Alfredo Mantovano, Cristianità n. 100 (1983)
Dopo avere attaccato le grandi strutture della società, il processo rivoluzionario prende oggi di mira ogni singolo uomo, nell’intento di dissolverne la individualità in un unico «io» collettivo. È la IV Rivoluzione, che tende a distruggere quanto nella creatura è «immagine e somiglianza» del Creatore. Si impone, perciò, uno stile di vita che opponga la coerenza con i principi naturali e cristiani e lo spirito di sacrificio alla dissoluzione e alla disperazione, che può portare fino al suicidio volontario
Contro l’aggressione della droga e del sesso
Per un uomo padrone di sé e osservante della legge di Dio
1. La IV Rivoluzione esito coerente delle prime tre fasi del processo rivoluzionario
Quando nel gennaio 1977 compare la terza edizione italiana di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, il saggio classico di Plinio Corrêa de Oliveira, accresciuto da una terza parte, stesa da poche settimane, in cui venivano tracciate le linee fondamentali di una ulteriore fase del processo rivoluzionario – la IV Rivoluzione -, forse ben pochi dei suoi primi lettori pensavano che quanto in essa contenuto avrebbe trovato una conferma così immediata negli episodi che, pochi giorni dopo, sconvolgono Roma e altre città italiane, soprattutto quelle sedi di università.
Tali episodi in apparenza scarsamente decifrabili culminano il 17 febbraio dello stesso anno, nella violenta contestazione di un comizio organizzato dai sindacati e tenuto dal leader della CGIL, Luciano Lama, da parte degli «studenti» che occupavano l’ateneo capitolino. Chi sono – ci si chiede – questi sedicenti «indiani metropolitani», che sfuggono a ogni catalogazione e alla disciplina della sinistra intra ed extra-parlamentare? Come interpretare il loro modo di operare, apertamente «selvaggio»?
Certo, il loro apparire non costituisce che la prima manifestazione di un fenomeno in realtà ben più ampio, e i cui sintomi erano già rilevabili nel corpo sociale da almeno un ventennio; ma la intensità e la violenza di quei fatti hanno in Italia lo stesso effetto che in altre nazioni provocavano, verso la metà degli anni Cinquanta, le prodezze dei famigerati teddy boy, il cui sport preferito era riversarsi in strada indossando giubbotti di cuoio con emblemi di teschi e figure cabalistiche e rovesciare automobili, distruggere le vetrine dei negozi, profanare, perfino, le pietre tombali delle chiese.
Qual è la radice di questo modo di vivere? Da dove escono i nuovi «selvaggi»? I primi tentativi ermeneutici della sinistra ufficiale, ma non solo di essa, non brillano per chiarezza e, in taluni casi, neanche per serietà; e ciò è dovuto, in grande parte, a un quadro incompleto del fenomeno rivoluzionario: quanto accade a Roma nel febbraio di sei anni fa costituisce solo il segnale luminoso di una realtà più complessa e in movimento della quale i più non riescono a cogliere, a prima vista, i connotati essenziali. Ci si trova di fronte all’esito di un meccanismo innescato da tempo e che comincia a produrre non élite rivoluzionarie in cerca di innesto su una base, come era successo, nella maggiore parte dei casi, fino a quel momento, ma una base rivoluzionaria priva di élite (1), frutto per molti aspetti «spontaneo» non di uno specifico indottrinamento sovversivo – cioè di una scuola di partito – ma del sovvertimento dell’intero corpo sociale non solo a livello di «struttura», ma anche e soprattutto di costume, di modo di vivere e di comportamento quotidiano. Adoperando la felice terminologia demaistriana, il «barbaro» che è venuto al mondo in questi ultimi decenni non ha trovato chi lo educasse a diventare «civile» e, anzi, gli sono stati proposti modelli di comportamento opposti a tale prospettiva: non vi è allora da meravigliarsi se si è «inselvatichito». La sua refrattarietà all’ordine è tale da fargli respingere anche il «disordine organizzato» proprio della fase comunistica del processo sovversivo: la dissoluzione cui mira è ulteriore e ancora più radicale.
