Marco Invernizzi, Cristianità n. 97 (1983)
Un numero sempre crescente di cattolici sembra comprendere e denunciare, con maggiore o minore consapevolezza, gli equivoci che hanno contraddistinto la cosiddetta «scelta religiosa», la quale ha sostanzialmente privato le organizzazioni cattoliche, in anni recenti e difficili da superare, di uno scopo determinato e di un chiaro metodo nell’azione culturale, civile e politica. In un convegno – promosso dal Comitato Nazionale di Collegamento di Cattolici e al quale ha partecipato una rappresentanza di Alleanza Cattolica – è emersa in modo palese la necessità impellente di trovare un rimedio adeguato a tali equivoci, che causano le più svariate sudditanze ideologiche, e compromettono in forma grave la identità dei cattolici e la sua espressione politica. Alcune indicazioni dottrinali per un rinnovamento del mondo cattolico in campo culturale, civile e politico, offerto ai credenti e agli uomini di buona volontà.
Dibattute a Rimini dal 15 al 17 aprile scorso
Le premesse culturali per una presenza cattolica nella vita politica italiana
«La difficoltà per una politica cattolica in Italia deriva dalla mancanza di un fondamento culturale e, quindi, il problema dei cattolici italiani consiste nell’avere rinunciato a una loro interpretazione della storia»: questo concetto – espresso dai dottor Roberto Formigoni, responsabile nazionale del Movimento Popolare, nel corso della tavola rotonda conclusiva del convegno organizzato dal Comitato Nazionale di Collegamento di Cattolici a Viserbella di Rimini, dal 15 al 17 aprile scorso, sul tema Il rapporto fede, cultura e politica. Per una costituente negli anni 80. Proposte alla comunità cristiana e alla comunità civile – mi sembra sintetizzare adeguatamente la difficoltà più rilevante e lo scoglio più arduo che si parano davanti alla cattolicità italiana, sulla via di una più integra, più autentica e più efficace azione culturale e politica (1).
La cronaca dei lavori
Aperti da una relazione introduttiva dell’avvocato professor Enrico Tuccillo, responsabile del Comitato di Collegamento di Cattolici a Napoli, i lavori del convegno sono proseguiti con un importante intervento di S.E. monsignor Ersilio Tonini, arcivescovo di Ravenna, e quindi del professor don Gino Oliosi, responsabile del Centro Culturale Giuseppe Toniolo di Verona.
Nel corso del suo intervento mons. Tonini ha affrontato direttamente, e con particolare efficacia pastorale, i problemi drammatici e urgenti della società italiana, encomiabilmente rinunciando a quello stile allusivo e generico che spesso caratterizza le prese di posizione pubbliche di quanti hanno responsabilità non solamente in campo ecclesiastico ma anche in quello civile.
L’arcivescovo di Ravenna ha perciò denunciato il fallimento ideologico e pratico sia della speranza liberale, «borghese», che di quella marxistica, evidenziando che questo stato di fatto offre conseguentemente una grande occasione storica alla comunità cristiana per operare in campo culturale e civile nel senso di un rinnovamento e di una riaffermazione. Sulla scorta delle note considerazioni di Thomas Stearns Eliot relativamente ai tre possibili modi di incontro tra la comunità cristiana e la comunità civile – verificatisi storicamente nella evangelizzazione del mondo pagano, nella costruzione della Cristianità medioevale e nell’essere divenuta minoranza in una società sempre più secolarizzata come quella attuale (2) -, mons. Tonini ha ricordato le condizioni indispensabili perché la collaborazione dei cattolici con la comunità civile sia anzitutto possibile e, quindi, proficua. Premesso che nel nostro paese è in atto una operazione culturale di svuotamento del «minimo etico» della nazione, del senso comune prodotto da secoli di cultura e di civiltà cristiane – e a questo proposito ha esplicitamente fatto riferimento al tentativo egemonico condotto dal Partito Comunista Italiano secondo il metodo gramsciano -, ha quindi invitato i cattolici a farsi idee chiare sulla collaborazione, liberandosi dagli equivoci relativi al concetto di «libertà», che è capacità dell’uomo di realizzare il proprio essere, e ricordando molto opportunamente che a fondamento serio di ogni collaborazione tra uomini sta e deve stare la verità, dal momento che l’uomo è appunto creato per la verità, e rammentando, infine, che i cattolici devono sempre avere presente che la fede è la garanzia per difendere l’uomo dalle pressioni del totalitarismo moderno.
