Paolo Martinucci, Cristianità n. 77 (1981)
L’apparizione della Vergine al beato Mario Omodeo e l’origine della devozione popolare. I miracoli. Il santuario: simbolo dell’integrità della dottrina cattolica durante la rivoluzione protestante, baluardo contro il dilagare dell’eresia in Italia. La rapina dei giacobini e quella fallita dei liberali. Dal fervore mariano le speranze per una vittoria sul modernismo religioso e sociale.
In Valtellina, dal secolo XVI
Il Santuario della Madonna di Tirano
Il 20 giugno 1946, Pio XII, con un breve apostolico, esaudendo una «preghiera giusta e legittima» (1) del priore generale dell’Ordine dei Servi di Maria (2), e di una «larghissima raccomandazione» (3) del vescovo di Como, mons. Alessandro Macchi, dichiarava «la Vergine Madonna di Tirano patrona celeste di tutta la Valtellina» (4). E nell’occasione affermava: «Esiste presso i confini d’Italia, nella diocesi di Como, un Santuario dedicato a Dio in onore della Vergine; Santuario che è splendido testimonio di devozione e di fede, ed in pari tempo, celeberrimo monumento storico nella lotta contro gli eretici luterani. […]. Così l’antica religione dei padri fu salva per l’intercessione della Vergine, e quelle popolazioni, vittoriose sull’eresia e sugli eretici, rimasero per sempre obbedienti ai Romani Pontefici. Non altrimenti la Vergine dimostrò attraverso i secoli ai fedeli il suo patrocinio, sia liberandoli dalle pestilenze, sia tenendo lontano da essi molte stragi e disgrazie, come sarebbero i terremoti, le inondazioni, le locuste» (5).
L’apparizione
La mattina del 29 settembre 1504, ancora prima dell’alba, un uomo di santa vita e di religiosi costumi, di nome Mario Omodeo, la cui abitazione era poco distante dal luogo nel quale è ora situato il santuario, si stava dirigendo verso la propria vigna per cogliere della frutta, quando gli parve che «le cime de’ monti da nuova e inusitata luce fossero illuminati» (6). E mentre fra sé e sé andava chiedendosi da dove venisse tanto chiarore, «si sentì manifestamente alzar da terra, et esser trasportato in un horticello, che quivi tra luoghi deserti e inculti giaceva […]; così deposto in terra, avanti gl’occhi se gli presentò una Verginella, che gli pareva d’età di 14 anni o poco più vestita d’abito candidissimo, […] da moltitudine celeste accompagnata» (7).
Questa Verginella si rivolse al buon Mario chiamandolo per nome. Egli rispose: «bene»; ed ella: «Bene avrai; vattene a Tirano e gli dirai a quel popolo, che in questo loco si faccia un tempio per culto e religione dell’eterno e vero Iddio, dedicatosi in honore del mio santo nome» (8).
Mario soggiunse: «O gloriosa Vergine, come crederanno mai che tu sij quella che mi mandi?» (9).
Disse la Vergine: «[…] digli che ricusando questo mio precetto, la peste che ora si trova ne gl’armenti suoi, si convertirà nelle loro persone; et in segno di questo che hora ti ho detto il fratello tuo Benedetto, quale ieri lasciasti in infirmità tale che da tutti era disperata la sua sanità, ritroverai del tutto risanato e libero da ogni infirmità» (10).
Scomparsa la Madonna, Mario si diresse verso Tirano, entrò nella chiesa parrocchiale di San Martino, dove il popolo era radunato per «sentire la prima Messa» (11), e con «tremolante voce» (12) e «non senza gran gemiti» (13) raccontò l’accaduto. Come succede sempre in questi casi, non fu creduto subito. Molti lo schernirono, ma, quando videro suo fratello, «che ognuno stimava già esser passato da questa vita» (14), fuori dal letto, senza febbre e con solo i segni di debilitazione causati dalla lunga malattia, tutti cessarono di canzonarlo. I medici che avevano in cura l’ammalato confermarono la gravità del suo precedente stato di salute e constatarono l’avvenuta guarigione.
