Gabriele Fontana, Cristianità n. 107-108 (1984)
Nel quarto centenario della morte di san Carlo Borromeo, un resoconto degli accadimenti del 1583 da cui, grazie allo zelo del santo presule della diocesi milanese, è nato il santuario della Madonna dei Miracoli. All’ombra dell’Addolorata il collegio degli Oblati Missionari di Rho, fondato nel Settecento dal venerabile padre Martinelli per preparare predicatori di esercizi spirituali per il clero e di missioni al popolo.
A quattrocento anni da un prodigioso avvenimento
La Madonna Addolorata di Rho
Il borgo di Rho
Rho, ora popolatissimo centro industriale della cintura milanese, ha fatto parte, fino al secolo scorso, del novero di borghi rurali facenti corona alla metropoli ambrosiana.
La prima testimonianza scritta su una contrada del Milanese con questo nome – Rhaudum, Rhodum o anche Rotum – risale al secolo IX, ma la sua esistenza è assai precedente. Intorno all’anno mille la importanza del luogo si era accresciuta, tanto che nel 1004 Enrico II, il santo imperatore, concede a essa il titolo di borgo e il privilegio di tenere il lunedì mattina quel mercato che si svolge regolarmente ancora oggi.
Da allora, pure non conoscendo la fama, Rho ha una sua storia non priva di lustro. Il Fiamma, storico del secolo XIV, attribuisce al cavaliere Giovanni da Rho il primato di avere strappato la mezzaluna dalle mura di Gerusalemme, durante la prima crociata, per piantarvi, primo fra tutti i cristiani, lo stendardo con la croce.
Rho dà poi alla vicina Milano un arcivescovo, Anselmo, quattro consoli e ancora alla Chiesa romana un cardinale, Pietro, all’epoca di Alessandro III. Distrutta una prima volta dall’esercito di Federico Barbarossa e una seconda da truppe svizzere nel 1511, essa tornerà a fare parlare di sé solo con l’evento miracoloso del 1583 (1).
San Carlo Borromeo e la Chiesa milanese
Durante gli ultimi decenni del ‘500, epoca in cui si situano i fatti oggetto del nostro interesse, domina senza contrasti la figura di San Carlo Borromeo, il più grande dei successori di Sant’Ambrogio. Il Pontefice Paolo VI ebbe a definirlo «genio pratico della riforma ecclesiastica post tridentina» (2) e l’impronta che egli ha lasciato è ancora ben visibile nella più grande diocesi del mondo cattolico.
Nato nel 1538 ad Arona dalla nobile famiglia dei Borromeo e avviato sin dalla più giovane età alla carriera ecclesiastica, che abbraccia con convinzione e fervore sin dall’inizio, Carlo ha la fortuna di vedere eletto al soglio pontificio lo zio materno Gianangelo de’ Medici, con il nome di Pio IV. Così, a soli ventidue anni, egli è rivestito della porpora cardinalizia e diventa strettissimo collaboratore del Papa che chiuderà il Concilio di Trento.
Viene nominato arcivescovo di Milano nel 1563 ma non potrà, con suo gran dispiacere, occupare subito il posto, trattenuto a Roma per obbedienza allo zio. Tra le cause della crisi in cui versava allora la Chiesa milanese vi era, infatti, anche il cattivo costume degli arcivescovi di non risiedere nella diocesi. Significativamente le autorità cittadine, in un esposto di qualche tempo prima a Filippo II, si lamentavano che da ciò derivasse «[…] la licenza di vivere senza timore nelle cose pertinenti alla religione et debita riverenza all’onnipotente Iddio causa che molti ogni hora si fanno peggiori et deviano dalla vera strada cattolica» (3).
