Marco Invernizzi, Cristianità n. 100 (1983)
Dal 1973 l’assedio della Rivoluzione alla titolarità del potere sulla nazione italiana si è fatto sempre più stretto, attraverso diverse manovre, tra le quali hanno avuto e stanno avendo parte rilevante la cosiddetta politica di «compromesso storico» e l’attuale marcia verso la «democrazia compiuta» con il governo a guida socialistica. Attraverso Cristianità, ma anche con altre espressioni propagandistiche e animatorie, Alleanza Cattolica ha seguito con attenzione lo svolgersi della vita politica nazionale e dei suoi riflessi sociali, denunciando con tempestività orientamenti e mosse sovversive talora ancora in nuce, e stimolando il corpo sociale a forme adeguate e meditate di reazione, in conformità con la gravità e la imminenza dei pericoli e con le reali possibilità a disposizione, in tempi e in uomini, nonché in mezzi.
Contro la instaurazione del regime socialcomunistico
Per la rinascita di una Italia libera e cattolica
«L’opera della redenzione di Cristo, mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure la instaurazione di tutto l’ordine temporale» (1). Così, dunque, se la santità personale è la conformazione del singolo al piano di Dio e all’opera redentrice di Nostro Signore Gesù Cristo, la «santità sociale» è la risposta affermativa di una nazione, o della intera umanità, alla offerta divina di diventare civiltà cristiana.
Sulla base di questa considerazione Alleanza Cattolica cura la formazione di uomini che mirino non soltanto alla diffusione ma anche alla realizzazione della dottrina sociale della Chiesa, ossia alla promozione e alla costruzione di una società a misura di uomo e secondo il piano di Dio.
Come realizzare questa vocazione nonostante la presenza nella storia di forze che puntano alla instaurazione dell’antidecalogo, di un male diffuso e organizzato, di un processo storico diametralmente opposto al tentativo di costruire una civiltà cristiana, di una Rivoluzione che il Magistero ha denunciato in modo esplicito e circostanziato?
Proprio a causa di ciò, fino dall’inizio della sua vita pubblica, accanto alla propagazione positiva della dottrina sociale della Chiesa, Alleanza Cattolica ha promosso numerose e articolate campagne propagandistiche su temi di attualità, intenzionalmente polemiche nel confutare gli errori della Rivoluzione, e con lo scopo di «seguire a passo a passo lo svolgersi della marcia della Rivoluzione, in un faticoso sforzo per rendere esplicite le cose che sono implicite nel processo rivoluzionario» (2).
Mi occuperò soltanto degli interventi pubblici relativi a problemi italiani e di natura specificamente politica.
La marcia della Rivoluzione in Italia
Ogni considerazione sulla politica italiana non può prescindere da quell’avvenimento essenziale che è il Risorgimento, culminato nel 1870 con la breccia di Porta Pia e la unificazione politica della nazione.
Il Risorgimento consegna lo Stato italiano. nelle mani della minoranza liberalistica, contrapponendolo alla nazione, rimasta sostanzialmente cattolica, e alla Chiesa. Il 1870, vero Ottantanove d’Italia, segna così la nascita istituzionale dello Stato secolarizzato e l’inizio di un tempo storico ancora aperto: infatti, questa data rappresenta soltanto una tappa di un processo ancora in fieri, mirante alla completa laicizzazione della nazione; un processo indubbiamente unitario, anche se di volta in volta guidato da forze ideologiche e politiche diverse, che si alternano alla sua guida, dal liberalismo al fascismo, dal socialismo al comunismo.
Ma il 1870 vede anche la nascita della opposizione cattolica organizzata nella nazione italiana: una opposizione attiva e largamente presente nell’azione religiosa e sociale, ma, per molte ragioni, carente di una lucida prospettiva politica (3).
La opposizione di quello che si comincia a chiamare movimento cattolico italiano – per molti versi ricca di insegnamenti e di splendide testimonianze ancora valide per i nostri giorni – manifesta abbastanza presto la sua debolezza nella disponibilità al compromesso, nella indecisione, e, forse soprattutto, nella cura insufficiente per la formazione dottrinale della base militante. Ciò permette la penetrazione in essa del modernismo, principalmente sul terreno politico-sociale, ponendo il popolo cattolico, dal 1919 a tutt’oggi, di fronte alla drammatica alternativa di lasciarsi guidare da una classe dirigente professante il modernismo sociale democristiano, oppure di doversi rivolgere a esponenti di altre ideologie, comunque non cristiane.
