Jean Madiran, Cristianità n. 84 (1982)
Contro lo schiavismo comunista vi è stata, nel 1956, la rivolta del popolo ungherese, schiacciata dai carri armati sovietici. Niente è mai esattamente uguale ma, spesso, gli avvenimenti si assomigliano. Il drammatico inverno polacco del 1981 può richiamare il sanguinoso autunno ungherese del 1956. Tra i due accadimenti vi sono certamente grandi differenze; ma non è difficile scoprire anche profonde analogie. E proprio le analogie suscitano quesiti di straordinaria portata. Per contribuire alla loro corretta enunciazione e per orientare le risposte, presentiamo l’editoriale della rivista Itinéraires (n. 10, febbraio 1957), nel quale il direttore, Jean Madiran, espone l’atteggiamento e l’insegnamento di Pio XII in quelle drammatiche circostanze, e li fa oggetto di un acuto commento. Il testo, ripreso in Itinéraires, n. 260, febbraio 1982, offre l’occasione per meditare sulle consegne e sulle lezioni del Papa di allora, e per misurare anche fino a che punto esse siano state misconosciute e trascurate dai dirigenti politici dell’occidente, nonché tragicamente perse di vista nella Chiesa a tutti i livelli. Il titolo è redazionale.
Ungheria 1956: atteggiamento e insegnamento di Pio XII
Chiesa, Occidente e Cristianità di fronte alla permanente aggressione comunista
Contro il comunismo sovietico il Santo Padre non ha chiamato a una crociata, come ha detto lui stesso nel suo radiomessaggio natalizio: «Noi da parte Nostra, come Capo della Chiesa, abbiamo evitato al presente [cioè nel caso dell’Ungheria], come in casi precedenti, di chiamare la Cristianità ad una crociata» (1).
Però … Infatti vi è un però. Il Santo Padre continua: «Possiamo però richiedere piena comprensione del fatto che, dove la religione è un vivo retaggio degli antenati, gli uomini concepiscano la lotta, che viene loro dal nemico [comunista] ingiustamente imposta, anche come una crociata» (2). Non vi è dunque motivo per disonorare, come ci si impegna a fare molto spesso, l’idea di crociata. Vi è motivo, al contrario, per comprendere, e per comprendere un fatto.
Lo spirito di crociata contro il comunismo è un fatto in certi luoghi naturalissimo.
Se non lo è in altri luoghi, questo accade perché certe condizioni non vi sono realizzate, e non vi è forse da vantarsene molto.
* * *
La lotta contro il comunismo sovietico è condotta come una crociata, ed è un fatto che bisogna comprendere, là dove 1. il comunismo compie una ingiusta aggressione; e dove 2. i gruppi umani oggetto di questa aggressione hanno ricevuto la religione cristiana come un vivo retaggio dai loro antenati.
Questa duplice condizione non è realizzata in tutto l’Occidente: e perciò, se capiamo bene, il Santo Padre ha «evitato […] di chiamare la Cristianità ad una crociata» (3).
Una tale chiamata è ormai solamente una constatazione: in questo senso la Chiesa non prende mai la iniziativa di una guerra offensiva. Essa elenca e indica i pericoli; al momento opportuno conferma a quanti vedevano, rivela a quanti erano ciechi, che non è più possibile rimandare una messa in opera generale dei mezzi di difesa, compresa la guerra: il richiamo a una crociata è questo e non altro.
Il Sommo Pontefice non ha lanciato questo richiamo. Lo lancerà oppure non lo lancerà domani: spetta a lui il giudizio. La crociata non è una eventualità chimerica o «superata»; non è neppure una eventualità che si deve temerariamente desiderare; semplicemente, resta una eventualità possibile, forse un giorno un nostro dovere e già oggi, a Budapest, una realtà che bisogna comprendere.
* * *
La crociata è una guerra, quando questa guerra è ingiustamente imposta dal nemico. L’aggressione comunista è permanente e universale: non è dovunque e sempre militare. I sovietici conducono contro l’Occidente una «guerra fredda», cioè una guerra soprattutto politica e morale. Abbiamo mezzi politici e morali per rispondere a essa. Dobbiamo anche comprendere che questa legittima difesa non è né un crimine né un peccato; e che a questa aggressione politica permanente la morale cristiana non ci chiede assolutamente di rispondere con «incontri» amichevoli e con «colloqui» sorridenti, come «alcuni cattolici, ecclesiastici e laici» hanno voluto convincerci con la parola e con l’esempio. Il Santo Padre dichiara: «Con profondo rammarico dobbiamo a tal proposito lamentare l’appoggio prestato da alcuni cattolici, ecclesiastici e laici, alla tattica dell’annebbiamento, per ottenere un effetto da essi stessi non voluto» (4).