Così, fu decisa la costruzione del santuario. Il 25 marzo 1505 furono gettate le fondamenta del tempio che, lungo i secoli, attraverso donazioni di semplici fedeli, ma anche di principi e di re, si abbellì sempre di più, tanto che non è esagerato considerarlo tra le più pregevoli opere d’arte di tutta la provincia di Sondrio. Va pure ricordato che il popolo attribuì a Mario Omodeo il titolo di beato. La Chiesa, non essendosi svolto il processo di canonizzazione, non si è mai pronunciata ufficialmente al riguardo; tuttavia è da segnalare che il titolo gli è comunemente attribuito da vescovi e anche da due Papi di questo secolo: da Pio XI, nel documento dell’11 maggio 1927, che eleva il santuario alla dignità di basilica romana minore; e da Pio XII, nel breve apostolico ricordato, in cui dichiarava la Madonna di Tirano patrona della Valtellina.
I miracoli
Fin dall’inizio dei lavori di costruzione del santuario sono stati registrati fatti prodigiosi, che testimoniano un intervento soprannaturale. Un documento dell’epoca parla esplicitamente di «multa miracula» (15).
Ad avvalorare tutto questo vi è il lavoro dei primi storici della Madonna di Tirano, che hanno raccolto una numerosa casistica (16). Non bastasse, sarebbe sufficiente prendere visione degli ex voto e delle diverse immagini della Beata Vergine di Tirano per rendersi conto che si è di fronte a fatti umanamente non spiegabili. Esiste un manoscritto che raccoglie ben settantotto episodi miracolosi verificatisi nel periodo immediatamente seguente la apparizione. Giustamente don Lino Varischetti, che è stato prevosto di Tirano, ha lamentato il fatto che questo «eccezionale documento […] non è stato valorizzato a dovere» (17). Vi si narra di persone che, perduta la parola, la riacquistano; di guarigioni di casi disperati dovuti a malattie, disgrazie, violenze; di pazzi ritornati in senno: di storpi che lasciano le stampelle. Due, comunque, sono i fatti miracolosi sui quali solitamente si soffermano gli storici del santuario, e cioè le risurrezioni di due bambini avvenute il 26 marzo 1505, il giorno seguente la posa della prima pietra del tempio. Uno dei miracolati era figlio del beato Mario Omodeo: il bimbo, di tre anni, annegato in una roggia, ritornò in vita dopo che la madre, adagiatolo esanime sull’erbe del prato, era corsa in chiesa «domandando gratia ala Gloriosa Vergine Maria» (18). Il risuscitato divenne sacerdote e visse il resto della sua esistenza nel servizio del santuario.
I due prodigi – quello narrato e l’altro -, verificatisi alla presenza di numerosi testimoni, «sono documentati da un atto notarile, steso da Luigi Della Pergola notaio imperiale, e sottoscritto da sedici persone qualificate» (19).
Queste «pagine dei miracoli», scritte con toni coloriti e con le tipiche espressioni dialettali della gente valtellinese, andrebbero adeguatamente divulgate, in quanto testimonianza tipica di una fede solida, incrollabile, vissuta nel quadro di una civiltà contadina. Si tratta di testi consigliabili anche agli «inseguitori» dei «segni dei tempi» e a quanti, «in un mondo dominato dalle superstizioni scientiste e positiviste, vorrebbero bandire e rifiutare il soprannaturale» (20).
«Baluardo contro le astuzie degli eretici» (21)
Nel 1512 la Valtellina cadde sotto il dominio dei grigioni. Per le popolazioni locali il fatto in sé non costituiva niente di nuovo; infatti, con l’avvento delle signorie i «cambi di guardia» costituivano la regola nella amministrazione della valle: prima i Visconti, poi gli Sforza, quindi i francesi. La politica accentratrice dei principi – applicazione al corpo sociale delle «nuove» dottrine politiche sviluppatesi nel corso dell’Umanesimo e del Rinascimento – privò a mano a mano i valtellinesi di quelle autonomie, di cui godevano dai tempi del feudalesimo.