Quando, dopo la seconda guerra mondiale, la nazione consegna nelle mani della Democrazia Cristiana la guida del governo, si verificano le condizioni ideali per una rinascita cattolica della società. Eppure, da allora a oggi, i cattolici hanno assistito a un incredibile processo di secolarizzazione, in ogni campo della vita pubblica e privata, non ostacolato, anzi «governato» dalla Democrazia Cristiana stessa, almeno fino al primo governo guidato dal senatore Spadolini, nel 1982.
La secolarizzazione, in campo politico, ha conosciuto due tappe fondamentali: l’«apertura» ai partiti laicistici, il «centrismo», dopo la vittoria democristiana nel 1948, e l’«apertura» ai socialisti, il «centro-sinistra», negli anni Sessanta.
Entrambe sono state non necessitate dal punto di vista dei rapporti di forze parlamentari, poi non accettate dall’elettorato nelle consultazioni successive alle due «aperture» e, così, hanno mostrato come lo scivolamento a sinistra nella nazione sia stato imposto artificialmente dalla classe politica più che auspicato dal popolo italiano.
Nel 1973, gli italiani hanno la prova, ancora una volta, di come la classe politica possa disattendere la loro volontà; infatti, nelle elezioni dell’anno precedente, i voti espressi avevano chiaramente sancito la reversibilità della formula di centrosinistra, tanto che veniva costituito un governo «centrista» presieduto dall’on. Andreotti, con i liberali e senza i socialisti. Ma dopo questa breve parentesi, e senza nuove elezioni che verifichino l’eventuale mutamento della opinione pubblica, la classe politica italiana decide di non tenere in considerazione i risultati delle elezioni del 7 maggio 1972 e prepara la ri-apertura a sinistra. Ancora una volta, la classe dirigente impone alla nazione – nonostante l’orientamento popolare espresso anche elettoralmente – un progressivo e artificiale scivolamento verso sinistra.
In questo frangente politico comincia a uscire Cristianità e inizia la sua diffusione militante davanti alle chiese e nelle piazze italiane. Per mezzo soprattutto di questa rivista, insieme alle distribuzione di volantini, alla affissione di manifesti, alla organizzazione di conferenze e di corsi di formazione per «amici di Cristianità» presso parrocchie, centri culturali e abitazioni private, Alleanza Cattolica interverrà ininterrottamente per dieci anni, dal 1973 ai nostri giorni, nella vita culturale e politica italiana, per ricordare che se esistono uomini memori del fatto che Gesù Cristo vuole regnare nei cuori e sulle nazioni, e se questi uomini sapranno e potranno trovarne e formarne altri, allora «ogni restaurazione è ancora possibile, l’Italia cattolica non è un sogno e Cristianità è il nome futuro del mondo docile all’insegnamento tradizionale della santa Chiesa, costituita da Nostro Signore Gesù Cristo Madre e maestra di tutte le genti» (4).
Il «compromesso storico»
Sul finire dello stesso anno Alleanza Cattolica comincia a intervenire sul tema che caratterizzerà la politica italiana per tutti gli anni Settanta: il «compromesso storico», denunciato e smascherato sulle pagine di Cristianità come «una nuova trappola comunista» (5). L’attenzione con cui Alleanza Cattolica seguirà a passo a passo questo tentativo di occupazione del potere anche legale avrà il merito di essere dettagliata e documentata sui testi degli stessi responsabili comunisti: un simile modo di affrontare i problemi segnerà una svolta per molti giovani, che da un anticomunismo chiassoso e verboso passeranno a un anticomunismo dottrinale, motivato da qualcosa di più del semplice – anche se più che comprensibile, soprattutto in quegli anni – desiderio di opporsi alla sopraffazione e alla violenza socialcomunistiche; motivato, in ultima analisi, da un amore più grande della semplice contrapposizione, da un amore per la dottrina cattolica che, proprio in quegli anni, questi giovani andranno conoscendo, professando e amando.
La questione democristiana
La strategia di «compromesso storico» prevedeva un incontro, culturale e politico, tra il mondo comunistico e quello cattolico, quest’ultimo egemonizzato dal pensiero e dalla pratica politica democristiana.