L’energica azione del cardinale Borromeo per trasfondere nella Chiesa ambrosiana lo spirito del Concilio tridentino e difenderla dalla eresia che voleva infiltrarsi in essa, non si fa attendere e ha nella convocazione di numerosi concili provinciali e sinodi diocesani, come pure nelle continue ed estenuanti visite pastorali, gli strumenti privilegiati. Egli non trascura però alcun aspetto della vita religiosa e civile del popolo cristiano sottoposto alla sua autorità.
Conscio delle carenze di istruzione e di formazione del clero, si preoccupa immediatamente della istituzione dei seminari e poi della università di Brera. Dà quindi vita agli oblati, società di vita comune formata da sacerdoti diocesani a totale disposizione dell’arcivescovo.
È sua cura dare anche lustro e dignità alla liturgia, dettando, tra l’altro, buone istruzioni di architettura e musica sacra. Tale è, a questo proposito, l’impronta che conferisce alla città, con la sua opera di restauro e di costruzione di edifici sacri, con il suo amore per le pubbliche manifestazioni di culto e di devozione, che per la Milano della sua epoca si è parlato di «città rituale» (4).
A favore dei laici crea e rianima ogni sorta di istituzione per rendere degna la loro vita materiale e morale, quale che fosse la loro condizione: anche le confraternite, gli ospedali, gli orfanotrofi, le scuole milanesi divengono, grazie a lui, esemplari. Né la sua carità generosa viene meno nei momenti drammatici della pestilenza, quando l’eroismo del cardinale nel lenire le piaghe e gli animi è di sostegno per l’intera cittadinanza.
La straordinaria operosità di san Carlo non poteva che trovare sostegno in una vita di fede altrettanto intensa, scandita da una mortificazione continua e imperniata sulla devozione all’Eucarestia, al Crocifisso e, non ultima, alla Vergine Maria. Devozione, quella mariana, che vuole feconda e operante tra il popolo, come dimostrerà anche in occasione dei fatti prodigiosi di Rho e di altri ancora (5).
«In verità la devozione alla Madonna aveva salvaguardato da ribellioni, eresie, scismi e da ogni genere di mali».
«San Carlo, senza esplicitamente dirlo, certamente pensava ai molti santuari mariani che avevano costituito una barriera contro l’invasione delle idee luterane nel territorio lombardo».
«Maria Santissima è salvaguardia della fede cristiana, perché Ella attira a sé per portare a Gesù Cristo» (6).
Il miracolo
In quell’epoca, poco fuori il borgo di Rho, si trovava un oratorio di aspetto alquanto modesto, come modesto per qualità artistiche era l’affresco rappresentante la Vergine dolente con il Cristo morto tra le braccia che lo ornava. L’oratorio, dedicato alla Madonna della Neve, ma detto comunemente il «gesiolo» (7) era meta frequente del popolo che praticava la devozione alla immagine in esso custodita, ritenuta dispensatrice di particolari grazie.
La erezione dell’edificio aveva avuto origine proprio da un evento prodigioso: un patrizio della vicina Gallarate, giunto in quel luogo una notte del 1522, è costretto dalle bizze del suo cavallo, improvvise e inspiegabili, a cambiare percorso. Sfugge così a un agguato omicida e in ringraziamento fece costruire la cappella. Poi si trova menzione di altri eventi miracolosi: «[…] per le guerre sendo ruvinata detta cappella solo rimase in piedi quella poca parte ove era pinta l’immagine della Vergine Santa. La quale immagine sendo anch’ella di modo aperta, che le si potevano ascondere entro le mani, un sabbato d’Aprile de l’anno 1546 fu visitata da certe vidue, et fu veduta da loro piangere, et venindo in piazza dette donne, ove pubblicamente si ballava, riferirono il fatto et andando tutti a vedere trovarono la verità, et trovarono insieme che era di modo serrata et conglutinata insieme quell’apertura, che non si sarebbe giudicato che mai fosse stata aperta» (8). Inoltre sono ricordate numerose guarigioni da storpiature e da malattie (9).
