Dalma Agota Jánosi, Cristianità n. 396 (2019)
Testo dell’intervento di Dalma Agota Jánosi, giornalista della stampa cattolica ungherese, al convegno su Europa delle élites, Europa dei popoli. Ascesa e declino del «politicamente corretto», organizzato da Alleanza Cattolica a Napoli, nella Sala del Coro Gotico del Museo Diocesano, il 1° marzo 2019.
Ungheria: un baluardo alla dittatura del «politicamente corretto»
Nel 1989, nel giorno anniversario della sollevazione popolare del 23 ottobre 1956, è stata ufficialmente proclamata la Repubblica d’Ungheria. Il Parlamento ha approvato un «pacchetto democratico», che prevede unioni commerciali pluralistiche, libertà di associazione, di assemblea e di stampa, una nuova legge elettorale e la revisione della costituzione.
L’Ungheria, come gli altri Stati dell’ex blocco sovietico, dopo l’abbattimento del Muro di Berlino, nel 1989, si è trovata di fronte un’Europa completamente diversa da quella immaginata. I Paesi liberati dalla dittatura comunista, mentre desideravano tornare ai valori tradizionali, cioè alla libertà di professare la propria fede, alla libertà di parola, all’orgoglio delle proprie tradizioni e della propria storia, si sono trovati di fronte a una «dittatura» che mostra tratti simili a quelli vissuti precedentemente.
Dopo la caduta del regime comunista, la società ungherese si è trovata davanti a un cambiamento da tanto tempo desiderato ma, nonostante la grande euforia per la libertà finalmente ottenuta, ha dovuto affrontare nuove sfide, fin a quell’ora sconosciute. Il mondo capitalistico richiedeva una mentalità completamente diversa da quella socialcomunista.
I trent’anni trascorsi dal 1989 sono stati un cammino di riscoperta e di ridefinizione di sé nell’area europea, ormai unita come comunità delle nazioni. Quali valori, quali princìpi, quali politiche, quale autonarrazione? Domande ricorrenti degli ultimi trent’anni. È stato il cammino sollecitato dallo stesso testo della Legge Fondamentale: «Dichiariamo che, in seguito ai decenni del XX secolo che hanno portato ad una decadenza morale, abbiamo inevitabilmente bisogno di un rinnovamento spirituale e intellettuale» (1).
Tale rinnovamento è consistito soprattutto in una ricerca dell’identità e dei valori autentici. Uno sforzo condiviso, non solo politico, ma che coinvolgeva ogni segmento della società. L’orgoglio per le proprie radici, per la cultura e per l’identità nazionale è stato sempre spiccato nel popolo ungherese, che nella sua storia è stato dominato per lunghi periodi da tartari, turchi, asburgici e russi.
Il desiderio del mantenimento dell’identità nazionale ha trovato espressione anche nelle sottoculture, pur se con modalità a volte eccessive, per esempio favorendo la nascita di gruppi estremisti, nazionalisti e razzisti, che hanno trovato una voce unica nel movimento chiamato Magyar Nemzeti Gárda, cioè Guardia Nazionale Ungherese. La Magyar Nemzeti Gárda è stata registrata nel giugno del 2007 come organizzazione culturale volta a preparare la gioventù spiritualmente e fisicamente per situazioni in cui potrebbe essere necessaria la mobilitazione delle persone. Parallelamente, con le elezioni dell’aprile del 2010 è entrato in Parlamento il partito di estrema destra Jobbik, «Per un’Ungheria migliore». La visione eccessiva dell’estrema destra, insieme alla mobilitazione della Guardia Nazionale Ungherese con le sue manifestazioni esagerate e a volte violente, non ha trovato terreno fertile nel cuore del popolo magiaro, cosicché negli anni successivi la popolarità di questi movimenti è sfumata.