Tuttavia, con la dominazione delle Tre Leghe Grigie, la situazione peggiorò sensibilmente: i governatori assoldati trattarono la valle dell’Adda come terra di conquista; la fiscalità raggiunse limiti mai conosciuti; la giustizia, amministrata da magistrati corrotti, era frequentemente ridotta ad arbitrio. E, quando i grigioni aderirono al luteranesimo, si inserì un ulteriore e ancora più grave elemento di destabilizzazione. «Le dottrine zwingliana e luterana operarono fra alcune famiglie nobili educate alle dottrine laiche dell’umanesimo: le quali accolsero della Riforma non già l’apparato dottrinario e teologico, non confacente col laicismo, quanto il solo principio della interpretazione razionalistica della Bibbia. Per le stesse ragioni tali dottrine operarono tra alcuni studenti e alcuni dottori provenienti dalle università di Basilea, Zurigo e Padova» (22). Si crearono così, nei diversi centri abitati, focolai di opposizione al cattolicesimo, come avrà poi modo di appurare il vescovo di Como, mons. Feliciano Ninguarda, nella visita pastorale fatta in Valtellina nel 1589.
Proprio a Tirano, in quei periodo, vi erano «già numerosi protestanti con un pastore che esercitava il ministero in una chiesa sottratta ai cattolici» (23). Monaci passati al luteranesimo giravano indisturbati per le contrade predicando le nuove dottrine.
Il 28 agosto 1580, san Carlo Borromeo giunse in pellegrinaggio al santuario e in una omelia, «accolta dalla fervida commozione di molti fedeli» (24), rincuorò i cattolici. Egli ben sapeva che un eventuale allentamento della tensione spirituale dei cattolici valtellinesi avrebbe permesso il dilagare della eresia protestantica nell’Italia settentrionale (25). Fedeli a quanto stabilito dal Concilio di Trento, i migliori sacerdoti confutarono le eresie in appassionate dispute, fra le quali sono rimaste famose quelle sostenute a Tirano dal prevosto del luogo, Simone Cabasso, e dall’arciprete di Sondrio, Nicolò Rusca, «il martello degli eretici» (26).
Mentre la devozione alla Madonna di Tirano aumentava e si propagava in tutta la valle, eventi nuovi fecero crescere la tensione. Infatti, sono frapposti ostacoli al libero esercizio del culto cattolico e il 4 settembre 1618 a Thusis, città protestante del Canton Grigione, viene martirizzato l’eroico sacerdote Nicolò Rusca, e la stessa notte, alla stessa ora in cui era spirato l’arciprete di Sondrio, il paese di Piuro, «ricco ma effeminato» (27), con una forte presenza di riformati, situato nella vicina Valchiavenna, viene sepolto da una immensa frana, che causa la morte di circa mille persone, cioè della quasi totalità della popolazione. «La coincidenza dolorosa e strana dei due fatti non era forse un indice che Dio intendeva punire il delitto perpetrato contro il suo sacerdote?» (28). Il fatto, inoltre, acquistava un particolare significato ricordando che don Rusca, a Piuro, nel 1597, aveva polemizzato con i pastori protestanti in due pubbliche dispute, «e forse era stato anche oltraggiato» (29). La situazione era quindi esplosiva, e i cattolici organizzarono una insurrezione. Essa scoppia la mattina del 19 luglio 1620, proprio a Tirano, ed è guidata dal nobile di Grosotto Giangiacomo Robustelli: gli eretici saranno braccati in tutta la valle e sterminati. La rivolta passerà alla storia con l’infelice nome di «sacro macello»: indubbiamente nella ribellione in difesa della «antica religione dei padri» si verificarono episodi di estrema violenza, tipici del resto di ogni guerra; questi elementi, tuttavia, non possono in alcun caso sminuire lo splendido esempio di fortezza e di saldezza nella fede che molti cattolici valtellinesi dimostrarono in quella circostanza.