Se questi ecclesiastici e questi laici hanno appoggiato una tattica che porta a un effetto che essi stessi non vogliono, questo vuole dire abbastanza chiaramente che, nel caso, non sanno ciò che fanno.
«Già per il rispetto del nome cristiano – dice il Santo Padre – si deve desistere dal prestarsi a quelle tattiche, poiché, come ammonisce l’Apostolo, è inconciliabile il volersi assidere alla mensa di Dio e a quella dei suoi nemici» (5).
La sola coesistenza vera – come era ampiamente detto nel radiomessaggio natalizio del 1954, ma troppo spesso non se ne erano volute assolutamente cogliere le chiare conseguenze pratiche -, la sola coesistenza vera è quella che si dà nella verità: questa coesistenza, la sola coesistenza che non sia assolutamente ingannevole e deludente, è «inattuabile» con il comunismo sovietico. Il radiomessaggio natalizio del 1956 lo dice in modo ancora più indiscutibile.
Con il comunismo non è possibile nessun dialogo, contrariamente alla più famosa formula del più celebre sociologo ecclesiastico francese: «collaborazione impossibile, dialogo necessario». Nessun dialogo è possibile perché non vi è nessun linguaggio comune: «Con profondo rammarico dobbiamo a tal proposito lamentare l’appoggio prestato da alcuni cattolici, ecclesiastici e laici, alla tattica dell’annebbiamento, per ottenere un effetto da essi stessi non voluto. Come si può ancora non vedere che questo è lo scopo di tutto quell’insincero agitarsi, che va sotto il nome di “colloqui” ed “incontri”? A che scopo, del resto, ragionare senza un comune linguaggio, o com’è possibile d’incontrarsi, se le vie divergono, se cioé da una delle parti ostinatamente si respingono e si negano i comuni valori assoluti, rendendo quindi inattuabile ogni “coesistenza nella verità“?» (6).
Di fronte alla aggressione permanente e universale del comunismo sovietico, il dovere sta nella resistenza. Il Santo Padre dichiara che «la triste realtà Ci costringe a stabilire con chiaro linguaggio i termini della lotta» (7). Questa lotta non è una crociata militare, perché il nemico non ha militarmente intrapreso una guerra mondiale e perché il primo fine dell’Occidente è quello di evitarla. Questa lotta è morale e politica. La pace, nel senso militare del termine, deve essere salvata e la sarà non con il dialogo oppure con il compromesso ma, al contrario, con la resistenza: «Noi siamo persuasi che anche oggi, di fronte ad un nemico risoluto ad imporre, in un modo o nell’altro, a tutti i popoli una particolare e intollerabile forma di vita, soltanto l’unanime e forte contegno di tutti gli amanti della verità e del bene può salvare la pace, e la salverà. Sarebbe un fatale errore ripetere ciò che in una simile contingenza avvenne negli anni che precedettero il secondo conflitto mondiale, quando ognuna delle nazioni minacciate, e non soltanto le più piccole, cercò di salvarsi a spese delle altre, quasi facendosene scudo, e anzi cercando di trarre dalla altrui angustia vantaggi economici e politici assai discutibili. L’epilogo fu che tutte insieme vennero travolte nella conflagrazione» (8).
Bisogna dunque fare sforzi non assolutamente nella direzione di un compromesso con quanto è intollerabile, ma verso un contegno unanime e forte. Non bisogna assolutamente prendere contatto con il comunismo, ma, al contrario, limitare i contatti al minimo inevitabile: «Occorre tuttavia – si osserva – non tagliare i ponti, bensì mantenere le mutue relazioni. Ma per questo basta pienamente ciò che gli uomini responsabili dello Stato e della politica credono di dover fare in contatti e rapporti per la pace della umanità, e non per particolari interessi. Basta quel che la competente Autorità ecclesiastica stima di dover compiere, per ottenere il riconoscimento dei diritti e della libertà della Chiesa» (9).
Le iniziative private, in materia di contatti con il comunismo, sono dunque dichiarate inutili oppure nocive. Il comunismo è il nemico: non si può prendere contatto con il nemico senza tradimento. Che un contatto sia qui o là necessario od opportuno, soltanto l’autorità responsabile e competente può decidere in proposito, soltanto essa può prenderlo. Il contatto con il nemico fa parte delle funzioni dell’autorità, che ne ha lo stretto monopolio. Questo è vero in tutte le guerre. Questo è vero anche nella guerra morale e politica che ci fa il comunismo.