In questi trent’anni, l’alternarsi dei governi liberal-democratici e socialisti, sostituiti poi dai governi del centro-destra e dal partito popolare cristiano, è la prova di un lungo travaglio durato fino al 2010, quando alle elezioni politiche ha vinto con larga maggioranza la coalizione composta dalla FIDESZ, l’Unione dei Giovani Democratici, e dal KDNP, il Partito Popolare Cristiano Democratico, che insieme hanno ottenuto i tre quarti dei voti. Viktor Orban viene nominato Primo Ministro della Repubblica d’Ungheria. Nel 2014 la stessa coalizione ottiene nuovamente i tre quarti dei voti e nelle recenti elezioni, tenutesi ad aprile dell’anno scorso, è stata confermata per la terza volta in una elezione democratica dal popolo ungherese.
Negli ultimi nove anni del governo Orban il consenso largamente diffuso sui valori principali e sull’identità nazionale ha iniziato a strutturarsi e a solidificarsi. Lo specchio più autentico del consolidamento di questi valori è il testo della Legge Fondamentale, entrata in vigore il 25 aprile del 2011, che mette in evidenza i pilastri fondanti dell’identità nazionale, religiosa, culturale e storica, negata durante la dittatura comunista. «La Legge Fondamentale è la base del nostro ordinamento giuridico: un patto tra gli ungheresi del passato, del presente e del futuro. Un quadro vivo che esprime la volontà della nazione, la forma secondo la quale vorremmo vivere» (2). La prima parola del testo è un forte riferimento al nostro patrimonio cristiano: «Dio benedici l’Ungherese!» (3). La citazione fa riferimento all’inno nazionale, che evoca il bene più grande per una nazione, la benedizione dall’Alto. L’introduzione del testo delinea l’identità, una vera e propria professione nazionale, e fa riferimento al passato glorioso, nonché al ricco patrimonio culturale che ha formato il popolo magiaro: «Siamo orgogliosi che il nostro re Santo Stefano [969-1038] mille anni fa abbia dotato lo Stato ungherese di stabili fondamenta ed abbia inserito la nostra Patria nell’Europa cristiana. Siamo orgogliosi dei nostri antenati che combatterono per la conservazione, per la libertà e per l’indipendenza del nostro Paese. Siamo orgogliosi delle eccellenti opere intellettuali degli Ungheresi. Siamo orgogliosi che, nel corso dei secoli, il nostro popolo abbia difeso l’Europa combattendo e, con il suo talento e la sua diligenza, abbia contribuito alla crescita del suo patrimonio comune» (4).
Le parole del nuovo testo della Legge Fondamentale non evocano certamente né i valori, né tanto meno il linguaggio del «catechismo civile» «politicalcorretto» vigente. Nel clima diffuso in Occidente di «autofobia» e «oicofobia», dove cioè domina non solo la negazione, ma anche l’odio e l’avversione verso i propri valori fondanti e la propria patria, la Legge Fondamentale enfatizza l’orgoglio: orgoglio per il fondatore della patria, per le radici cristiane, per il patrimonio culturale e intellettuale ereditato.
Mentre la visione della vita propria del progressismo dottrinale nega sistematicamente l’orizzonte della trascendenza, il popolo ungherese, dopo quarant’anni di persecuzione religiosa a opera del regime comunista, finalmente professa liberamente il grande valore del cristianesimo: «Riconosciamo il ruolo del cristianesimo nella preservazione della nazione» (5). Nel 2018 un’ultima modifica ha aggiunto una novità: «Il dovere di ogni organo istituzionale è la protezione della cultura cristiana» (6). Successivamente il testo spiega il perché di tale necessità nei tempi odierni: «Oggi ci sono processi in atto, che possono trasformare il volto tradizionale e culturale dell’Europa. Senza la cultura cristiana l’Europa non esiste, tanto meno l’Ungheria. La cultura cristiana costituisce un valore universale, e la sua protezione è particolarmente importante, per questo è necessario che la Legge Fondamentale garantisca la sua protezione» (7).