Come si è giunti a ciò? Semplicemente attraverso lo sviluppo coerente degli elementi presenti nelle prime tre tappe del cammino rivoluzionario (2); e questo risulta più chiaro se si leggono tali tappe in termini di progressiva rescissione di legami vitali (3): si è cominciato – con la I Rivoluzione, quella assolutistico-protestantica – rompendo il legame con l’unica res publica christiana, e minando anche la integrità della Chiesa, dalla cui frattura interna è derivata alla società una conseguente crisi di valori e di certezze; si è proseguito distruggendo – con la II Rivoluzione, illuministico-liberalistica – il legame con la unità del corpo sociale e con le varie solidarietà esistenti in esso, il che ha condotto da un lato alla ipertrofia dello Stato e, dall’altro, a un isolamento dei singoli, trasformati in molecole sparse di fronte al potere statuale; l’ulteriore passo è stato, poi, la frantumazione del legame con la unità della vita economica e micro-sociale, a seguito della «lotta di classe» introdotta dalla III Rivoluzione, quella socialcomunistica.
Eliminate così le difese esterne del singolo – quelle radici vitali che lo collegavano a vari livelli alla società religiosa, a quella politica e a quella economica -, l’uomo si è ritrovato solo, in uno stato di sospensione e di estraneazione dal reale; libero, sì, ma della stessa libertà che può godere una pianta sradicata dalla terra e abbandonata a sé stessa, e per questo ancora più facile obiettivo dell’odio rivoluzionario: il quale può finalmente proclamare l’avvenuto abbattimento di ogni ostacolo al suo demoniaco dispiegarsi contro quella persona che, in quanto «immagine e somiglianza» del Creatore, va distrutta nel suo essere, per odio a Colui che l’ha tratta dal nulla.
2. La filosofia e la tecnica di distruzione del singolo
Dunque, dopo avere preso di mira la Chiesa, lo Stato e la società – e pur non abbandonando la lotta contro ciò che ancora ne rimane -, la Rivoluzione, nella sua quarta fase, rende il suo attacco capillare: l’obiettivo è ciascun uomo. Poiché, secondo la mentalità gnostica, ciò che di male vi è nel mondo deriva dalla frantumazione dell’unita originaria, in cui tutto era uguale e indistinto, e dalla conseguente individuazione e specificazione degli esseri, e perciò è indispensabile ritornare all’antico stadio di totale identità del Tutto attraverso la eliminazione di ogni differenza esistente nel reale; e poiché la mentalità gnostica è il fulcro dell’atteggiamento rivoluzionario, e dunque, a fortiori, di quello quartorivoluzionario, per distruggere il singolo diventa necessario fare scomparire la sua individualità a vantaggio dell’assorbimento di ciascun uomo in un unico «io» collettivo, nel quale, come in una tribù, vi sarà «un modo di pensare, un modo di volere e un modo di essere massivamente comuni» (4).
In tale quadro si può individuare la «filosofia» della IV Rivoluzione, elaborata e propagandata dalle varie correnti dello strutturalismo, e per la quale «non esistono uomini né cose, né soggetti né oggetti, né spirito né materia, e tutto ciò che sembra esistere non è che concrezione, “piega” più o meno occasionale e momentanea dell’unica gigantesca ragnatela, della struttura universale» (5): il pensiero strutturalistico è, perciò, «pensiero selvaggio» (6), «pensiero che non pensa e si rivolge solo al concreto» (7).
Le tecniche corrosive del singolo sono, poi, l’applicazione concreta di tali concetti. Partendo dalla considerazione che la «scomposizione» dell’uomo passa anzitutto attraverso la distruzione del retto uso di ragione – quest’ultima, infatti, quando viene usata autonomamente, costituisce il più potente ostacolo all’assorbimento nell’«io» collettivo -, si comincia col proporgli la droga, strumento di dissoluzione psichica prima ancora che fisica. Accanto alla droga, e spesso insieme a essa, si diffondono l’erotismo e la rivoluzione sessuale, tecniche privilegiate per frantumare prima la famiglia e poi la stessa personalità umana, e in più si attacca direttamente la donna in quanto veicolo di vita e di tradizione con il femminismo, il cui substrato gnostico è stato più volte sottolineato (8).