Nel marzo del 1975 esce su Cristianità un lungo articolo intitolato La questione democristiana, che viene presentata come «un mistero che pesa sul futuro dell’Italia» (6). È uno studio che supera la facile ma superficiale polemica antidemocristiana, imperniata sulla corruzione morale di suoi esponenti, soprattutto in rapporto alla gestione della cosa pubblica; in esso, invece, si risale alle origini dottrinali e storiche del problema, ritornando alla nascita del movimento cattolico all’indomani della Rivoluzione francese e al modernismo politico e sociale, diffusosi particolarmente in Italia, per cercare e capire le ragioni di un male che ha dato e continua a dare velenosi frutti nel mondo cattolico e nella nazione italiana.
La incomprensione con cui l’intervento viene accolto è quasi totale. Per molti esponenti ecclesiastici – e non soltanto per quelli neomodernisti o progressisti è troppo impietoso, perché mette in discussione diversi miti su cui ci si era comodamente adagiati per tanti anni: che don Sturzo, con il suo aconfessionalismo, separasse la fede dalla politica, era ed è cosa risaputa dagli studiosi, ma non accettata, a volte neppure come ipotesi, nel mondo cattolico (7); che Alcide De Gasperi fosse un cattolico liberale che non voleva una ricostruzione cattolica dello Stato e della società non era una tesi da sostenere, perché avrebbe smontato, presso il popolo, il mito di De Gasperi «alfiere del cattolicesimo e dell’anticomunismo» (8); ammettere che il pensiero e le espressioni politiche democristiane abbiano fino dall’inizio incarnato il modernismo sociale e politico significava dovere rinnegare molte tesi erronee a cui ci si andava abituando ogni giorno di più. Quando queste tesi venivano sostenute in pubbliche conferenze o in conversazioni private suscitavano, per lo più, reazioni di sorpresa o di indignazione: oggi, a otto anni di distanza, alcune di quelle affermazioni – seppure in modo parziale – cominciano faticosamente a diffondersi, anche se continua a rimanere in tutta la sua drammatica urgenza il problema politico dei cattolici italiani (9).
La crisi del mondo cattolico
La strategia di «compromesso storico» non viene proposta in un periodo scelto a caso: se il fallimento della «via cilena» fornisce all’on. Berlinguer la occasione per approfittare degli errori commessi e mettere a punto la «via italiana al socialismo», la crisi che investe in quegli anni il mondo cattolico – in particolare riguardo al modo di intendere i rapporti tra cristianesimo e marxismo – ne è condizione indispensabile dal punto di vista politico.
La crisi è grave e lacerante. Ne danno pubblica testimonianza prima il cardinale Poletti, vicario generale del vescovo di Roma, che, il 19 ottobre 1975, pronuncia un discorso rigorosamente anticomunistico; poi il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana che, con una dichiarazione del 13 dicembre dello stesso anno, unisce significativamente la condanna del comunismo a quella dell’aborto procurato.
Entrambe le prese di posizione, denunciano il venire meno all’interno del mondo cattolico della necessaria fermezza nei confronti della ideologia e della politica comunistiche, e vengono ampiamente riprese dai militanti di Alleanza Cattolica in campagne propagandistiche pubbliche; in particolare, una lettera aperta al cardinale Poletti, riprodotta su Cristianità (10), viene diffusa in molte migliaia di esemplari e consegnata personalmente al presule.
Gli anni della politica di «solidarietà nazionale» e l’aspetto culturale del «compromesso storico»
Gli anni della politica di «solidarietà nazionale», dal 1976 al 1979, spingono Alleanza Cattolica a concentrare i propri sforzi di propaganda e di animazione del corpo sociale contro il tentativo di «compromesso storico» e contro il governo Andreotti. Questo governo, che si regge con l’astensione determinante dei comunisti, segnerà l’abbattimento dell’«ultimo storico steccato» verso la completa secolarizzazione della vita politica italiana; il suo operato, peraltro, caratterizzato dalla politica di «austerità» inventata dai comunisti, raggiungerà un bassissimo livello di popolarità e mostrerà il divario che ormai esiste tra il «paese legale», il governo da una parte, e la nazione, il corpo sociale dall’altra: da questa riflessione nasce una lunga azione propagandistica e di animazione, una sorta di «appello alla nazione perché resista alle pressioni dello Stato sovversivo» (11), che culminerà nella «lezione italiana» sancita dalle elezioni del 3 giugno 1979, cioè nel rifiuto popolare della politica di «compromesso storico» espresso con la contemporanea «punizione» elettorale della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista.