Dopo i fatti del 19 luglio, i grigioni non si diedero per vinti: con l’aiuto di Berna e di Zurigo, nel giro di due mesi organizzarono un esercito che, nelle loro intenzioni avrebbe dovuto punire i cattolici. Già a settembre le armate protestanti calarono su Bormio, dilagando nella valle e seminando morte e terrore. I valtellinesi, appoggiati da truppe milanesi e spagnole, attesero gli eretici sotto le mura di Tirano e l’11 settembre ingaggiarono battaglia: le forze luterane, costituite da ben 4300 uomini, furono sconfitte. La vittoria cattolica fu attribuita a un intervento miracoloso della Beata Vergine di Tirano, perché il san Michele Arcangelo bronzeo, situato sulla cupola del santuario, avrebbe fatto roteare la sua spada infuocata. Lo storico Antonio Cornacchi nel 1621, cioè a poca distanza di tempo dal fatto, narra: «Della quale soprascritta statua non resterò di raccontare una meraviglia stupendissima osservata non da cento, ma ben da mille persone […] pareva che continuamente combattesse in difesa di Catholici contro li perfidi heretici visibilmente muovendosi e vibrando la spada contro l’esercito nemico senza mai far intermedio né cessare, fìn’al fine dell’ottenuta vittoria, con strana meraviglia e stupore di quanti lo videro e l’osservarono» (30).
L’accadimento favorì ulteriormente la devozione verso la Madonna di Tirano e accrebbe la fama del santuario.
La rapina dei giacobini
Nel 1796, l’avventura napoleonica in Italia portò il vento della rivoluzione giacobina anche in Valtellina. La Repubblica Cisalpina è proclamata il 9 luglio 1797. Poco più di tre mesi dopo, e precisamente il 22 ottobre dello stesso anno, il Direttorio Esecutivo decretava la unione della Valtellina alla Repubblica. Nei principali centri abitati i giacobini locali innalzarono i cosiddetti «alberi della libertà». Allo scopo di organizzare i territori acquisiti, venne inviato in Valtellina, in qualità di commissario, Antonio Aldini, professore di diritto presso l’università di Bologna, «uomo politico di molto rilievo per la parte di primo piano che aveva avuto nella creazione della Repubblica Cispadana o poi nell’unione di questa alla Cisalpina» (31). In un suo rapporto, datato 12 Frimale Anno VI Repubblicano, cioè 2 dicembre 1797, e inviato al Direttorio Esecutivo della Repubblica Cisalpina, tra l’altro si legge: «Le chiese sono piuttosto abbondanti di argenti, abbenché non sia nuovo che a questi si ricorra per pubblici bisogni. E non è fuor di proposito il farvi sapere che le campane delle chiese potrebbero somministrare alla Repubblica un ricchissimo parco d’artiglieria» (32). I «liberatori» mostrano il loro vero volto: non basta avere abbattuto monarchie legittime, avere messo a soqquadro l’Europa; bisogna profanare e depredare il tempio di Dio, e… «per pubblici bisogni»!
Per il santuario si profilano tempi difficili. Infatti, ai responsabili di esso, il 13 aprile 1798, giunge l’ordine di fare l’inventario dei beni. Al condannato a morte è pure richiesto di costruirsi la forca! «Gli argenti, ori e paramenti sacri, insieme coi quattro migliori calici vennero asportati il 18 dicembre 1798 per ordine di Bernardo Piazzi da Ponte, commissario del potere esecutivo del Dipartimento, e di Filippo Ferranti, segretario dell’agente dei beni nazionali […]. Il rettore del Santuario, D. Alessandro Sertorio, piangeva in silenzio, inginocchiato davanti alla balaustra dell’altare della Vergine, altare preziosissimo che andò tutto in rovina, perché le lamine d’argento che lo ricoprivano, di pesi 7 e libbre 4, ne furono staccate malamente, tradotte col resto a Milano, o fuse alla zecca» (33). La documentazione di questo fatto si trova presso l’Archivio di Stato, nel Rapporto del Ministro di Finanza al Direttorio Esecutivo del giorno 23 Nevoso Anno VII Repubblicano, cioè del 12 gennaio 1799 (34).