Ma non basta: all’obnubilamento intellettivo causato dalla droga si affiancano quello provocato da una musica dai ritmi ossessivi – nella quale, all’intima sovversione della struttura sonora si accompagnano testi rivoluzionari, quando non esplicitamente demoniaci – e il martellante condizionamento dei mass media, in particolare della televisione, incarnazione meccanica dello «stregone» strutturalista, il cui «pensiero» viene imposto in ogni ora della giornata alla intera tribù dei «videodipendenti». All’uomo dissociato e disperato che costituisce il prodotto di questo «trattamento» si propone infine, per dissolvere l’incubo in cui si è trasformata la sua esistenza, una morte «dolce», che ponga fine a ogni sofferenza e dispiacere: se la vita è dolore e se la droga e il piacere non bastano a tacitarlo, il suicidio – che è la forma di autodistruzione più radicale e «sicura» – diventa una prospettiva allettante. Così, la Rivoluzione scopre definitivamente il suo volto: quel volto di morte, già adombrato nelle espressioni artistiche del secolo scorso – si pensi alla solitudine disperata dei quadri di C. D. Friedrich -, che costituisce il comune denominatore dei teorici del pansessualismo, primo fra tutti Bataille, e che oggi è entrato nel drammatico quotidiano non più di cerchie ristrette, ma di ciascun uomo.
3. «Un fronte prima da capire …»
Se tale e il quadro, necessariamente sintetico ma non per questo meno tragico nella sostanza, quale risposta può dare al fenomeno descritto chi, con i limiti della sua umanità e perciò confidando solo nella grazia di Dio, si è posto nella schiera degli «operai della restaurazione sociale» (9)? In altri termini: che cosa ha fatto e che cosa fa Alleanza Cattolica per arginare e contrastare quell’insieme di tendenze che si possono riassumere sotto il termine di IV Rivoluzione?
Partendo dal presupposto che per la Contro-Rivoluzione si tratta di «un fronte prima da capire e poi da coprire» (10), si è cercato anzitutto di «capire» i termini della questione, sforzandosi di cogliere le caratteristiche essenziali e le modalità operative di questa nuova fase del fenomeno sovversivo. Si è cominciato dalle sue radici filosofiche, tematicamente individuate nello strutturalismo, il cui «sistema» è stato analizzato nel dettaglio (11), mettendo in guardia al tempo stesso da possibili equivoci derivanti da una certa critica al comunismo proveniente da esponenti di tale corrente ideologica. Si è fatto notare, così, che questo atteggiamento, lungi dal costituire espressione di anticomunismo, è segno, al più, di Post-comunismo, nel senso di superamento del bolscevismo in una fase di sovversione ancora più avanzata. Non diverso è il discorso relativo alla pubblicità culturale, operata in settori non comunistici, dei cosiddetti «nuovi filosofi» (12) o della sedicente «nouvelle droite» (13): della «dottrina» degli uni e dell’altra è stato smascherato, con dati di fatto che i diretti interessati non hanno neanche tentato di confutare (14), il carattere sostanzialmente antiteistico, e perciò amorale e nichilistico, denunciando contemporaneamente l’inquinamento ideologico operato da tali prospettive in ambienti potenzialmente ostili alla Rivoluzione.
