuti» (9).
Nel mezzo della condanna, non rifiutano l’approvazione data alla guerriglia, che chiamano «nostra rivoluzione». La considerano anche loro; per questo lamentano il fatto che devii pericolosamente verso modelli totalitari.
I prelati ricordano che hanno giustificato la guerriglia, aiutandola efficacemente, perché la giudicavano popolare: «Nel momento in cui abbiamo giustificato il diritto all’insurrezione di fronte a strutture che non garantivano il bene e la sicurezza dei cittadini, abbiamo anche detto che “una rivoluzione non potrebbe mai essere del popolo, se il popolo non la sostiene” (Messaggio del 2 giugno 1979)» (10).
Il pericolo della strumentalizzazione
L’episcopato del Nicaragua riprova i tentativi del FSLN di servirsi della religione come strumento importante per la acquisizione dell’appoggio popolare. «Abbiamo bisogno di chiarire alcuni punti, in materia religiosa, non solo per far progredire il dialogo a livello di vescovi ed alti dirigenti civili e militari, ma anche perché il popolo prenda coscienza dei suoi valori e dei suoi diritti. Perché il popolo non si riduca ad una “semplice massa” disposta ad essere strumentalizzata» (11).
Servendosi di un esempio biblico, i prelati indicano il pericolo della schiavitù comunista: «La presenza e l’azione della chiesa è prefigurata nel popolo d’Israele. Un popolo che cerca, attraverso la sua storia: un cielo nuovo ed una terra nuova, ma che non si è mai arreso di fronte a nessun faraone, o a nessuna forma o a sistema di schiavitù, idolatria o ateismo. Schiavizzare è trasformare l’uomo in “semplice strumento di produzione”.
«Il Nicaragua si è messo alla ricerca della sua liberazione storica, non alla ricerca di un nuovo faraone» (12).
E mostrano di nutrire speranze in un dialogo con l’attuale potere: «Ripetiamo: facciamo queste osservazioni di fronte al comunicato del FSLN affinchè servano di base per un dialogo che arricchisca il processo rivoluzionario iniziato con l’insurrezione e con l’appoggio del popolo cristiano, che si è mosso in forza della propria e specifica responsabilità religiosa» (13).
È normale che i vescovi cerchino una soluzione attraverso il dialogo con gli attuali detentori del potere in Nicaragua. Non vediamo, tuttavia, base per un simile dialogo, finché il sandinismo non abbandoni il suo ideale comunista. Questa è la tragedia alla quale ha portato il cattolico Nicaragua il connubio progressista-marxista.
Il sandinismo, in questa prospettiva, starebbe abbandonando un accordo tacito (o è stato tattico?), e avanzando verso la tirannia classica instaurata dal comunismo.
La dichiarazione dell’episcopato, poi, segnala punti nei quali i suoi autori lamentano gli ostacoli alla pacifica pratica della religione e denuncia il crescente proselitismo ateizzante.
La propaganda dell’ateismo
Il comunicato dichiara: «A giudicare dalla dichiarazione [del Fronte Sandinista] in cui si afferma testualmente: “Negli ambiti partitici del FSLN non c’è spazio per il proselitismo religioso, perché questo snatura il carattere specifico della nostra avanguardia ed introduce fattori di disunione” (n. 4), si deduce che al FSLN non interessa introdurre fattori di disunione a partire da “discriminazioni” o interpretazioni di tipo religioso. Ma come conciliare questa dichiarazione con quanto si fa ufficialmente e pubblicamente contro la fede e contro la religione attraverso gli organi ufficiali dello stato e per mezzo dei quadri organizzativi dello stesso? Si indottrina e si fa pressione con diversi e già conosciuti metodi contro le convinzioni e i sentimenti religiosi» (14).
Come potrà la Chiesa continuare a partecipare?
