Juan Eusebio Nieremberg S. J., Cristianità n. 84 (1982)
Lettera LXX. Ad un altissimo prelato, cardinale di Santa Romana Chiesa, sulle cure che si devono dare alla dottrina cristiana, in IDEM, Lettere scelte, trad. it., Edizioni Paoline, Milano 1960, pp. 271-275.
«È miseria maggiore l’ignoranza di Dio che non la fame e il bisogno di pane»
Ringrazio l’Eminenza Vostra per la cura e lo zelo che ripone nell’insegnamento della dottrina cristiana; o, per dir meglio, l’Eminenza Vostra ringrazi Iddio per questo, ed anch’io lo ringrazierò di vero cuore, giacché, ad essere sinceri, non c’è motivo di ringraziare l’Eminenza Vostra perché nel far questo non fa nulla che vada al di là del suo preciso dovere; anzi, per quanto faccia, il suo debito non s’estinguerà mai.
Ad ogni modo l’Eminenza Vostra adempie al primo obbligo del suo ufficio, che non consiste nel dare elemosina ai corpi, ma alle anime; non nel distribuire pane e frumento, ma nell’insegnare i misteri della fede e nel persuadere le anime delle eterne verità. Il primo obbligo d’un vescovo è la elemosina spirituale, assai più, senza comparazione possibile, di quella corporale, non soltanto perché l’anima vale più del corpo, ma anche perché i bisogni delle anime sono maggiori di quelli dei corpi, ed è miseria maggiore l’ignoranza di Dio che non la fame e il bisogno di pane. Quella miseria supera indubbiamente questa, non soltanto nella sostanza del suo male, ma nella frequenza e nella continuità di esso. Nella sostanza della miseria e della sventura, si vede già benissimo che essa è tanto maggiore, quanto l’anima vale più del corpo. L‘ignoranza della via del Cielo è infinitamente peggiore che la mancanza di sostentamento sulla terra; per colpa di quella ci si perde eternamente; per questa si perisce soltanto corporalmente. Di quanto la vita eterna supera quella temporale, di altrettanto quella miseria supera questa.
Ed inoltre sono in assai minor numero i poveri che vanno mendicando, che non gli ignoranti di ciò che concerne la loro salvezza, che si perdono perché non c’è chi distribuisca loro il pane della dottrina cristiana: ricchi e poveri, sono innumerevoli coloro che soffrono di questa necessità, la quale è continua e, per così dire, non v’è anno in cui non si senta carestia dell’insegnamento della dottrina. Carestia di pane, invece, non la si sente ogni anno; non tutti gli anni sono di fame e di mancanza di pane, mentre in tutti c’è questa carestia e questo bisogno spirituale della dottrina del Cielo.
Quanta liberalità mostrano i vescovi in un’annata di fame? Quanti esempi edificanti dànno in un’annata di pestilenza? Non so dunque perché non dovrebbero adoperarsi assiduamente ogni anno per l’insegnamento della dottrina cristiana, per la quale non v’è annata che non sia di fame e di bisogno, e questa generale infermità dell’ignoranza si diffonde talmente che nessun’altra a maggior ragione potrebbe chiamarsi epidemia; ma per il fatto che non si vedono morire le anime come si vedono i corpi, questo estremo loro bisogno non desta altrettanta compassione.
Come secondo obbligo incombe ai vescovi quello di dare elemosine, senza attendere che la povertà giunga all’estremo. Che cosa non dovranno fare per il primo obbligo della carica, quando il bisogno che dovrebbero sovvenire è non soltanto estremo, ma perenne? Ringraziamo dunque Nostro Signore perché Vostra Eminenza ottempera in questo campo ai suoi obblighi grandi ed anzi immensi. Ma non è sufficiente lo sforzo che finora si è fatto, se non lo si ripete e non lo si continua, e non si vanno sempre cercando tutti i mezzi che possono giovare allo scopo: uno di questi consisterà nel fatto che nel conferimento dei benefici ecclesiastici Vostra Eminenza mostri ben chiaramente che favorisce soprattutto questo ministero della dottrina. In genere, se Vostra Eminenza intende fare grandi elemosine, sia corporali che spirituali senza che le abbiano a costar nulla, nel provvedere alle nomine sia dei parroci che dei semplici beneficiari o altri prebendati, scelga quelli che impiegheranno le loro rendite in maggior servigi a Nostro Signore, e non in favore dei parenti o in cose vane, ma soprattutto preferisca coloro che le useranno nella carità spirituale del bene delle anime, anche se purtroppo costoro sono rarissimi.
Già Vostra Eminenza è a conoscenza che certi sacerdoti insegnano ogni settimana il catechismo ai poveri e ai traviati, con grandissima edificazione, dando a ciascuno, perché partecipi alle elezioni, una somma equivalente a quello che potrebbero guadagnare in quelle ore. Negli ospedali e nelle prigioni compiono molte opere di grande carità, dedicandosi ad esse e altre cose che riguardano il servizio divino. Se Vostra Eminenza concedesse qualche beneficio al sacerdote che maggiormente si distingue, farebbe cosa assai grata a Nostro Signore, perché non credo che ne destinerebbe le rendite ai parenti o a propri agi, ma ad opere così sante; o ne darebbe parte ad altri perché predichino missioni, occupandosi di soccorrere i poveri delle carceri e degli ospedali, e altri ancora ai quali insegnano il catechismo. Così Vostra Eminenza, dando i benefici a gente siffatta, darà a molti per giovare alla loro salvazione e, per così dire, darà al sangue stesso di Cristo, perché con questo mezzo beneficherà molta gente. E siccome abbiamo tanti esempi di prelati che dànno grosse prebende al proprio sangue, ossia ai loro arenti e affini, ci dia Vostra Eminenza l’esempio di darne qualcuna al sangue di Cristo e a chi quasi non conosce, soltanto perché lo zelo che mostra lo merita. Oltre a questo, con l’esempio che così darà agli altri, si farà un guadagno ancora più grande, perché molti altri verranno incoraggiati e animati: i forti, a fare di più; i deboli e pusillanimi, a incominciare. Ho scritto quello che, al cospetto di Dio, ritengo che ridondi in suo servigio: poi Vostra Eminenza potrà fare quel che le parrà meglio. Una cosa però so dire: che se agirà così, Vostra Eminenza non errerà verso Dio, mentre non so se rimarrebbe soddisfatto provvedendo altrimenti. In tutto quel che ho detto, sono stato animato da sì grande amore per la gloria divina, che non mi son preoccupato di espormi al pericolo che Vostra Eminenza m’abbia a stimare intrigante o sempliciotto, sebbene voglia sperare che Vostra Eminenza, per la pietà che la anima, vorrà prendere in buona parte anche i miei errori.
Juan Eusebio Nieremberg S. J.