L’azione propagandistica promossa da Alleanza Cattolica ha un duplice scopo: formare e informare dottrinalmente ed esortare alla resistenza civica e sociale.
Espressione del primo obiettivo è la pubblicazione, nel novembre del 1977, di un numero monografico di Cristianità dedicato all’aspetto «culturale» del «compromesso storico».
Nell’ambito della opposizione allo «storico incontro» tra comunisti e cattolici, questo intervento costituisce un salto di qualità sia a livello di analisi che di terapia del male da combattere. In esso viene messa in luce la natura ideologica del «compromesso» proposto, cioè il tentativo di creare «una sintesi, o “compromesso”: tra verità cattolica ed errore comunista» (12), attraverso lo svigorimento dottrinale, o deideologizzazione, dei cattolici, e particolarmente attraverso la rinuncia da parte loro alla dottrina sociale naturale e cristiana.
L’intervento è una anticipazione della attuale polemica tra i sostenitori della «cultura della presenza» da una parte, e i fautori della cosiddetta «scelta religiosa», o della «cultura della mediazione» dall’altra; in particolare, esso fa documentatamente emergere il disegno progressistico di superare la dottrina sociale cattolica e, quindi, di rinunciare alla conversione della società nei suoi costumi, nelle sue leggi e nelle sue istituzioni, come passaggio ulteriore alla conversione delle anime.
La campagna propagandistica contro il «compromesso culturale» sarà svolta, oltre che con la consueta diffusione militante di Cristianità, anche attraverso un altro tipo di rapporto con le persone vicine ad Alleanza Cattolica: gli incontri per gli «amici di Cristianità».
Questi incontri, che da allora si svolgeranno regolarmente in molte città, vogliono offrire ai partecipanti l’approfondimento dottrinale di un tema di attualità, insieme alla trasmissione di informazioni e di dati «censurati» o maliziosamente commentati dai mass media più importanti.
Dalla formazione dottrinale alla riconquista della società
Accanto alla formazione dottrinale e alla costante attenzione alle metamorfosi del processo rivoluzionario, nell’opera di Alleanza Cattolica non poteva mancare la esortazione all’azione, alla organizzazione di uomini per «esercitarli poi a innestarsi sulla spontanea ma non autonoma reazione popolare […] e renderli infine capaci di annodare le fila e di costruire il tessuto di una opposizione organica alla Rivoluzione (13). Si tratta di una esortazione fondata sul realismo cattolico, che aborrisce le fantasticherie e gli interessi esotici ed esclusivamente libreschi come manifestazioni di disprezzo della realtà, che non cerca e non combatte «quello che gradiremmo, ma quello a cui ci chiama la pressione rivoluzionaria così come storicamente si manifesta» (14).
Queste accorate esortazioni non compaiono soltanto sulle pagine di Cristianità, ma anche nelle conversazioni private che precedono e seguono ogni azione propagandistica e animatoria, e ricordano che «a ogni ingiustizia si deve rispondere con una reazione organizzata», che «nessuna ingiustizia va sopportata in silenzio», e che «all’avvelenamento psicologico e culturale […] si deve rispondere non tollerando l’errore […], ma facendo circolare la buona stampa, spegnendo la televisione e parlando, ravvivando il dialogo domestico e fra nuclei familiari, costruendo micro-comunità dottrinalmente e praticamente solidali» (15)
Come anticipando il pericolo del riflusso che avrebbe accompagnato la liquidazione della contestazione, viene ricordato, anzitutto ai militanti di Alleanza Cattolica e poi a tutti gli italiani, che «tutto questo costa tempo e fatica. Tempo e fatica sottratti al lavoro e allo svago» (16); ma accanto al sacrificio, viene sottolineata la grandezza della ricompensa: «c’è una grazia legata alla professione piena e completa della Fede», ossia «la salvezza di coloro che la fanno» e «anche la salvezza di coloro che l’ascoltano» (17).