Il documento episcopale, infine, ricorda ancora una volta che lo stesso FSLN riconosce che la Chiesa cattolica, come istituzione, e il popolo cristiano «motivato dalla sua fede sono stati partecipi della vittoria popolare» (15). Questa osservazione sembra rivendicare una autentica partecipazione della Chiesa alla guida del processo rivoluzionario e non accontentarsi del semplice appoggio obbligatorio e automatico, funzione che si lascia intravedere nelle intenzioni delle autorità sandiniste.
Gli alti gerarchi cattolici ricordano anche, benché indirettamente, lo scandalo costituito dalla partecipazione di sacerdoti a diversi fra i principali posti del governo e perfino del FSLN.
Il tono del documento episcopale, come si può vedere, è quello di lagnanze indirizzate a chi si considerava come un amico, ma dal quale si è rimasti delusi, benché si speri ancora che ritorni alla convivenza ritenuta desiderabile e immaginata come possibile. Sono passati alcuni mesi dalla presa di posizione episcopale, e non si è colta nessuna modifica nel comportamento dei sandinisti. Al contrario, tutto indica che continuano ad appoggiare ancora la guerriglia marxista nel Salvador. Il ministro dell’Interno, Tomas Borge, è giunto al punto di dichiarare: «Ieri Cuba, oggi il Nicaragua, domani El Salvador».
In questo contesto, la conferenza episcopale ha pubblicato un altro documento.
Nuova presa di posizione pubblica della conferenza episcopale del Nicaragua (CEN)
Fino a questo punto abbiamo analizzato aspetti essenziali della presa di posizione-risposta della CEN, pubblicata il 17 ottobre 1980. Cinque giorni dopo, datata quindi 22 ottobre 1980, l’organismo che raccoglie tutti i vescovi di questo paese ha pubblicato un nuovo documento. Questa volta si tratta di una lettera pastorale intitolata Gesù Cristo e l’unità della sua Chiesa in Nicaragua.
Mentre il documento intitolato Alla direzione del Fronte sandinista e, per conoscenza, al popolo cattolico trattava in modo speciale delle questioni temporali, diverso è il tono della lettera pastorale. Si concentra, e dà la precedenza, sui temi religiosi ed ecclesiastici, tentando di impedire il dilaceramento interno della Chiesa cattolica. Da ciò il titolo Gesù Cristo e l’unità della sua Chiesa in Nicaragua. I due documenti hanno in comune le lagnanze quanto alle deviazioni del sinistrismo – in campo temporale -, e del progressismo – in campo religioso. La ventata progressista, stimolata dalla fermentazione rivoluzionaria nella società civile, si è radicalizzata e vuole realizzare subito, nella Chiesa, il lavoro che i suoi compagni di ideale svolgono nella sfera specifica dello Stato.
L’uragano progressista
La CEN, prima di entrare nei problemi interni della Chiesa, avverte: «Giudichiamo nostro dovere non lasciare inermi i nostri fedeli di fronte all’assedio delle ideologie materialistiche in contrasto con la fede cattolica o non conformi con essa, e di certe sette religiose fanaticamente anti-cattoliche […]». Il documento, immediatamente dopo, sottolinea la «confusione dottrinale e morale esistente in alcuni settori della Chiesa. Questo fatto causa dolorose tensioni in molti cattolici».
Poi, il documento passa a spiegare la causa di alcune di queste tensioni. Denuncia lo scandalo della ribellione sacerdotale e della insubordinazione di laici legati alle organizzazioni della Chiesa. Senza che i vescovi lo dicano, non è temerario congetturare come probabile che l’ansia di chierici e di laici, collaboratori entusiastici del sandinismo, di portare subito nella Chiesa gli stessi princìpi che sono in via di imposizione alla società civile in Nicaragua, costituisce la causa generatrice delle tensioni.
La ribellione di sacerdoti e di laici impegnati
Dice la CEN: «Per alcuni [sacerdoti, religiose o religiosi], la disciplina ecclesiastica […] ha cessato di obbligare in coscienza. […] Le nostre famiglie soffrono, spesso, il disorientamento dovuto alla mancanza di unità di criteri tra sacerdoti che si allontanano dalla dottrina del Papa e dei vescovi a proposito di aspetti importanti della morale familiare e sociale».