Ciò posto, però, non poteva mancare – e infatti non è mancato – l’esame delle varie ramificazioni del fenomeno. L’approccio alle singole manifestazioni della IV Rivoluzione – quelle affrontate con maggiore frequenza sono state la droga, la pornografia e l’aborto – ha sempre mirato a una visione d’insieme del problema e a un collegamento organico di esso con il più ampio fenomeno della sovversione organizzata. Affrontando, per esempio, il tema della droga, non ci si limita a dire che «fa male»: l’esame delle conseguenze fisiologiche derivanti dall’uso di sostanze stupefacenti, e di qualsiasi tipo di tali sostanze – anche delle cosiddette «droghe leggere», delle quali si dimostra l’assoluta non innocuità -, è perciò seguito da una riflessione di carattere giuridico e da un’altra di natura morale. Entrambe sono tese a mostrare come il problema non è nato per caso, né tanto meno si situa in un contesto socio-politico privo di responsabilità, ma è al contrario la conseguenza, da un lato, di un permissivismo normativo del quale si possono individuare i passaggi nelle leggi che hanno gradualmente ristretto la persecuzione di determinati reati; dall’altro e contemporaneamente, di una «cultura della droga» che ha una sua precisa collocazione nel processo dissolutivo rivoluzionario, che conosce i suoi «untori», e che ha perciò collegamenti con le forze anticristiane presenti in Italia. Si cerca, con ciò, di rispondere non solo al quesito «che cosa è la droga», ma anche «perché la droga oggi» e «come combatterla».
Questo sforzo di comprensione ha avuto il suo logico inizio ad intra, nelle riunioni e nei corsi per i militanti dell’associazione, ma poi si è indirizzato all’esterno, utilizzando allo scopo i mezzi ordinari di propaganda, da quelli meno «corposi» dottrinalmente – ma, proprio per questo, di più larga divulgazione – come i volantinaggi pubblici, soprattutto davanti alle scuole, agli altri, di analisi più estesa, come gli studi comparsi periodicamente su Cristianità o le conferenze.
A livello di approfondimento culturale si dedica particolare attenzione alla rivoluzione sessuale, anche perché «essa non è più soltanto un processo, ma anche una epoca» (15): se ne sono individuati gli ispiratori, da de Sade a Groddeck, da Reich a Bataille, i passaggi, i caratteri comuni e la sua funzionalità alla meta rivoluzionaria di coniugare l’economia socialistica con l’immoralismo libertario, che è la sostanza della «democrazia socialistica» craxiana; al tempo stesso, però, non ci si limita alla esposizione, per quanto puntuale, della ideologia pansessualistica, ma, sulla scia anche del chiaro magistero di Giovanni Paolo II, si delineano parallelamente i cardini di una serena «metafisica dell’amore» cui ogni cristiano dovrebbe uniformarsi, e di una presenza cattolica organica e organizzata nella società permissiva socialistica in cui ci si trova immersi (16).
4. «… e poi da coprire»
La risposta di Alleanza Cattolica alla IV Rivoluzione non si ferma però al semplice «capire»; il fronte sul quale si combatte è anche «da coprire»: l’approfondimento dottrinale, la comprensione del fenomeno, la individuazione dei criteri di opposizione non possono non essere tradotti, da parte del vero «operaio della restaurazione sociale», in vita vissuta e perciò in comportamento al tempo stesso conseguente con i propri princìpi e costruttivamente polemico nei confronti del modus vivendi diffuso. Infatti, l’ambiente in cui si opera, prima ancora di condividere la dottrina propagandata attraverso i discorsi, le conferenze o le pubblicazioni, percepisce la coerenza di vita del propagandista, che costituisce quasi il manifesto di tutto ciò che poi viene detto o scritto.
E qui, se da un lato emergono i limiti della natura umana e la difficoltà a liberarsi del tutto dalle scorie quotidianamente depositate in ciascuno da una società immersa nella Rivoluzione, dall’altro è presente, nella giornata del militante, lo sforzo costante e – per quanto possibile – sereno, teso a incarnare uno stile di vita che sia degno del nome così impegnativo di cristiano e che, proprio per questo, offra la prima risposta – integrale e radicale – di opposizione alla sovversione.
Questo stile di vita, consapevole che il primo terreno di combattimento è il proprio «io» e che le prime insidie da vincere sono le tentazioni individuali, anzitutto si nutre dell’alimento spirituale, servendosi dei mezzi ordinari di grazia, come la preghiera – da quella più elementare a quella metodica e organizzata costituita dagli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio – e i sacramenti. Forte dell’aiuto della grazia, il militante affronta poi l’indispensabile momento di studio della realtà sovversiva, abituandosi a quel retto uso di ragione che, come si è visto, è l’ostacolo principale all’annullamento nell’unica tribù: in tale modo, bandendo ogni abbandono fideistico, si tende a evitare qualsiasi posizione immotivata, sì che ogni eventuale «no» deve avere precise ragioni a suo fondamento, vigendo l’esatto inverso del marxiano «divieto di fare domande».