Va segnalato un altro tentativo di impadronirsi dei beni del santuario. Fu con la legge n. 3848, del 15 agosto 1867, per la Liquidazione dell’asse ecclesiastico, emanata dal governo del Regno d’Italia, costituitosi sei anni prima. Il consiglio comunale di Tirano si oppose con molta decisione a questa iniqua legge dello Stato liberale, affermando che il santuario e i relativi possedimenti erano di proprietà del comune: che bisogno c’era, quindi, di espropriare «per pubblica utilità» beni già in possesso, da secoli, della comunità stessa? Si evitò così questa nuova confisca, attraverso il pagamento di una tassa pari al 30% del valore del patrimonio (35).
Conclusione
Negli ultimi cento anni il fervore della devozione verso la Madonna di Tirano si è venuto radicando nelle province limitrofe e si è esteso anche oltre i confini d’Italia, soprattutto per opera degli emigranti valtellinesi che, lasciati i propri paesi, hanno portato con loro la migliore tradizione religiosa della terra d’origine. Sono tuttora numerosi i pellegrinaggi al santuario provenienti da tutta la Lombardia e dalla vicina Svizzera, così come molte sono state le soste di preghiera fatte da illustri personaggi. Si ricordano ancora quelle di alcuni principi della Chiesa: il Cardinale Ferrari pregò all’altare della Madonna nel 1892; il cardinale Schuster nel 1946, in occasione delle solenni celebrazioni di ringraziamento per la fine del secondo conflitto mondiale: il cardinale Roncalli fece numerose visite, l’ultima nell’agosto del 1958, due mesi prima della sua elevazione al Sommo Pontificato: infine, il cardinale Montini visitò il santuario nel 1956 e nel 1961.
* * *
Alla fine di questo lavoro, che ha volutamente trattato solo di alcuni aspetti della storia del santuario della Madonna di Tirano, vale forse chiedersi quale significato abbia oggi la devozione alla Vergine ivi onorata. “Le dottrine luterane sono ancora una minaccia per la fede dei valtellinesi? Le pestilenze non sono forse definitivamente debellate?
Una analisi, anche non particolarmente approfondita, della realtà religiosa e sociale della Valtellina odierna permette di rilevare una serie di dati che devono costituire motivi di seria preoccupazione per tutti quelli a cui sta a cuore la salvezza delle anime e della società: le vecchie pestilenze che uccidevano il corpo sono state tragicamente sostituite da altre, ancora più pericolose e contagiose, che uccidono l’anima; non sono più i «brut luter» a disseminare l’errore, ma i «fedeli» stessi. I germi del neopaganesimo, e quindi dell’edonismo e del permissivismo, inquinano sempre più la valle. I risultati dei due referendum, sul divorzio e sull’aborto, testimoniano il grave decadimento spirituale di una popolazione già cattolica nella sua totalità. Il neomodernismo religioso, «il fumo di Satana», come ebbe a dire Paolo VI, è giunto anche in quelle parrocchie che pure hanno saputo dare alla Chiesa sacerdoti come il beato don Luigi Guanella e don Primo Lucchinetti. Almeno per queste ragioni la devozione alla Madonna di Tirano non può considerarsi superata. Ora che il «nemico» è entrato anche «tra le mura», è urgente allontanare i castighi divini, e quindi essa è più necessaria che mai: la Salve Regina non ha perso in attualità!
Dal popolo valtellinese possono ancora nascere quelle forze che, fedeli al Magistero tradizionale, sappiano concretizzare la esortazione del Papa Giovanni Paolo II: «Oggi bisogna aver pazienza e ricominciare tutto da capo, dai “preamboli della fede” fino ai “novissimi”, con esposizione chiara, documentata, soddisfacente. È necessario formare le intelligenze, con ferme e illuminate convinzioni, perché solo così si possono formare le coscienze» (36). Ma questo si potrà realizzare soltanto se si avrà la umiltà di inginocchiarsi là dove è scritto «Hic steterunt pedes Mariae», nella consapevolezza che «Nessuno… se non per te, o santissima, giunge alla salvezza. Nessuno se non per te, o immacolatissima, si libera dal male. Nessuno, se non per te, o castissima, ottiene indulgenza. A nessuno, se non per te, o onorabilissima, si concede misericordiosamente il dono della grazia» (37).