Lo scoraggiamento della Gerarchia nicaraguense continua: «Si desidera o si pretende opporre, per esempio, la Chiesa istituzionale o gerarchica al Popolo di Dio, accusando la prima di essere alienante. Questo fatto comporta una divisione nella Chiesa e una inaccettabile negazione della gerarchia».
In un Nicaragua dominato dal sandinismo, la osservazione dei vescovi, trascritta di seguito, ha una destinazione precisa: «Si deve lamentare il fatto che quanti si oppongono al Magistero sono quelli che con maggiore facilità ubbidiscono a quanto loro suggerito dai mezzi di comunicazione sociale o da parole d’ordine politiche».
Comunità ecclesiali di base: in Nicaragua non sono più elogiate…
I testi relativi alle comunità ecclesiali di base (CEB), nella lettera pastorale, sono secchi e duri. Neppure un elogio. Il che lascia intendere che sono ampiamente impegnate nella costruzione della società socialista (si legga: marxista), e che rifiutano di ammettere le norme e i princìpi della Chiesa, quando questi non si adattano alle esigenze dei padroni del momento, i sandinisti. Dopo avere enumerato caratteristiche che rendono accettabile una comunità ecclesiale di base, il documento episcopale conclude: «Pertanto non possono, senza abuso di linguaggio, chiamarsi comunità ecclesiali di base, benché abbiano la pretesa di mantenersi nella unità della Chiesa, le comunità che rimangono ostili alla Gerarchia».
Naturalmente la lettera pastorale non tratta solamente delle questioni interne della Chiesa. Analizza anche situazioni attinenti all’ordine civile. E su di esse il tono, come era da aspettarsi, è simile a quello del documento inviato alla direzione nazionale del Fronte Sandinista.
Lezioni dalla esperienza nicaraguense
Non sorprende il fatto che i sandinisti si siano rivelati comunisti così rapidamente. Non è l’unico esempio registrato dalla storia. Oggi l’episcopato nicaraguense ha fondati motivi per deplorare l’appoggio che ha concesso ai sandinisti nel periodo della insurrezione e nei primi mesi del nuovo governo.
La deplorevole collaborazione cattolico-marxista in Nicaragua ha portato almeno questo di positivo: costituisce una dolorosa lezione per i cattolici di tutto il mondo, e specialmente per quelli dell’America Latina.
Il problema sopra enunciato è straordinariamente importante perché, se i comunisti non sono riusciti ad andare al potere in Nicaragua senza l’appoggio dei cattolici, è anche molto difficile che i rossi possano rimanervi senza che duri questo sostegno.
Péricles Capanema Ferreira e Melo
Note:
(1) Review of the News, 13-8-1980.
(2) Cfr. El Tiempo, 14-9-1980.
(3) Cfr. Barricada, 7-10-1980. Il testo, con il titolo Si può essere cristiani e rivoluzionari. Comunicato del Fronte sandinista del Nicaragua, si trova in traduzione italiana in il regno/documenti, anno XXVI, n. 432, 1-1-1981, pp. 59-61, da cui sono tratte le citazioni.
(4) Ibid., pp. 59-60.
(5) Ibid., p. 60.
(6) Ibid., p. 61.
(7) Mi servo della trascrizione del bollettino informativo AICA, n. 1252, 10-12-1980, organo dell’episcopato argentino, che lo ha pubblicato integralmente. Il testo, con il titolo Bisogna uscire dagli equivoci. Risposta dei vescovi del Nicaragua ai sandinisti, si trova in traduzione italiana in il regno/documenti, anno XXVI, n. 434, 1-2-1981, pp. 94-98, da cui sono tratte le citazioni.
(8) Ibid., p. 94.
(9) Ibidem.
(10) Ibidem.
(11) Ibid., p. 95.
(12) Ibidem.
(13) Ibidem.
(14) Ibid., p. 98.
(15) Ibidem.