Domenica 24 aprile 1583, giorno della festa di san Giorgio, un popolano di nome Girolamo de Ferris si reca con altri a pregare presso il «gesiolo». «Mentre io recitavo i cinque Pater noster e le cinque Ave Maria, contemplavo la figura della Madonna che sta al di là del cancello. Mi sembrava che fosse scolorita. Pensavo tra me e me: “Come è bianca la faccia della Madonna, a confronto delle altre pitture. Sarà stato il pittore che l’ha raffigurata così, quando l’ha rinfrescata, un anno e mezzo fa?”» (10). Tralasciando questi pensieri torna verso l’abitato, ma, incontrato l’amico Alessandro de Ghioldis detto il Marchettino, viene convinto da questi a fargli compagnia nelle sue orazioni e insieme tornano alla Madonna della Neve.
«Alessandro, senza che io gli avessi chiesto niente, mi disse: “Gerolamo, guarda un po’ là, l’occhio della Madonna: che brutta cosa c’è”.
«Io guardai e gli risposi: “Non era così quando noi abbiamo cantato il Vespro un paio d’ore fa!”.
«Aggiunse: “Non era così neppure un momento fa, quando io sono stato qui a prendere la perdonanza”.
«[…] Guarda se per caso è un qualche sporco di rondine”.
«Io gli risposi che non potevo capire che cosa fosse.
«“Prova un attimo ad asciugarla”, mi disse […] Egli allora guardando per terra, trovò un piccolo straccio, un brutto fazzoletto, proprio lì vicino alla predella.
«Me lo diede. Ed io con quel fazzoletto asciugai dall’occhio quella cosa che era rossa. Sul fazzoletto rimasero tre macchie, dal momento che io ripulii per tre volte. Sono rimaste proprio su quel fazzoletto nel giro di poco tempo. Non sembrava che l’occhio fosse poi così rosso; mentre io però asciugavo, restò il segno dell’occhio rosso, e due lacrime che scendevano giù dall’occhio lungo la faccia, fino alla bocca; un’altra lacrima restò sul sottogola» (11).
La notizia si sparge in un attimo e quando il prevosto Tiziano Spandrio, di lì a poco, giunge con il notaio apostolico e un altro prete del luogo, trova la immagine assediata dalla gente. Il sacerdote in sua compagnia vuole constatare personalmente e ha il dito bagnato dalle lacrime.
Diligentemente verificata l’assenza di imbrogli vogliono avvertire al più presto l’arcivescovo. San Carlo non perde tempo: invia sul luogo il giurista Carlo Bascapè e il teologo Roberto Griffidio, che in breve istruiscono il processo, interrogando con cura meticolosa i testimoni. Contemporaneamente, a Milano, forma una commissione con i migliori prelati di curia, allo scopo di vagliare gli atti processuali ed esprimere un parere sull’argomento (12).
Gli atti non raccolgono solo le testimonianze sull’evento della lacrimazione; i giudici vogliono accertare con tutto lo scrupolo possibile il complesso dei fatti prodigiosi che lo hanno preceduto e, soprattutto, che lo hanno seguito. In quegli stessi giorni, infatti, si verificano incessantemente, tra i fedeli giunti da tutto il circondario, guarigioni corporali e spirituali non spiegabili per via ordinaria (13).
L’intento era quello di constatare e di giudicare nel complesso un intervento straordinario della grazia, non circoscrivendolo al solo evento più clamoroso. Dagli atti si può osservare, quindi, come la virtù della fede non fosse disgiunta dalla virtù della prudenza. Se ne comprendono i motivi riandando a quella epoca in cui «[…] i protestanti mettevano in dubbio ogni cosa e specialmente i miracoli; né più, né meno dei libertini dei giorni nostri, i quali credono che con un sogghigno si possa rendere non vero un fatto constatato, specialmente quando ha del prodigioso. D’altra parte sapeva San Carlo che quelle cure e diligenze ch’Egli usava in questo fatto dovevano servire a togliere anche nei secoli futuri e forse principalmente nel nostro (così schifiltoso anche quando pure ammette il soprannaturale), ogni ragionevole dubbio sulla sua veracità» (14).
