Pierre de Villemarest, Cristianità n. 86-87 (1982)
Un quadro articolato di quanto accade nel continente americano, sia al sud e al centro che al nord, sottoposto al gioco che si svolge tra la Internazionale guidata da Mosca e quella promossa dalla Trilaterale. La tragica eredità della amministrazione Carter e le infiltrazioni liberal nel dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Informazioni di prima mano offerte da Pierre de Villemarest – il noto giornalista e politologo francese, fondatore del CEI, Centre Européen d’Information, e membro dello United States Strategic Institute -: in un pregevole articolo comparso sul mensile L’Impact Suisse, n. 167, maggio 1982, e intitolato De l’Argentine à l’Amérique centrale, Reagan paie la fatture libérale. La traduzione è redazionale.
Retroscena di avvenimenti latino-americani
Dall’Argentina all’America Centrale Reagan paga il conto «liberal»
Quando 17 milioni di afgani cadono sotto lo stivale sovietico, la Comunità europea non reagisce, se non nella verbosità e nella corsa a chi soffierà i mercati dell’altro con l’Est, se si azzarda a bloccare i suoi rapporti commerciali.
Ma quando 1800 sudditi britannici sperduti ai confini dell’Antartico vedono l’Argentina prendere possesso di un arcipelago rivendicato da più di un secolo, senza che siano colpiti in alcun modo né le loro persone né i loro beni, gli «europei» tutti proibiscono ogni rapporto economico con Buenos Aires.
Così si rivela la immagine dell’Europa come è diventata nelle mani dei mercanti: senza ideali che superino il basso ventre o il portafoglio!
In realtà, la giunta argentina ha avuto solo un torto, da quando, a fine febbraio, la stampa di quel paese ricordava la necessità di farla finita con il sottrarsi britannico di fronte alle sue rivendicazioni; essa non ha né voluto né saputo preparare psicologicamente la opinione pubblica internazionale a una azione nella quale il diritto dava a essa ragione. Lo scriviamo con dispiacere, tanto amiamo questo paese, al quale abbiamo dedicato un libro (1): molti dirigenti argentini credono, se sono abili economisti o diplomatici, che basti, come una volta, battere i salotti di qualche personalità del mondo internazionale, e anche della Trilaterale, per poi condurre, senza troppe noie, la politica che si sono proposti. Allo stesso modo, un grande numero di ufficiali superiori, da quando sono giunti al vertice di una giunta che ha salvato il paese dal caos e dal sangue, credono di potere trascurare gli avvertimenti di certi loro consiglieri, dal momento che sono dalla parte della ragione nei loro orientamenti e nelle loro decisioni.
Il petrolio a portata di mano
Senza rivelare segreti a proposito di una operazione come quella delle isole Falkland, sarebbe stato utile, da sei mesi, da un anno a questa parte, esporre chiaramente agli amici dell’Argentina tutti i suoi problemi, compreso quest’ultimo, che non riguarda solamente qualche isolotto sperduto – la opinione pubblica se ne è resa conto immediatamente -, ma intrighi a causa dei quali la sovranità argentina potrebbe morire. Intrighi relativi alle falde petrolifere e metanifere di cui il paese ha bisogno, nei prossimi dieci anni, per sopperire al decremento delle sue estrazioni sul continente.
Era un segreto di Pulcinella. Come al solito, grandi multinazionali, tra le quali la Exxon e la Shell, tingevano di essere deluse. Vi era certamente petrolio tra le isole Falkland e la Terra del Fuoco, ma non quanto si diceva! Difficile da estrarre, ecc.: come al solito, «la CIA», che diffonde spesso informazioni di questo genere, aveva esagerato. Sciocchezze! Diversamente il ricchissimo Jimmy Goldsmith (Génerale Occidentale (2), L’Express, a Parigi, ecc.) non avrebbe di certo investito in questa zona, nel settore petrolifero. E d’altra parte un esperto del Pentagono così come quelli di Houston, nel Texas, ricordavano tra loro, da molto tempo, questa fonte interessante sia per le necessità che per le finanze dell’Argentina.