Qui faccio un breve accenno allo storico legame fra Chiesa e Stato. L’Ungheria è uno Stato antico, fondato nell’anno Mille da re Stefano I, che ricevette la corona da Papa Silvestro II (999-1003). La dinastia degli Árpádház già nei primi secoli dalla sua fondazione ha arricchito la Chiesa di re e di regine sante, come il principe sant’Emerico (1000-1031), san Ladislao I (1040-1095), santa Elisabetta (1207-1231) e santa Margherita (1242-1270). Il cristianesimo è stato sempre il fondamento dello Stato magiaro, fino agli anni della persecuzione sovietica. Non possiamo mai dimenticare la distruzione, la diffamazione, le carcerazioni, le torture fisiche, i processi-farsa subiti dai membri del clero, ma anche dai laici negli anni della dittatura del partito comunista. Oggi, in un contesto secolarizzato, il governo si impegna a restituire dignità alla Chiesa, ai suoi membri, al suo insegnamento e ai suoi valori.
Lo testimoniano le parole di Viktor Orban in un’intervista rilasciata al quotidiano ungherese Magyar Idők nel dicembre del 2017: «Noi, europei viviamo, anche se non lo ammettiamo, anche se non ne siamo coscienti, in una civiltà ordinata secondo gli insegnamenti di Cristo. Vorrei citare la nota massima del fu József Antal [1932-1993], già primo ministro d’Ungheria: in Europa persino l’ateo è cristiano. […] Il cristianesimo è cultura e civiltà. Viviamo in esso. Non si tratta del numero delle persone che vanno in chiesa o di quanti preghino in modo autentico. La cultura è una realtà quotidiana: come parliamo, come ci comportiamo tra noi, quanta distanza manteniamo o quanto ci avviciniamo l’uno all’altro, come entriamo e come lasciamo questo mondo. Per gli europei è la cultura cristiana a determinare la morale quotidiana. In situazioni limite è questa che ci fornisce metro di valutazione e direzione. È la cultura cristiana a guidarci tra le contraddizioni della vita, a determinare il nostro modo di pensare sulla giustizia e sull’ingiustizia, sul rapporto tra uomo e donna, sulla famiglia, sul successo, sul lavoro e sull’onore» (8).
Il governo d’Ungheria gioca un ruolo importante anche nella tutela dei cristiani perseguitati. Ha infatti istituito un ufficio speciale per fornire assistenza umanitaria e aiuti alle comunità cristiane perseguitate. Non solo richiama l’attenzione della comunità internazionale sulla gravità del fenomeno attraverso incontri e conferenze, ma anche finanzia direttamente i progetti per la ricostruzione di scuole, abitazioni civili e chiese, e assegna borse di studio a giovani di tali comunità.
In un convegno di quattro anni fa a Budapest il ministro degli esteri Péter Szijjártó ha affermato che «il punto di riferimento della politica estera è l’Europa cristiana e, in essa, l’Ungheria cristiana. In un mondo gravato da sfide di tale portata possiamo condurre una politica estera efficace soltanto se la costruiamo su un solido sistema di valori» (9). Il ministro successivamente ha spiegato: «Il Governo ungherese segue continuamente i cambiamenti di vasta portata e di stupefacente velocità che stanno trasformando il nostro mondo e che ne hanno completamente modificato l’assetto politico, militare ed economico. […] In questa situazione è importante, per affrontare la realtà, chiamare le cose con il loro nome. Se non lo faremo, valuteremo la situazione in maniera errata e daremo certamente delle risposte sbagliate. […] Il nostro sistema di valori, il nostro mondo di valori — potremmo dire: la nostra civiltà — sono vittime di un’aggressione. […] Il Governo ungherese non nasconde la testa sotto la sabbia, nella sua politica estera chiama le cose con il loro nome anche se, così facendo, attira una serie di attacchi su di sé» (10).
Il solido sistema di valori secondo il governo
Mentre nella visione progressista e relativista occidentale la vita umana diventa oggetto di speculazioni, merce di scambio, ostacolo alla libertà personale, il governo ungherese mette un punto fermo sulla definizione della vita. La Legge Fondamentale cita la visione antropologica condivisa sulla vita: «La dignità umana è inviolabile. Ogni uomo ha diritto alla vita ed alla dignità umana, la vita del feto va protetta fin dal concepimento» (11).