I lavori del convegno sono continuati nell’ambito di tre commissioni in cui si sono divisi i partecipanti, e con il dibattito in assemblea. Insieme ad altri temi, si è parlato anche di cultura e di società cristiane, esaminando la opportunità dell’uso di questi termini, nonché del modo di porsi dei cattolici in seno e di fronte a una società pluralistica: cioè, se con una visione intimistica della fede e con la conseguente rinuncia a un proprio progetto culturale e politico, ossia alla dottrina sociale della Chiesa, oppure, al contrario, in conformità con tutto il Magistero della Chiesa, nella prospettiva della «unità […] tra fede ed impegno sociale». anche recentemente ribadita da Giovanni Paolo II (3).
Nel corso del convegno hanno pure avuto luogo due tavole rotonde: alla prima, su I cattolici, le radici cristiane dell’Europa e il suo ruolo internazionale di pace, sono intervenuti per le ACLI il dottor Corrado Barbot, per il Movimento Cristiano Lavoratori il dottor Giuseppe Borgia, per il Centro Cultura di Firenze il dottor Gianni Giovannoni, e per l’Istituto per la transizione don Francesco Ricci; alla seconda, su La rifondazione del discorso politico e le politiche del dialogo, presieduta dal professor Sergio Cotta, hanno preso parte per il Centro Alcide De Gasperi di Bologna il professor Paolo Colliva, per il Movimento Popolare il dottor Roberto Formigoni, per l’Azione Cattolica il dottor Carlo Martino e per il Movimento Cristiano Lavoratori il dottor Lucio Toth. I lavori del convegno sono stati conclusi dal dottor Franco Mangialardi, presidente del Comitato Nazionale di Collegamento di Cattolici.
Il problema principale e le condizioni per la sua soluzione
Se questa è la cronaca, ritorno ora al problema principale emerso e dibattuto nel corso del convegno stesso: è possibile che i cattolici italiani trovino una comune interpretazione della storia della nazione e successivamente operino nella vita culturale e anche in quella politica, in coerenza con tale interpretazione e con la dottrina necessaria per formularla?
Mi sembra che a questa domanda si possa e, in un certo senso, si debba rispondere affermativamente, se non si vuole assistere in modo passivo o almeno insufficiente al completamento dell’opera di scristianizzazione della nazione italiana da parte delle forze anticristiane. Però, perché questo rinnovamento si possa verificare, è necessario che si diano alcune condizioni, che vedrò di elencare di seguito, anche se non esaurientemente, tenendo tra l’altro conto delle tesi emerse nel corso del congresso Italia anni 80. Per una presenza cattolica in un mondo socialista, organizzato da Alleanza Cattolica nell’ottobre del 1982 (4).
Dunque, la prima condizione riguarda il linguaggio, ossia è relativa alla necessità che vi sia una adeguata explicatio terminorum, come premessa indispensabile per perseguire la auspicata unità anche operativa all’interno del mondo cattolico. Infatti il linguaggio, cioè la modalità di esprimere pensieri e sentimenti, o diventa comune, oppure continueranno a fiorire la incomprensione e il malinteso, in quanto parole fondamentali come «libertà», «democrazia», «solidarietà», «unità», «pluralismo», «dialogo», e tante altre di importanza rilevante non solo non possono avere all’interno del mondo cattolico la stessa significazione che hanno nella cultura laicistica, ma devono avere un significato comune tra i cattolici stessi. Al riguardo, perché non fare più costante riferimento anche alla «lettera» del Magistero e non solo al suo «spirito»? Perché scompaiono con sempre maggiore frequenza dalle pubblicazioni cattoliche gli indici con riferimento alle parole-chiave, lasciando eccessivo spazio a elementi che si potrebbero chiamare «impressionistici»?
Una seconda condizione è costituita dalla necessità di un giudizio preciso e definito sulla «civiltà moderna», che non coincide con il mondo contemporaneo, ma ne è certo l’anima e l’elemento specifico. Questo giudizio non può essere solamente generico e caratterizzato da termini che non creano divisioni e polemiche. I cattolici italiani devono esprimere una comune interpretazione relativamente alle modalità e alla periodizzazione dell’opera di scristianizzazione della nazione e, soprattutto, devono acquisire la comune consapevolezza che la «diabolica congiura contro la verità» che la lavora, tende alla instaurazione dell’«antidecalogo» (5), ossia alla realizzazione di una società diametralmente opposta a un ordine sociale cristiano.