Ma, se le nostre informazioni sono esatte, due «sorelle» multinazionali volevano accordarsi prima che il governo di Londra rilanciasse il problema. Consapevolmente o no, l’azione di Buenos Aires ha battuto tutti in velocità; benché lo sbarco, il 19 marzo, senza autorizzazione britannica, di un gruppo argentino, che aveva issato la sua bandiera nella Georgia del Sud, indicasse che le isole Falkland diventavano attuali.
Lord Carrington, i cui interessi in affari grandissimi, in Africa e da quelle parti, non sono un mistero per nessuno, ha rimandato l’esame della pratica, immaginando che potesse passare ancora tempo? Le sue dimissioni – accettate subito – sono significative. Esse hanno disinnescato ogni problema imbarazzante, almeno quanto agli intrighi di multinazionali, che egli conosce meglio di altri.
Detto questo, gli amori di tipo peronista ripresi tra Buenos Aires e Mosca con il pretesto di equilibrare le pressioni nordamericane, sono un gioco pericoloso che l’Argentina ha pagato molto caro in passato. Il generale e presidente Leopoldo Fortunato Galtieri, che è stato così brillante nelle operazioni contro la guerriglia del periodo 1975-1979, avrebbe – nel momento in cui scriviamo, cioè il 12 aprile – stipulato un contratto di 500 milioni di dollari con l’URSS, per attrezzature petrolifere destinate alla YPF, la Yacimientos Petroliferos Fiscales, che, a fine marzo, aveva chiesto un prestito di 75 milioni di dollari a un consorzio franco-arabo e libico, guidato dalla Banque Arabe et Internationale d’investissement.
Dubitiamo che l’URSS possa fornire sia la qualità che la tecnologia sufficienti per estrazioni al largo, off shore. E se esperti ci danno torto, prevediamo che per mesi, se non per anni, si moltiplicheranno missioni sovietiche. Portando nei loro bagagli tutt’altro che il necessario per aiutare la economia argentina.
Tra due Internazionali – quella dei gruppi legati agli obiettivi della Trilaterale e quella dell’URSS – esiste un gioco. Lo diceva apertamente lo stesso David Rockefeller, in marzo, nel corso del suo soggiorno in Africa. Non si vede come Buenos Aires potrà evitare Cariddi navigando verso Scilla. Dietro le quinte, si prepara lo strangolamento di un paese uscito dal caos, e che stava ridiventando sé stesso. Se necessitassero spiegazioni a coloro che, due anni fa, hanno tanto amabilmente ricevuto la équipe de L’Impact, non chiediamo niente di meglio che di fornirle loro, suffragate da fatti, cifre e riferimenti. Anche se questo ci dovesse fare trattare ancora una volta da «estremisti pericolosi», tanto da certi ambienti di New York che dalla stampa dell’URSS, che, nel 1971, ci indicava nominatamente, attraverso la Izvestia, come «affetti da spionite».
Oltre El Salvador, l’obiettivo è Reagan
Quando succede nelle isole Falkland non deve fare dimenticare il dramma che continua in El Salvador e nei paesi vicini. Non essendo riuscito a fare inciampare Ronald Reagan in trappole interne, il clan liberal di New York riprende le sue manovre contro di lui, a partire da problemi di politica estera. Già pressioni ripetute e manovre subordinate lo hanno costretto a rimaneggiare la sua amministrazione, anche alla Casa Bianca. Soprattutto a partire dal dipartimento di Stato, la «rete interna», che vi infierisce dagli anni Sessanta, moltiplica i suoi tiri mancini. Bastano errori di manovra psicologici, contraddizioni apparentemente fortuite, fughe di piani e di documenti programmatici, per scalzare una politica che intendeva essere ferma di fronte all’URSS e alla sovversione, soprattutto nell’America Centrale.
Grenada è una importante base sovietico-cubana. A Panama, la nuova équipe incaricata dei problemi militari e delle informazioni, è imperniata sul colonnello Manuel Antonio Noriega, che è stato niente meno che il cardine, per molti anni, dell’aiuto e della protezione alle reti di rifornimento, in quadri e in armi, di coloro che dovevano rovesciare Somoza, in Nicaragua, e poi scatenare la guerra civile in El Salvador.