La erezione del santuario
Il 4 giugno 1583 san Carlo Borromeo si reca, per la prima volta dopo gli eventi descritti, a visitare la immagine della Vergine Addolorata di Rho. Nel frattempo egli aveva già esaminato le relazioni processuali e sentita la commissione preposta: può, quindi, annunciare alla folla accorsa l’autenticazione del miracolo. Concepita l’idea di erigere un grandioso santuario in onore della Madonna, ne affida il progetto al suo architetto di fiducia, Pellegrino Tibaldi, il quale deve faticare non poco per contentare l’arcivescovo: pare che solo il terzo dei disegni presentati venisse giudicato adeguato al bisogno.
Durante una seconda visita, nell’ottobre dello stesso anno, viene promulgato da parte di san Carlo il decreto di erezione del santuario, ed egli stesso vuole, il 6 marzo dell’anno successivo, porre la prima pietra dell’erigenda fabbrica. La costruzione, realmente imponente, finanziata dalle offerte del popolo fedele, si potrà dire conclusa solo due secoli dopo con il completamento della facciata, secondo un disegno diverso da quello previsto in origine (15).
Lo splendore dell’opera e la sua grandiosità si poterono dunque ammirare nella loro completezza solo molto tempo dopo. Ciò che invece si manifesta fin da subito è la fiducia dei fedeli in Maria auxilium christianorum, il cui intervento costella provvidenzialmente la storia per rinsaldare il cammino della umanità e per rincuorarla. Specie per chi abbia constatato quanti passi, dopo quei primi della rivolta protestantica, abbia fatto la Rivoluzione per distruggere la Chiesa e la cristianità, quei tempi appaiono particolarmente significativi per l’intervento della Madre celeste a difesa dei figli minacciati: «[…] ecco manifestarsi la potenza di Maria Santissima invocata sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani. Essa fa riportare alle armi cattoliche due vittorie sui Turchi, l’una in mare a Lepanto, l’altra sotto le mura di Vienna, vittorie così strepitose che non bastarono ai vinti quattrocenti anni per riparare le perdite.
«Qui tra noi dove non bisognavano armi per ribattere gli errori dei protestanti, sprezzatori di Maria Santissima, dei Santi, del Sommo Pontificato, e più o meno dei Sacramenti, Maria Santissima viene in aiuto della Fede Cattolica mostrando la sua potenza con una serie infinita di apparizioni, di grazie, di fatti prodigiosi. A Tirano di Valtellina risuscita un morto, e vi si erge un Santuario che confonde e trattiene gli eretici della vicina Poschiavo. A Locarno appare ad un santo religioso su di un masso, e quel luogo diviene un centro delle sue misericordie. A Treviglio le lagrime sgorgate da una sua Immagine salvano la città dalle armi dei Francesi, essi pure appestati di calvinismo. A Corbetta, a San Marcellino di Brianza, a Caravaggio, a Re di Val Vigezzo, e pochi anni dopo a Lèzzeno ed a Nobiallo Comasco fatti prodigiosi operati da Maria diedero origine ad altri Santuari che insieme al nostro di Rho, formarono quasi una schiera di fortezze spirituali che difesero la Lombardia dal soffio micidiale della dottrina eretica e la raffermarono nella Fede Cattolica. Il miracolo di Rho considerato così, fa parte della grande opera di Maria Santissima nel conservare tra noi pura quella fede che ci lasciarono i Santi Apostoli, suggellarono i Martiri col loro sangue e confermarono le fatiche di una lunga schiera di santi Arcivescovi che veneriamo quali padri e protettori […]» (16).