La vita comincia nel momento del concepimento e non della nascita, perciò il feto gode di una particolare attenzione e protezione. La famiglia viene definita come istituto fondamentale: «L’Ungheria tutela l’istituto del matrimonio quale unione volontaria di vita tra l’uomo e la donna, nonché la famiglia come base della sopravvivenza della Nazione. L’Ungheria sostiene l’impegno ad avere figli. La tutela delle famiglie è regolata da legge organica» (12). Il sostegno economico e morale delle famiglie è un aspetto che il governo ungherese ritiene particolarmente importante. Per contrastare l’«inverno demografico» che grava pesantemente sull’Europa e sull’Ungheria, il governo ha messo in atto un progetto ambizioso, unico in Europa: investe il 5% del prodotto interno lordo nazionale per incentivare le coppie giovani a mettere su famiglia e a generare coraggiosamente figli. I risultati parlano da sé. Negli ultimi nove anni il numero dei matrimoni è aumentato del 42,5%, quello dei divorzi è diminuito del 18% e quello degli aborti si è ridotto del 29,5%. Secondo le statistiche vi è un’inversione di tendenza nell’intenzione di mettere al mondo figli, con un aumento del 22%.
Di fronte alla dittatura dell’autodeterminazione, cioè «essere ciò che si vuole», in particolar modo in relazione alla questione dell’identità sessuale, l’Ungheria prende una posizione ben precisa. Prima di tutto l’interpretazione dell’istituto del matrimonio: esso è esclusivamente «fra l’uomo e la donna». Nel 2018 il governo Orban ha varato un decreto che dispone l’interruzione dei corsi accademici sulla «teoria del gender». Il testo del decreto legislativo restrittivo, in vigore dal 20 ottobre 2018, giustifica così tale decisione: «Gli studi di genere sono un’ideologia, non una scienza. Il governo ungherese è dell’opinione che le persone nascono uomini e donne. Non mettiamo in discussione il diritto di ognuno di vivere come meglio crede, ma lo Stato non può assegnare risorse per l’organizzazione di programmi educativi basati su teorie prive di rilevanza scientifica» (13). Dal prossimo anno accademico al posto degli studi di genere sarà introdotto l’insegnamento degli studi sulla famiglia. L’identità tanto minata dal catechismo civile «politicalcorretto» acquista volto, corpo, spirito e consapevolezza nel racconto politico magiaro. Il patrimonio culturale e storico diventa fonte di orgoglio e di ispirazione, i valori godono di protezione e sostegno, lo sguardo verso un futuro è carico di speranza.
Dalma Agota Janosi
Note:
(1) La Legge Fondamentale dell’Ungheria, Professione nazionale, trad. it., in Eurasia. Rivista di studi geopolitici, n. 2, Milano maggio-agosto 2011, p. 3.
(2) Ibidem.
(3) Sono le prime parole dell’Inno Nazionale (Himnusz) scritto nel 1823 dal poeta ungherese Ferenc Kölcsey (1790-1838).
(4) La Legge Fondamentale dell’Ungheria, Professione nazionale, cit., p. 3.
(5) Ibidem.
(6) Commissione Legislativa del Parlamento, Settima modifica della Legge Fondamentale dell’Ungheria, art. III, co. 4, 14 giugno 2018, p. 2.
(7) Ibid., pp. 4-5.
(8) Viktor Orban, Dobbiamo difendere la cultura cristiana, in Magyar Idők, Budapest 23-12-2017.
(9) Cfr. una traduzione italiana dell’intervento di Péter Szijjártó, I fondamenti cristiani della politica estera ungherese, svolto al convegno Capitoli delle relazioni diplomatiche tra l’Ungheria e la Santa Sede, tenutosi il 4-4-2015, in András Fejérdy (a cura di), Rapporti diplomatici tra la Santa Sede e l’Ungheria (1920-2015), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2016, pp. 45-50.
(10) Cit. nel sito web <http://ungheriasantasede.blogspot.com/2018/05/il-ruolo-dello-stato-nella-tutela-dei.html>, consultato il 30-4-2019.
(11) La Legge Fondamentale dell’Ungheria, cit., p. 8.
(12) Ibid., p. 6.
(13) Magyar Közlöny [Gazzetta ufficiale della Repubblica di Ungheria], n. 163, Budapest 19-10-2018.