Le tappe di questo processo, che ha prodotto le correnti concezioni di cultura e di politica, paiono essere, almeno, Umanesimo e Rinascimento, con il loro corollario di machiavellismo, cioè di separazione della vita politica dalla morale, presupposto fondamentale della attuale secolarizzazione; quindi, il cosiddetto Risorgimento, corrispondente italiano della Rivoluzione francese, che sancisce la line della unità della nazione nella fede e nella diversità sociale, per imporre una unificazione contro la Chiesa, che culmina, nel 1870, nella breccia di Porta Pia, momento emblematico del «vasto complotto che certi uomini hanno ordito per annientare […] il cristianesimo» (6); infine, ultima tappa di questo processo è il tentativo, tuttora in corso, di egemonizzazione della società italiana e di acquisizione anche della titolarità del potere da parte delle forze socialcomunistiche, e il cui esito è, in tesi, ancora aperto (7).
Ultimo punto su cui i cattolici devono indispensabilmente portare la loro attenzione e il loro giudizio riguarda la storia del movimento cattolico e i suoi rapporti con quello democristiano, dal quale bisogna avere cura di opportunamente distinguerlo, sia dal punto di vista cronologico che, soprattutto, da quello dottrinale, per avere sempre più chiaro il fatto che mondo cattolico e Democrazia Cristiana non sono assolutamente realtà coincidenti e che l’eventuale venire meno di questa ultima, oppure un suo radicale cambiamento, non significherebbe in alcun modo la scomparsa del primo (8).
Il convegno è stato concluso dal presidente del Comitato Nazionale di Collegamento di Cattolici nella «convinzione di dover concorrere come cattolici al rinnovamento del paese», con un proprio «progetto culturale, sociale e politico fondato sui valori su cui come cristiani si confida», perché «in caso contrario si corre il rischio di accettare acriticamente indicazioni altrui». Ebbene, anche questa nota vuole essere un contributo affinché i cattolici italiani non vadano a cercare altrove quanto posseggono in abbondanza, e affinché trovino al più presto la via per intervenire nella storia alla luce del Magistero ininterrotto della Chiesa e del prezioso contributo di secoli indimenticabili di cultura e di civiltà cristiane.
Marco Invernizzi
Note:
(1) Lo stesso pensiero è ripreso dall’esponente del Movimento Popolare in un articolo che riproduce sostanzialmente l’intervento svolto al convegno: «La cultura cristiana […] si presenta come un’interpretazione della storia, che offre la possibilità di un’azione politica reale e capace di progetto. […]
«Dalla metà del XIX secolo i cattolici italiani hanno rinunciato ad avere una loro interpretazione della storia. […]
«Oggi, ai cristiani è chiesto prima di tutto di ritornare alle origini della loro identità, di ripensare la nazione e il suo futuro secondo la loro cultura, di giocare la carta della verità invece di quella del potere». (Il Sabato, anno VI, n. 17, 23-4-1983, p. 22).
(2) Cfr. THOMAS STEARNS ELIOT. L’idea di una società cristiana, trad. it., 2ª ed., Comunità, Milano 1960. Sullo stesso tema cfr. anche ROGER-THOMAS CALMEL O.P., Per una teologia della storia, trad. it., Borla, Torino 1967; e DOM PROSPER GUÉRANGER, Il senso cristiano della storia, trad. it., Il Falco, Milano 1982.
(3) GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti al convegno promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana sul tema: Dalla «Rerum Novarum» ad oggi: la presenza dei cristiani alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa, del 31-10-1981, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. IV, 2, p. 520. Cfr. anche GIOVANNI CANTONI, Dottrina sociale e lavoro umano nel messaggio della «Laborem exercens, in Cristianità, anno IX, n. 78-79, ottobre-novembre 1981.
(4) Cfr. Italia anni 80. Per una presenza cottolica in un mondo socialista, in Cristianità, anno X, n. 91, novembre 1982.
(5) GIOVANNI XXIII, Radiomessaggio Natalizio ai fedeli e ai popoli del mondo intero, del 22-12-1960, in Discorsi Messaggi Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, vol. III, p. 90.
(6) LEONE XIII. Enciclica Au milieu des sollicitudes, del 16-2-1982, in ASS. vol. XXIV, p. 519.
(7) Sul processo rivoluzionario in Italia negli ultimi due secoli, cfr. G. CANTONI, L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, saggio introduttivo a PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977.
(8) Cfr. G. CANTONI, La «lezione italiana». Premesse, manovre e riflessi della politica di «compromesso storico» sulla soglia dell’Italia rossa, Cristianità, Piacenza 1980, p. 16.