Il venerabile padre Martinelli e i missionari di Rho
Fin dall’inizio il santuario viene affidato alle cure degli oblati diocesani ed essi hanno cura della costruzione del tempio e delle anime che vi si recavano a venerare la immagine miracolosa.
Nel 1715 giunge a Rho padre Giorgio Maria Martinelli cui era stata affidata la responsabilità della fabbrica e della comunità officiante. L’oblato aveva già avuto modo di manifestare le sue doti pratiche, oltre che quelle di predicatore e di insegnante: la santità di vita ne faceva, poi, uno dei più stimati tra i suoi confratelli. Uomo di grande preghiera, lo possiamo annoverare tra i primi artefici della diffusione della devozione al Sacro Cuore nella nostra nazione.
Per padre Martinelli la venuta a Rho significa potere dare corso al grande progetto della sua vita: organizzare una comunità religiosa di oblati completamente dediti alla predicazione di esercizi spirituali per il clero e di missioni popolari nella grande diocesi. Dopo alcuni anni di fatiche, nel 1721 fondava il collegio degli Oblati Missionari di Rho. Da allora questa opera continua ininterrottamente all’ombra dell’Addolorata e solo la odiosità delle soppressioni giacobine e napoleoniche tentò di chiudere il tempio e il collegio: la generosità di due nobildonne milanesi, che per due volte riscattano i beni confiscati, fa però scemare la efficacia della persecuzione (17).
Nel 1977 padre Martinelli è stato proclamato venerabile (18).
Significato attuale della devozione all’Addolorata
Perché Dio ha voluto offrirci tramite Maria questi prodigi? Lasciamo rispondere san Carlo Borromeo con le stesse parole che usò il 5 giugno 1583 di fronte alla Vergine Addolorata e al popolo di Rho. «Con questi segni straordinari Dio vuole mostrarvi quanto è fragile la vostra fede: sembra infatti che egli debba ancora nutrirvi con quel cibo con il quale di solito si nutrono i cristiani appena nati; sembra inoltre che voglia infiammare la vostra carità che invece va spegnendosi. È abbastanza evidente – stando a quello che dicono – che recentemente, come voi stessi ben sapete, Dio ha operato meraviglie in mezzo a voi. Questi segni straordinari, carissimi figli, vi interpellano a gran voce e vi rimproverano, affermando: “Fino a quando dovrò io sopportare cristiani così ingrati? Per quanto tempo vivrete in un modo così poco cristiano? Quando vi ravvederete? Quando incomincerete a far penitenza? Quando voi ritornerete a una vita oneste e virtuosa? Quando risponderete, almeno in parte, all’amore che io nutro per voi? Infatti per voi io ho sopportato molti dolori: per voi io ho molto sofferto; io vi ho procurato innumerevoli benefici, io vi tollero con tanta pazienza e, per la vostra utilità, non smetto neppure ora di compiere tra voi segni meravigliosi per incitarvi ad una pietà più soda, per infiammarvi ad una venerazione maggiormente sentita verso tutti i santi, ed in particolar modo verso la mia Santissima Madre”» (19).
Alla nostra venerazione si offre qui la Vergine dolente che sorregge Cristo, morto, reduce dalla croce. Come non vedere nel suo corpo martoriato il corpo mistico, la santa Chiesa oltraggiata dai nemici esterni, dalla Rivoluzione che a volte giunge a penetrare in essa per praticarne l’«autodemolizione»?
Come non vedere nel suo corpo martoriato il vilipendio della sua regalità, quella regalità che è anche sociale, misconosciuta e avversata? Quelle braccia che sorreggendo il corpo di Cristo sorreggono anche la nostra speranza, poiché «[…] per le preghiere di Maria questo popolo infatti ottiene moltissime grazie e si salva da tanti pericoli» (20).