* * *
Dunque, la prima ragione per la quale il Papa non ha chiamato la Cristianità a una crociata non sta nel fatto che si dovrebbe dialogare, venire a patti, intendersi con il comunismo: questa prima ragione sta nel fatto che si deve evitare e non provocare la guerra mondiale; evitarla con una ferma e unanime resistenza morale e politica alle iniziative, alle manovre, alle infiltrazioni dei sovietici.
La seconda ragione è che una crociata può essere fatta soltanto da una religione viva. L’Occidente è invitato, e non per la prima volta, a fare l’esame di coscienza: «[…] nei tempi moderni […] Si è così pervenuti a questa singolare condizione, che non pochi uomini della vita pubblica, privi essi stessi di vivo sentimento religioso, per il bene comune vogliono e debbono difendere quei valori fondamentali, che tuttavia soltanto nella religione e in Dio hanno la loro sussistenza.
«I pretesi realisti non amano riconoscere tale affermazione, ed anzi tanto più incolpano la religione di tramutare in lotta religiosa ciò che non sarebbe se non un contrasto nel campo politico economico. Essi dipingono vivamente il terrore e la crudeltà delle antiche guerre di religione, per far credere che gli odierni conflitti fra l’Occidente e l’Oriente sono invece inoffensivi, e che basterebbe soltanto da ambedue le parti un poco più di senso pratico per ottenere l’acquietamento di interessi economici e di concreti rapporti di potenza politica. Il richiamarsi a valori assoluti falsifica – essi dicono – infaustamente il reale stato di cose, attizza le passioni e rende più difficile il cammino verso una pratica e ragionevole unione» (10).
Ai falsi realisti, il Santo Padre risponde che richiamarsi a valori assoluti non «attizza» assolutamente nulla, e che egli non ha chiamato la Cristianità a una crociata.
Ma che, in primo luogo, per alcuni (come nel caso della Ungheria) la crociata è una situazione di fatto, non provocata, imposta, e che deve essere compresa.
E che, in secondo luogo, per tutti, cioè per tutti gli uomini, nella resistenza al comunismo si tratta di questioni concernenti i valori assoluti dell’uomo e della società: «Ma ciò che per tutti affermiamo, di fronte al tentativo di far apparire inoffensive alcune tendenze nocive, è che si tratta di questioni concernenti i valori assoluti dell’uomo e della società. Per la Nostra grave responsabilità non possiamo lasciare che questo si nasconda nella nebbia degli equivoci» (11).
«Per la Nostra grave responsabilità»: a questo punto, come in molti altri dello stesso radiomessaggio, il Santo Padre sottolinea esplicitamente che si esprime in quanto Sommo Pontefice, pastore e capo di tutti i cattolici, secondo i doveri e i diritti della sua carica apostolica: «Se la triste realtà Ci costringe a stabilire con chiaro linguaggio i termini della lotta, nessuno può onestamente muoverCi il rimprovero quasi di favorire l’irrigidimento dei fronti opposti, e ancor meno di esserCi in qualche modo allontanati da quella missione di pace che deriva dal Nostro Apostolico Officio. Se tacessimo, ben più dovremmo temere il giudizio di Dio» (12).
Non la Chiesa trasforma la resistenza al comunismo nell’analogo morale di una guerra di religione, ma il comunismo attacca i valori assoluti dell’uomo e della società e tenta di imporre a tutti i popoli una forma di vita intollerabile.
Bisogna ricordare che il Santo Padre, nel caso, non si esprime né con metafore approssimative né con iperboli?
Il nostro dramma, e l’oggetto del nostro esame di coscienza, sta nel fatto che l’Occidente non è più la Cristianità. Ma la rappresenta: e nella misura in cui la rappresenta, il comunismo conduce contro di esso una lotta mortale. Molti fra i nostri governanti sono «privi […] di […] sentimento religioso», e tuttavia, per posizione e per funzione, hanno l’incarico di difendere contro il comunismo «quei valori fondamentali, che tuttavia soltanto nella religione e in Dio hanno la loro sussistenza». E ciascuno di noi può riferire anzitutto a sé stesso l’ammonimento del Padre comune. Chi di noi sfugge al rimprovero di essere «privo di sentimento religioso»? Chi, dunque, può pensare di esserne provvisto a sufficienza? Chi è sicuro di pensare, amare e vivere a sufficienza in Dio, con Dio, per Dio?
