Giovanni Cantoni, Cristianità n. 93 (1983)
Cultura «laica» e «masse clericali e sanfediste»
In occasione di una sua recentissima sortita – una delle tante che caratterizzano la nostra vita politica -, l’on. Ciriaco De Mita ha affermato che «il cosiddetto polo laico» non esiste, «culturalmente, socialmente, politicamente», e che «solo i laici hanno avuto la tentazione di identificarsi con la storia». (1).
Trascuro il significato politico della osservazione del segretario nazionale della Democrazia Cristiana, attratto dalla reazione di un esponente di rilievo dello schieramento «laico», il giornalista Indro Montanelli.
Con tono non meno perentorio di quello usato dall’uomo politico democristiano, il direttore de il Giornale nuovo ha risposto: «Noi laici […] non pretendiamo affatto di identificarci con la Storia d’Italia: siamo la Storia d’Italia, perché l’Italia come Nazione la facemmo noi laici, non senza, ma contro le masse clericali e sanfediste […], contro chi pretendeva che restasse un pulviscolo di parrocchie, un allevamento di apolidi» (2).
Non entro neppure nel merito concettuale del «dibattito» – dal momento che, per esempio, appare evidente che la «storia» di cui parla l’on. De Mita non è la «Storia d’Italia» del suo contraddittore -, ma mi limito a registrare la tesi secondo cui la nazione italiana è stata fatta «contro le masse clericali e sanfediste», e la affido all’esame attento dei cultori della «volontà popolare» e della mitologia democratica.
Osservo soltanto che, eventualmente, non la nazione italiana è stata fatta nel suddetto modo, ma lo Stato unitario, imposto con la menzogna, l’inganno e la violenza alla preesistente nazione italiana, chiaramente già costituita dalle citate «masse clericali e sanfediste» e organizzata con modalità rispettose delle diversità storico-culturali e del pluralismo sociale. E mi fermo, di fronte a chi scrive «Nazione» con la maiuscola contrapponendola a «un pulviscolo di parrocchie, un allevamento di apolidi», cioè di fronte alla apologia della presunzione che si erge contro una grandezza tale da potersi permettere dantesca umiltà. (3)
In un secondo momento del dibattito, lo stesso «pennarulo» ha sentenziato che «una cultura laica non solo esiste, ma non ne esiste nessun’altra, salvo il Vangelo» (4). Disorientato dall’audacia dell’asserto – anche se attenuata da una nota sentimentale ispirata a Perché non possiamo non dirci cristiani -, sono rimasto qualche tempo a meditare, con il giornale in mano, e, voltata pagina, ho fortunatamente incontrato qualche riga che mi ha subito dato la misura di questa cultura «unica». Senza commento, trascrivo la conclusione di un pezzo di Paolo Granzotto sulla vicenda di mons. Emmanuel Milingo, vescovo di Lusaka, nello Zambia, che sarebbe accusato di pratiche magiche, e il cui ritorno nella sua terra è caldeggiato dai suoi fedeli: «Soprattutto le donne, perché Milingo, a quanto affermano laggiù, è bravissimo a curare il “mashave”, una specie di delirio, di isteria femminile. Con cosa e come lo debelli, non è dato sapere. La procedura di guarigione esclude ogni testimone: è faccenda da risolversi a quattr’occhi» (5).
Dall’articolo di colore, firmato da Paolo Granzotto appena dopo la frase citata, non riesco a farmi nessuna idea sul «caso Milingo», ma me ne costruisco una molto precisa sulla cultura detta «laica» e sui suoi praticanti e cultori: è l’opinione delle «masse clericali e sanfediste», per il cui risveglio si deve operare, nel cui risveglio continuo a sperare, per il cui risveglio bisogna pregare.
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Intervista all’on. Ciriaco De Mita, a cura di Donato Speroni, in il Mondo, anno XXXIV, n 1/2, 10-1-1983.
(2) il Giornale nuovo, 28-12-1982.
(3) Cfr. DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Inferno, canto I, V. 106.
(4) il Giornale nuovo, 31-12-1982.
(5) Ibidem.