La «lezione italiana»
Tre anni di politica di «solidarietà nazionale» non sono sufficienti per convincere gli italiani ad accettare il regime democristiano-comunistico: si comincia, anzi, ad avvertire un sempre maggiore distacco del «paese reale» dalla classe politica, manifestato sia dall’esito dei referendum dell’11 e 12 giugno 1978 sul finanziamento pubblico ai partiti e sulla legge Reale relativa all’ordine pubblico – che sanciscono un significativo rifiuto delle indicazioni dei partiti da parte di moltissimi italiani (18) -, sia dall’artificiosa operazione di «liquidazione della contestazione» (19), che porta al cosiddetto «riflusso nel privato», cioè a una collocazione esistenziale altrettanto sbagliata quanto quella contraria, il «tutto è politica» di gramsciana e sessantottesca memoria.
Le elezioni politiche del 3 giugno 1979, anticipate dal dicktat comunista «o al governo o alla opposizione», costituiscono un grave infortunio per la strategia di «compromesso storico»: il risultato elettorale, infatti, punisce contemporaneamente la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, cioè i due protagonisti della strategia.
È la «lezione italiana», con cui si dimostra che «un popolo sottoposto a pressioni enormi, a tentazioni inaudite, a tradimenti impensabili, ha rivelato […] una virtù e una forza straordinaria» (20) riuscendo a impedire al Partito Comunista di cogliere il frutto di un immenso sforzo propagandistico mirante a entrare nel governo per dividere con la Democrazia Cristiana il «potere legale».
Tale «lezione» è resa ancora più significativa dal fatto che non sono gli altri partiti a beneficiare del calo elettorale democristiano e comunistico. Infatti, le stesse elezioni vedono il partito del «rifiuto», cioè gli astenuti, le schede bianche e quelle nulle, attestarsi su una percentuale del 13,8% degli elettori, che suona chiaramente ammonitrice non solo per l’incipiente regime di «compromesso storico», ma anche per l’intero sistema dei partiti.
Si delinea dunque, con una sempre maggiore chiarezza, il compito storico da realizzare da parte di chi non si vuole arrendere alla completa secolarizzazione della società e dello Stato italiano, dal momento che il popolo non ha rinnegato completamente la sua tradizione cristiana e occidentale, e comunque ha mantenuto una sufficiente avversione per quelle forze ideologiche e politiche che si collocano più o meno esplicitamente agli antipodi di questa tradizione.
Il compito storico di chi crede a una possibile rinascita cattolica della nazione consisterà, quindi, nel rendere consapevoli coloro che hanno dato luogo alla «lezione italiana», cioè nel trasformare la resistenza passiva, espressa soprattutto elettoralmente, in riproposizione e realizzazione cosciente della regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo.
Se il dato relativo alle capacità di resistenza degli italiani è confortante, il compito di dare una coscienza dottrinale e una organizzazione a questa resistenza è entusiasmante: tra coloro che se ne fanno carico vi sono senz’altro i militanti di Alleanza Cattolica, per i quali, appunto, la «lezione italiana» diventa un punto di riferimento obbligato oltre che un motivo di speranza.
La Rivoluzione cambia strategia
La strategia di «compromesso storico» non è più proponibile al popolo che l’ha rifiutata. Anche il Partito Comunista, lentamente, la abbandona. La classe politica entra nella fase chiamata di «tregua operosa» che, in realtà, nasconde sostanzialmente una grande incertezza.
La politica italiana, che durante i governi di «solidarietà nazionale» era stata al centro dell’attenzione mondiale, viene così relegata in una posizione secondaria.
Il 1981 è un anno straordinariamente ricco di avvenimenti nazionali e internazionali, che spostano ancora di più in secondo piano l’aspetto strettamente politico della vita italiana: l’attentato a Giovanni Paolo II, il 13 maggio, che simbolicamente esprime la enorme intensità di odio contro la Chiesa raggiunta dal mondo moderno; la vittoria abortistica nel referendum contro la «legge» 194, che sancisce, oltre al fatto morale e giuridico di per sé gravissimo, la ulteriore caduta della capacità di mobilitazione del mondo cattolico, soprattutto nel Meridione (21); la terza enciclica del Santo Padre, la Laborem exercens, che «riabilita» e rilancia la dottrina sociale cattolica contro i tentativi di insabbiarla caratteristici degli anni precedenti (22).
Ma questo periodo vede anche giungere a maturazione la nuova strategia che la Rivoluzione ha deciso di realizzare per fare uscire l’Italia dalla impasse successiva al fallimento del «compromesso storico».