Gabriele Fontana
Note:
(1) Cfr. Storia del Santuario della Madonna dei Miracoli (presso il Borgo di Rho) con aggiunta di una visita descrittiva al Santuario e di alcuni cenni intorno al Collegio degli Oblati Missionari, Bertarelli, Milano 1900, pp. 10 ss.; e PIERO AIRAGHI, Il Santuario della Madonna Addolorata di Rho. Guida storica ed artistica, Cantù 1972, pp. 9-10.
(2) PAOLO VI, Lettera al cardinale Giovanni Colombo, del 1963, cit. in MONS. ANGELO MAJO, Storia della Chiesa Ambrosiana, 2ª ed., Nuove Edizioni Duomo, Milano 1983, vol. II, p. 177.
(3) Cit. in FEDERICO CHABOD, Lo Stato e la vita religiosa a Milano nell’epoca di Carlo V, Einaudi, Torino 1971, p. 232.
(4) Cfr. AA. VV., La città rituale, Franco Angeli, Milano 1982.
(5) La bibliografia su san Carlo è molto vasta. Cfr., per una sintesi, MONS. ANGELO MAJO, op. cit., vol. II, capp. XIV, XV, XVI; e ANDREA DEROO, San Carlo Borromeo. Il Cardinale Riformatore, Àncora, Milano 1965.
(6) CARD. CARLO MARIA MARTINI, Presentazione a CARLO MARCORA e LUIGI GIANI (a cura di), La Madonna Addolorata di Rho. Indagine sui fatti prodigiosi all’origine del Santuario, Nuove Edizioni Duomo, Milano 1983, p. 6.
(7) Così in volgare negli atti del processo sul miracolo, ma in vernacolo esattamente è gesiœu, «chiesetta»: cfr. CLETTO ARRIGHI, Dizionario milanese-italiano, 2ª ed., Hoepli, Milano 1896, p. 277.
(8) C. MARCORA e L. GIANI (a cura di), op. cit., p. 16.
(9) Cfr. ibid., pp. 15-16.
(10) Ibid., p. 77.
(11) Ibid., pp. 79-81.
(12) Ibid., pp. 9 ss.
(13) Ibid., pp. 57 ss.
(14) Storia del Santuario della Madonna dei Miracoli (presso il Borgo di Rho) con aggiunta di una visita descrittiva al Santuario e di alcuni cenni intorno al Collegio degli Oblati Missionari, cit., pp. 27-28.
(15) Cfr. C. MARCORA e L. GIANI (a cura di), op. cit., pp. 19 ss.; P. AIRAGHI, Il Santuario della Madonna Addolorata di Rho. Guida storica ed artistica, cit., pp. 23 ss.; e Storia del Santuario della Madonna dei Miracoli (presso il Borgo di Rho) con aggiunta di una visita descrittiva al Santuario e di alcuni cenni intorno al Collegio degli Oblati Missionari, cit., pp. 30 ss.
(16) Storia del Santuario della Madonna dei Miracoli (presso il Borgo di Rho) con aggiunta di una visita descrittiva al Santuario e di alcuni cenni al Collegio degli Oblati Missionari, cit., pp. 23-24; cfr. anche MARIA LUISA SALA, Santuari della Madonna nella diocesi di Milano, Nuove Edizioni Duomo, Milano 1981.
(17) Storia del Santuario della Madonna dei Miracoli (presso il Borgo di Rho) con aggiunta di una visita descrittiva al Santuario e di alcuni cenni al Collegio degli Oblati Missionari, cit., pp. 110 ss.
(18) Cfr. Il Venerabile P. Giorgio Maria Martinelli e gli Oblati Missionari di Rho, senza indicazione di luogo e di data; e GIAN FRANCO BARBIERI, Un prete del Settecento lombardo. Padre Martinelli, fondatore degli Oblati di Rho, Nuove Edizioni Duomo, Milano 1982.
(19) Cit. in C. MARCORA e L. GIANI (a cura di), op. cit., pp. 309-310.
(20) Ibid., p. 310.