Don Pietro Cantoni, Cristianità n. 396 (2019)
Libertà religiosa e magistero della Chiesa
«La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano». Così afferma il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune», siglato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti, da Papa Francesco e dal Grande imam di Al-Azhar, in Egitto, Muhammad Ahmad Al-Tayyeb, al termine del viaggio apostolico compiuto dal Pontefice nella Penisola Arabica.
Per contro, il Nuovo Testamento dice: «È in lui [Cristo] che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col. 2,9) e «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At. 4,12).
Sembrano due posizioni inconciliabili, ma non è affatto così.
Il mondo oggi
Per comprenderlo occorre anzitutto rappresentarsi il quadro della realtà attuale, riconoscendone i colori e delineandone i contorni.
Dopo il crollo delle ideologie è riapparso un paesaggio che è sempre esistito, ma che era come occultato, sommerso da un manto di neve spessa, proprio da quelle ingombranti ideologie del Novecento che, nel clima della cosiddetta Guerra Fredda (1945-1991), avevano concentrato su di loro in modo pressoché esclusivo ogni attenzione e ogni preoccupazione. È il paesaggio di un mondo suddiviso in civiltà diverse, tutte aventi come sorgente nascosta, ma decisiva, una diversa prospettiva religiosa. Vi è il mondo cristiano, ovvero l’Occidente, con tutte le sue espansioni e ramificazioni; e ci sono il mondo islamico, quello induista, quello confuciano e quello buddhista. Nel mezzo dominano le variazioni e le sfumature.
Il cristianesimo si identifica dunque con l’Occidente? Certamente no, ma si deve ammettere che quello che oggi viene chiamato Occidente — o, meglio, «Magna Europa» — è una civiltà in cui la componente cristiana è decisiva. Il cristianesimo, come l’islam, è del resto una religione a natura strutturalmente missionaria.
L’unica posizione cattolica possibile
Quali possono dunque essere le posizioni teologiche sulla diversità delle religioni nel mondo? Essenzialmente le si può ricondurre a tre: esclusivismo, inclusivismo e pluralismo.
Il punto di partenza è una verità irrinunciabile: in Cristo abita corporalmente la pienezza della divinità (cfr. Col. 2,9) e non c’è altro nome, dato agli uomini, nel quale è stabilito che essi siano salvati (cfr. At. 4,12).
Ora, la posizione esclusivista mette in dubbio che nell’uomo che ignora la rivelazione cristiana vi sia una capacità di conoscere Dio e di adempiere ai doveri religiosi. Ma l’esistenza di una conoscenza naturale di Dio e di una religiosità naturale è un dato di fede. Ciò detto, va considerato che la religione naturale non è un’entità astratta, bensì un dato concreto che si dà nella concretezza della vita e della storia dell’umanità con un inevitabile corredo di errori. Esattamente come succede per le verità filosofiche. L’uomo è naturalmente in grado di attingere un certo corredo di verità naturali: l’esistenza di un Dio personale e trascendente, l’immortalità dell’anima, la remunerazione delle azioni buone o cattive in un’altra vita, e così via. Questo corredo però non è mai dato compiutamente senza diversi errori che lo oscurano almeno parzialmente.
Entriamo nel merito. La religione pagana ai tempi della prima evangelizzazione era una religione etnica, legata alle particolarità dei popoli, motivo per cui nella loro predicazione e nella loro apologetica i primi cristiani privilegiarono l’impostazione filosofica rispetto a quella religiosa. L’unica eccezione significativa è costituita dal discorso di san Paolo all’Areopago di Atene (cfr. At. 17,22-34).
Rimane tuttavia innegabile che Dio abbia sempre chiamato ogni uomo alla salvezza e che questa chiamata operi tramite tracce di verità presenti in modo differenziato in ogni prospettiva religiosa. Gli incontri di Assisi di Papa san Giovanni Paolo II (1978-2005) e poi di Benedetto XVI (2005-2013) hanno questo significato.
Questo è ciò che descrive l’atteggiamento inclusivista, ovvero l’unica posizione cattolica possibile, che è quella del magistero che si riflette in modo esplicito nei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), in particolare nella Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa Cattolica con le religioni non cristiane «Nostra aetate», promulgata il 28 ottobre 1965.
Un altro errore
Al pari della posizione esclusivistica anche quella pluralistica è peraltro inaccettabile: farebbe infatti del cristianesimo solo una delle tante via di salvezza possibili. La dichiarazione «Dominus Iesus» sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, pubblicata nel 2000 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, precisa in modo autorevole come debba essere letto il dialogo interreligioso, così come fanno le Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa, pubblicate dalla medesima Congregazione nel 2007, che mettono in chiaro il presupposto dottrinale fondamentale del dialogo ecumenico.