Questa nuova strategia, in Italia, si organizza attorno al Partito Socialista rinnovato con la segreteria dell’on. Craxi. Essa ha anche un progetto ideologico, il «programma socialista» sostanzialmente importato dalla Francia, e vuole indicare a tutto l’occidente la terza via tra capitalismo e socialismo reale.
Nel febbraio del 1982 Cristianità pubblica uno studio del professor Plinio Corrêa de Oliveira che analizza il Project socialista francese e mette in luce l’aspetto profondamente rivoluzionario e totalitario del socialismo autogestionario imposto da Mitterrand (23); e il collegamento con la situazione italiana emerge esplicitamente nel titolo dell’articolo di apertura dello stesso numero di Cristianità: «Studiare e smascherare Mitterrand per opporsi a Craxi e a Berlinguer».
La nuova «mossa» della Rivoluzione in Italia, infatti, è in pieno svolgimento, sostenuta da una «scopertissima» campagna di stampa tesa a presentare il nuovo partito dei quarantenni di Bettino Craxi come la forza capace di costruire l’«alternativa democratica» alla Democrazia Cristiana, «coniugando socialismo e democrazia» senza pericolo per la collocazione occidentale dell’Italia.
In realtà, il progetto rimane sempre quello di portare i comunisti al governo, tranquillizzando la opinione pubblica moderata grazie a un accresciuto peso politico ed elettorale dei socialisti, mentre nella strategia di «compromesso storico» la stessa funzione avrebbe dovuto essere svolta dalla Democrazia Cristiana.
Lo sforzo propagandistico che Alleanza Cattolica promuove contro «la via per trasformare l’Italia in un paese comunista dal volto socialista» (24) incontra una opinione pubblica sfiduciata dalla crisi economica e orientata, sempre di più, verso una sopravvalutazione esasperata e imprudente dei propri interessi e dei propri svaghi. Ma ostacolo ancora maggiore è rappresentato dal timore degli organi di stampa moderati di inimicarsi il nuovo astro nascente della politica italiana.
La Democrazia Cristiana risponde al «programma socialista» nel corso del suo XV congresso, celebrato a Roma dal 2 al 6 maggio 1982, dimostrando ad abundantiam di non volere cogliere la natura sovversiva della operazione in corso, accettandola e inserendo l’«alternativa democratica» nella prospettiva della «democrazia compiuta», e chiedendo soltanto di non essere esclusa dalla sua realizzazione finale (25).
Per una presenza cattolica in un mondo socialista
Di fronte all’astuzia della «mossa» della Rivoluzione – che sembra mettere fuori gioco le ambizioni comunistiche e contemporaneamente sfruttare la «questione morale» e lo scandalo della loggia massonica P2 in funzione esclusivamente antidemocristiana -, Alleanza Cattolica decide di provare a svelare gli inganni per suscitare tutte le reazioni possibili, organizzando un convegno sul tema Italia anni 80. Per una presenza cattolica in un mondo socialista.
Il convegno, posto sino dall’inizio dei lavori sotto la protezione di Maria Regina Salus Populi Romani, mira oltre un semplice effetto propagandistico legato a una polemica di attualità; le relazioni, infatti, cercano di andare alle radici dei problemi e offrono agli ascoltatori un quadro dottrinale e storico – almeno dalla fine della seconda guerra mondiale in poi – del male che affligge la nazione, individuando e commentando le tappe del processo di socialistizzazione in campo politico, giuridico, socio-economico, nel costume e nel mondo della educazione.
Concludendo il convegno, il reggente nazionale di Alleanza Cattolica indica come la terapia del «male» italiano possa consistere solamente nella «diffusione di una cultura politica cattolica che costituisca il presupposto per una rinnovata aggregazione sociale», che «è la condizione e la premessa per una omogenea rappresentanza politica» che permetta così di «porre le basi della restaurazione di una civiltà che sia a misura di uomo e secondo il piano divino» (26).
Con la esplicita speranza che l’Italia, per la mediazione di Maria santissima, rinasca cristiana e non cada sotto il giogo della barbarie socialcomunistica, grazie a tutti coloro che, rispondendo affermativamente alla chiamata divina, non vorranno essere né «deviati né trattenuti dalla propria volontà, [ma] novelli Davide, con in mano il bastone della croce e la fionda del rosario» (27).
Marco Invernizzi