Paolo Martinucci
Note:
(1) PIO XII Breve apostolico del 20-6-1946, cit. in ANTONIO GIUSSANI e LINO VARISCHETTI, La Madonna di Tirano e il suo Santuario, Edizioni del Santuario, Sondrio 1964, p. 174.
(2) I Servi di Maria erano allora i custodi del santuario; oggi questo servizio è svolto dai guanelliani.
(3) PIO XII, Breve apostolico, cit. in A. GIUSSANI e L. VARISCHETTI, op. cit., p. 174.
(4) Ibidem.
(5) Ibid., p. 173
(6) SIMONE CABASSO, Miracoli della Madonna di Tirano, Gioannini, Vicenza 1601, cit. in A. GIUSSANI e L. VARISCHETTI, op. cit., p. 5.
(7) Ibidem.
(8) Ibidem.
(9) Ibidem.
(10) Ibidem.
(11) Ibidem.
(12) Ibidem.
(13) Ibidem.
(14) Ibid., p. 6.
(15) A. GIUSSANI e L. VARISCHETTI, op. cit., p. 105.
(16) Va ricordato, oltre al testo di Simone Cabasso, quello di GIOVANNI ANTONIO CORNACCHI, Breve Istoria della miracolosissima Madonna di Tirano, Como 1621.
(17) A. GIUSSANI e L. VARISCHETTI, op. cit., p. 107.
(18) Dal manoscritto che racconta i settantotto miracoli, cit. in A. GIUSSANI e L. VARISCHETTI, op. cit., p. 114.
(19) A. GIUSSANI e L. VARISCHETTI, op. cit., p. 106. La maggior parte delle «persone qualificate» era costituita da notai, monaci, medici.
(20) VALTER MACCANTELLI, L’apparizione e il miracolo della Madonna dei Fiori, in Cristianità, anno VIII, n. 68, dicembre 1980, p. 14.
(21) PIO XI, Documento di elevazione del Santuario alla dignità di Basilica Romana Minore, cit. in A. GIUSSANI e L. VARISCHETTI, op. cit., p. 170.
(22) ETTORE MAZALI e GIULIO SPINI, Storia della Valtellina e della Valchiavenna, vol. II, Bissoni, Sondrio 1969, pp. 10-11.
(23) A. GIUSSANI e L. VARISCHETTI, op. cit., p. 142.
(24) E. MAZZALI e G. SPINI, op. cit., p. 31.
(25) Cfr. A. GIUSSANI e L. VARISCHETTI, op. cit., p. 142.
(26) MONS. ALESSANDRO MACCHI, vescovo di Como, prefazione a GIUSEPPE CERFOGLIA e TARCISIO SALICE, Nicolò Rusca, Sondrio 1953, p. 3.
(27) G. CERFOGLIA e T. SALICE, op. cit., p. 7.
(28) Ibidem.
(29) Ibidem.
(30) G. A. CORNACCHIA, cit. in A. GIUSSANI e L. VARISCHETTI, op. cit., p. 144.
(31) SANDRO MASSERA, La missione del commissario Aldini in Valchiavenna e in Valtellina nel 1797, in Clavenna, bollettino del centro di studi storici valchiavennaschi, anno XII, 1973, p. 64.
(32) La lettera, assieme ad altre che testimoniano la strategia pianificatrice degli emissari di Bonaparte, è pubblicata sempre in Clavenna, cit., pp. 77-82.
(33) A. GIUSSANI e L. VARISCHETTI, op. cit., pp. 30-31.
(34) Cfr. ibid., p. 31.
(35) Cfr. ibid., p. 32.
(36) GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai convegnisti di Missioni al Popolo per gli anni ‘80, in L’Osservatore Romano, 7-2-1981.
(37) SAN GERMANO, Hom. in S. Mariae Zonam, n. 5.