Uno dei migliori esperti mondiali di problemi latino-americani, David C. Jordan, professore nella Università di Virginia, descriveva già, nell’autunno del 1980, sulla rivista dello United States Strategie Institute, la politica liberal di cui fa quotidianamente le spese Ronald Reagan. Infatti, lo vedremo, tutto quanto sta succedendo in questi paesi e nella zona, è stato preparato e fomentato non solo dai Noriega, ma da alte personalità americane.
«La spiegazione “machiavellica” della politica americana [in America Latina] condotta dalla amministrazione Carter – scriveva Jordan – è che bisogna combattere il marxismo con il marxismo. In altri termini, attirare, raggruppare e organizzare il maggiore numero possibile di gruppi di sinistra, tra cui i guerriglieri marxisti, per evitare che passino alle dipendenze di Mosca (3). Gli agenti della politica americana, nel caso concreto [il Nicaragua], sono stati la Internazionale socialista e gli Stati del Patto Andino […]. Si tratta di imporre una “soluzione Mugabe”: con riferimento al primo ministro dello Zimbabwe, che è stato molto spesso elogiato dagli Stati Uniti e da altre nazioni occidentali».
In altri termini: la sinistra al potere, ovunque! I sovietici ovunque, dal momento che gli americani liberal li guidano a distanza.
Si esita a qualificare tutto questo: stupidità e ingenuità, oppure abile infiltrazione degli agenti della sovversione nell’apparato americano? O entrambe le ipotesi? Infatti, eccone la dimostrazione.
Il viaggio di «Ismael» negli Stati Uniti
L’attuale dipartimento di Stato ha appena pubblicato una voluminosa e interessante documentazione, che espone, attraverso fatti verificati, come, tra il dicembre 1979 e il luglio 1980, l’apparato sovietico-cubano abbia segretamente aggredito El Salvador, attraverso la base costituita dal Nicaragua, con aerei speciali e con battelli clandestini. Molto bene. Ma non vi si dice nulla del viaggio semi-segreto di un certo «Ismael» negli Stati Uniti, all’inizio del 1980, che ha permesso che negli Stati Uniti si costituissero comitati che oggi sfilano nelle strade. Contro Reagan. Contro l’esercito americano. Contro gli Stati Uniti. Come ai bei vecchi tempi del Vietnam…
Abbiamo un’altra volta raccontato come Shalik Handal, n. 1 del Partito Comunista salvadoregno, aveva, durante il 1980, battuto le capitali dell’Est, fino ad Hanoi, per organizzare, con l’URSS, la Bulgaria e la Repubblica Democratica Tedesca, i mezzi per portare in El Salvador, attraverso il Nicaragua, gli stock di armi abbandonati dagli Stati Uniti in Vietnam.
Orbene, nel febbraio 1980, un certo «Ismael», salvadoregno, era accolto a Washington niente meno. che da Z. Brzezinski, allora responsabile del Consiglio nazionale di sicurezza; da William Bowdler, allora agli Affari interamericani, fiancheggiato da Robert Pastor e da R.J. White (4), che, negli anni dal 1957 al 1959, assicuravano che Castro non era marxista, ma un meraviglioso nazionalista…
«Ismael» era entusiasta, e doveva poi percorrere una decina di città americane. Chi era? Farid Handal, fratello del n. 1 del Partito Comunista di El Salvador! Le più alte autorità garantivano per lui. Indubbiamente, in nome della «dottrina» esposta da David C. Jordan… ne garantivano perché? Per preparare a New York, Washington, Los Angeles, San Francisco, ecc., comitati di solidarietà con El Salvador, comitati di aiuto medico a El Salvador, ecc.