Ma è nel lavoro associativo di ogni giorno che si manifesta ancora di più la negazione pratica dello spirito della IV Rivoluzione: se questa ultima coincide con l’autodivinizzazione e con il rifiuto gnostico del limite e del dolore, l’attività quotidiana del militante è un continuo esercizio al sacrificio e al superamento di ostacoli spirituali, psichici e culturali, dapprima in sé stessi e poi – durante l’apostolato – negli altri. Si tratta di un sacrificio vissuto nella consapevolezza della sua partecipazione alla Passione redentiva di Nostro Signore, e perciò della sua naturale fecondità: e, proprio per questo, esso diventa fonte di consolazione e di gioia per sé e per gli altri.
Alfredo Mantovano
Note:
(1) Cfr. GIOVANNI CANTONI, Il PCI e gli «indiani metropolitani», in IDEM, La «lezione italiana», Cristianità, Piacenza 1980, p. 150.
(2) Sulle prime tre tappe della marcia della Rivoluzione, cfr. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, pp. 70 ss.
(3) Una esposizione più estesa di tali passaggi in MASSIMO INTROVIGNE, Le origini della Rivoluzione sessuale, in Cristianità, anno VII, n. 54, ottobre 1979.
(4) P. CORRÊA DE OLIVEIRA, op. cit., p. 190.
(5) M. INTROVIGNE, Strutturalismo e Rivoluzione, in Cristianità, anno V, n. 23, marzo 1977.
(6) Cfr. CLAUDE LEVY-STRAUSS, Il pensiero selvaggio, trad. it., Il Saggiatore, Milano 1964.
(7) P. CORRÊA DE OLIVEIRA, op. cit., p. 191.
(8) Cfr. EMANUELE SAMEK LODOVICI, Un modello gnostico per il femminismo, in IDEM, Metamorfosi della gnosi. Quadri della dissoluzione contemporanea, Ares, Milano 1979, pp. 155- 171.
(9) SAN PIO X, Lettera apostolica Notre charge apostolique, del 25-8-1910, in AAS, vol. II, p. 631.
(10) G. CANTONI, Il PCI e gli «indiani metropolitani», cit., p. 156.
(11) Cfr. M. INTROVIGNE, Strutturalismo e Rivoluzione, cit..
(12) Cfr. IDEM, I «nouveaux philosophes», in Cristianità, anno VI, n. 42, ottobre 1978.
(13) Cfr. IDEM, GRECE e «Nouvelle Ecole», ibid., anno V, n. 32, dicembre 1977.
(14) Sulla polemica seguita, da parte dei portabandiera di Nouvelle Ecole, alla pubblicazione dell’articolo citato nella nota precedente, cfr. L’indignazione infondata di «Nouvelle Ecole», ibid., anno VI, n. 37, maggio 1978; e Conferme e precisazioni a proposito del GRECE e di «Nouvelle Ecole», ibid., anno VI, n. 44, dicembre 1978.
(15) M. INTROVIGNE, Metafisica dell’amore e Rivoluzione sessuale, ibid., anno IX, n. 71, marzo 1981.
(16) Cfr. IDEM, Pornografia e Rivoluzione sessuale, Libreria San Lorenzo, Chiavenna (So) 1983; dello stesso autore, insieme agli articoli già citati, vanno ricordati anche i seguenti: L’inconscio come trama del mondo: Groddeck, in Cristianità, anno VII, n. 55, novembre 1979; La gnosi sessuale di Wilhelm Reich, ibid., anno VIII, n. 57, gennaio 1980; L’erotismo come culto della morte: Bataille, ibid., anno VIII, n. 67, novembre 1980.