L’episodio evangelico dei Magi invita a riflettere attentamente su questo tema, aiutando a capire un po’ più in profondità come stiano le cose.
Se infatti si leggono gli eventi della storia sotto la guida della Parola di Dio con la trasparenza e con la semplicità dell’umiltà, si rifuggono istintivamente i semplicismi suggeriti dall’orgoglio. È semplice: la verità è Cristo, tutto il resto è tenebra ed errore. È semplice, ma è falso. Dio non ha mai abbandonato l’uomo lasciandolo solo nell’errore. La grazia non opera solo all’interno dei confini visibili della Chiesa Cattolica, come sostiene il teologo giansenista Pasquier Quesnel (1634-1719), condannato da Papa Clemente XI (1700-1721) nel 1713 (1). Il peccato, anche se ferisce l’uomo profondamente e compromette in gran parte l’uso delle sue facoltà, non gli impedisce di scorgere tante verità fondamentali e anche di comportarsi bene in moltissimi casi.
Il mondo religioso dell’uomo non è insomma come una scacchiera in cui ci sono solo il bianco e il nero. Certamente, così sarebbe tutto più semplice, ma anche tutto più falso. Il saggio Giobbe non è un israelita, così come non lo è il profeta Balaam. Il fatto che quest’ultimo fosse un uomo malvagio non gli ha impedito di essere un profeta (cfr. Nm. 22-24). Le sue parole, riportate nel libro dei Numeri, possono anzi essere considerate come un paradigma del genere profetico: «Oracolo di Balaam, figlio di Beor, e oracolo dell’uomo dall’occhio penetrante; oracolo di chi ode le parole di Dio, di chi vede la visione dell’Onnipotente, cade e gli è tolto il velo dagli occhi. Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele! Si estendono come vallate, come giardini lungo un fiume, come àloe, che il Signore ha piantato, come cedri lungo le acque. Fluiranno acque dalle sue secchie e il suo seme come acque copiose. Il suo re sarà più grande di Agag e il suo regno sarà esaltato. Dio, che lo ha fatto uscire dall’Egitto, è per lui come le corna del bufalo. Egli divora le nazioni che lo avversano, addenta le loro ossa e le loro frecce egli spezza. Si accoscia, si accovaccia come un leone e come una leonessa: chi lo farà alzare? Benedetto chi ti benedice e maledetto chi ti maledice» (Nm. 24,3-9).
I Padri della Chiesa hanno addirittura identificato — erroneamente, da un punto di vista strettamente storico — Balaam e Zoroastro. La semplificazione, che vorrebbe raggruppare, per così dire, tutta la verità in Gesù per non lasciare fuori assolutamente nulla, contraddice, oltre che la Scrittura, anche la ragione e il senso comune.
L’orologio e il relativismo
Dice un noto proverbio inglese: anche un orologio rotto ha ragione due volte al giorno. Come tutti gli errori, si rovescia peraltro facilmente nel suo opposto: tutti hanno ragione. Tutti sono, a modo loro, nella verità. La verità è sempre relativa al tempo, alle circostanze, al luogo… La verità sarebbe una variabile dipendente da una variabile a sua volta indipendente. Tale convinzione dipende da questo punto di vista, quest’altra da quell’altro, e questi punti di vista però non dipendono da nulla. Ora, se si fosse coerenti con questa impostazione si dovrebbe pensare che fra Adolf Hitler (1887-1945) e santa Teresa di Calcutta (1910-1997) non vi sia in fondo nessuna differenza: vedevano la realtà semplicemente da punti di vista diversi… Non esiste una verità assoluta, tranne… la verità assoluta che non esiste una verità assoluta.
Ma l’uomo e le donne veramente semplici non fanno alcuna fatica a capire che in Cristo vi è la pienezza della verità, ma pure che al fuori di Lui, mescolati con tanti errori, esistono semi di verità, che, se accolti nella loro apertura alla Verità piena, guidati dalla Stella che Dio non fa mai mancare agli uomini di buona volontà, portano a Lui.
Gesù non è soltanto «vero», ma è la Verità in persona (cfr. Gv. 14,6) che è venuta in mezzo a noi per attirarci tutti a Lui e farci abitare nella verità piena senza ombra di errore, nella Verità che è Amore. Per questo invia gli uomini in missione, invitandoli alla Sua pazienza dettata dall’amore: «non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta» (Is. 42,3).
don Pietro Cantoni
Note:
(1) Cfr. Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, n. 2429.