Possediamo la lista dei suoi ospiti: sono gli stessi che, in questi ultimi mesi, hanno scatenato sfilate, campagne di stampa – incentrate sullo slogan «El Salvador = Vietnam» – e di odio contro chiunque, in El Salvador, non fosse di sinistra. Anche Napoleon Duarte, che i comunisti sostenevano nelle elezioni del 1972, era il nemico. D’Aubuisson, uno dei vincitori delle elezioni di fine marzo – a proposito delle quali più di 500 osservatori stranieri hanno constatato che erano libere – è qualificato da R.J. White come «assassino patologico». Senza prove.
I comunisti inquadrano
Chi erano gli ospiti di «Ismael» e futuri animatori delle manifestazioni attuali? A New York, otto dirigenti dei tre attuali comitati di aiuto, tutti comunisti, cioè appartenenti al Partito Comunista americano, o trotskysti, fra cui Cecilia Vega e Gayle Riley.
A Washington, i dirigenti dei due attuali comitati, fra cui Luis Miguel Vasquez, ecuadoriano di origine, quadro del Partito Comunista americano. Inoltre, sette persone, delle quali «Ismael» notava sulla sua agenda – ritrovata a El Salvador nel corso di una operazione – «la importanza, perché legate a diversi circoli governativi, o con il Movimento per la Pace e con il Consiglio mondiale delle Chiese».
Potremmo elencare anche tutti i responsabili di altre città, senza dimenticare qualche prete del Consiglio nazionale delle Chiese, pastori, rabbini, e Sandi Polak, dirigente negli Stati Uniti del Movimento per la Pace. E l’americano che, in questi giorni, deve prendere in mano la sezione britannica di Amnesty International.
Particolari: «Ismael»-Farid Handal agiva di concerto con Guillermo Ungo, uno dei capi del Fronte Farabundo Marti (marxista) di El Salvador, e incontrò padre Moreno, che era allora segretario dell’arcivescovo salvadoregno Romero, poi assassinato da sconosciuti. «Ismael» partecipò a un seminario organizzato dall’IPS, l’Institute For Policy Studies, del quale si sa essere una delle espressioni dell’apparato di disinformazione della Internazionale sovietica, con, al proprio servizio, disertori della CIA, come Philip Agee.
Infine, a casa del diplomatico cubano della DGI – corrispondente al KGB sovietico -, Alfredo Gracia Almeida, addetto all’ONU, Farid Handal ha fatto il punto sulla sua tournée di preparazione psicologica alle «insurrezioni» – fallite – del Fronte marxista, giudicato espressione della opinione «della maggioranza del popolo di El Salvador». Come pensare che questo popolo non avrebbe reagito istintivamente, per poco informato che sia, contro combinazioni internazionali che vedeva bene prendersi gioco di lui, con yankee ufficiali o ufficiosi a sostegno di soviet di assassini, piuttosto che permettere a El Salvador un governo veramente nazionale e anticomunista? Era anche evidente che, poiché Duarte era uno dei pupilli confessi di Washington, avrebbe ottenuto meno voti dei tre altri movimenti nazionalisti; quindi, seggi non bastanti per governare con un centro-sinistra.
Bisogna tirare la lezione dalla definizione data da D.C. Jordan su una politica americana che, al contrario e contro i desideri di Reagan, conserva la rotta liberal di Carter e di certi suoi predecessori. Vi sono circa 10 mila quadri superiori e medi, il 70% dei quali al dipartimento di Stato, che ubbidiscono a questo orientamento piuttosto che al presidente degli Stati Uniti. Oppure che sabotano i suoi ordini. E non soltanto in America Latina.
Pierre de Villemarest
Note:
(1) Cfr. PIERRE F. DE VILLEMAREST, Les stratèges de la peur. Vingt années de guerre révolutionnaire en Argentine, indagine svolta con la collaborazione di Danièle de Villemarest e degli archivi del Centre Européen d’Information, Éditions Voxmundi, Ginevra 1980, opera uscita contemporaneamente anche in inglese, spagnolo e tedesco (ndr).
(2) Multinazionale agro-alimentare con sede a Parigi (ndr).
(3) Si noterà che si tratta dell’«argomento» di cui si servono, a Parigi, Mitterrand, Cheysson e la Internazionale socialista.
(4) White era allora ambasciatore in El Salvador.