Sarebbe una grande disgrazia se la guerra mondiale divenisse inevitabile. Ma vi sarebbe una disgrazia ancora peggiore. Ed è che il giorno in cui questa guerra ci fosse imposta dalla aggressione militare del comunismo, il Santo Padre non potesse dire di noi ciò che dice degli ungheresi. Non potesse portare a nostro proposito la stessa testimonianza. Non credesse di poter constatare come un fatto che, in una tale guerra, difendiamo una religione viva e siamo i combattenti di una nuova crociata. Che questa guerra sia soltanto un imperdonabile litigio di ciechi nelle tenebre, che contendono per false parvenze e per interessi superficiali.
Attualmente la guerra è solamente morale e politica. L’Occidente non vi svolge il ruolo che dovrebbe. Il suo errore sta nel «voler separato lo Stato dalla religione, in nome di un laicismo che non ha potuto essere giustificato dai fatti» (13). Con il laicismo, si governano le nazioni cristiane voltando le spalle alla Cristianità.
Il comunismo ci fa una lotta mortale perché rappresentiamo la cristianità. Ma non la siamo assolutamente, oppure troppo poco. La nostra salvezza sta nel finalmente esserla.
* * *
Poiché, del radiomessaggio natalizio, abbiamo soprattutto richiamato quanto riguarda la resistenza al comunismo, vorremmo dire che le direttive del Santo Padre, su questo punto come su altri, non sono nuove. È nuova, ed è esplicitamente presentata come tale, una volontà supplementare di chiarezza, di luminosa precisione, per rispondere a errori persistenti, di cui molti sono dell’ordine dell’equivoco e del malinteso. Già il 10 novembre il Sommo Pontefice ci aveva detto che la resistenza al comunismo deve essere l’obbiettivo primordiale e fondamentale, davanti al quale passano in secondo piano «anche con grave sacrificio» tutti gli altri problemi e tutti gli altri interessi: «Non li nascondiamo quanto siano al presente intricati i rapporti tra le nazioni e tra i gruppi continentali che le abbracciano. Ma si ascolti la voce della coscienza, della civiltà, della fraternità, si ascolti la voce stessa di Dio, e creatore e Padre di tutti, posponendo, anche con grave sacrificio, ogni altro problema e qualsiasi particolare interesse a quello primordiale e fondamentale dei milioni di vite ridotte a servitù» (14).
Due anni fa, nel suo radiomessaggio natalizio del 1954, il Santo Padre domandava «Quale potrebbe essere», di fronte al comunismo, d’idea grande ed efficace, che […] renderebbe [gli Stati] saldi nella difesa e operanti in un comune programma di civiltà»: «Da alcuni si vuol vederla nel concorde rifiuto del genere di vita attentatrice della libertà, proprio dell’altro gruppo. Senza dubbio, l’avversione alla schiavitù è notevole cosa, ma di valore negativo, che non possiede la forza di stimolare gli animi all’azione con la stessa efficacia di un’idea positiva e assoluta» (15).
In altre parole, l’anticomunismo negativo, come si pratica ordinariamente sul piano politico, invocando la difesa di una «libertà» detta più o meno «democratica», è un anticomunismo utile e «importante». Ma non basta. È più positivo fondarsi non sulla «libertà democratica», ma sulla libertà voluta da Dio e sulle esigenze del diritto naturale, che sono realtà e idee spirituali: «Questa potrebbe invece essere l’amore alla libertà voluta da Dio e in accordo con le esigenze del bene generale, oppure l’ideale del diritto di natura, come base di organizzazione dello Stato e degli Stati. Soltanto queste e simili idee spirituali, acquisite già da molti secoli alla tradizione dell’Europa cristiana, possono sostenere il confronto – e anche superarlo, nella misura in cui fossero rese vive» (16).
Jean Madiran
Note:
(1) Pio XII, Radiomessaggio natalizio, del 23-12-1956, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XVIII, p. 736. (In tutte le citazioni le sottolineature in tondo o in neretto sono sempre dell’autore. ndr)
(2) Ibidem.
(3) Ibidem
(4) Ibidem.
(5) Ibid., p. 737.
(6) Ibid., pp. 736-737.
(7) Ibid., p. 737.
(8) Ibid., pp. 737-738.
(9) Ibid., p. 737
(10) Ibid., pp. 735-736.
(11) Ibid., p. 736.
(12) Ibid., p. 737.
(13) Ibid., p. 731.
(14) Idem, Radiomessaggio, del 10-11-1956, ibid., pp. 656-657.
(15) Idem, Radiomessaggio natalizio, del 3-1-1955, ibid., vol. XVI, p. 340.
(16) Ibidem.