Giovanni Cantoni, Cristianità n. 107-108 (1984)
Dopo il XVI congresso: Democrazia Cristiana e processo di trasformazione socialistica
I congressi della Democrazia Cristiana, nonché altre manifestazioni di questo partito, meritano di essere commentati almeno a tre titoli: in primo luogo, perché si tratta a tutt’oggi del partito di maggioranza relativa in un regime di democrazia rappresentativa, e quindi costituisce, almeno in tesi, la «famiglia ideologica regnante»; in secondo luogo perché, accanto a una rilevante influenza sul governo dello Stato, la Democrazia Cristiana esercita una sorta di egemonia sul mondo cattolico, di fatto – anche se non, evidentemente, di principio – tendenzialmente monopolizzandone la rappresentanza politica; in terzo luogo, infine, perché – in completa assenza di riferimento dottrinali precisi – i suoi orientamenti congressuali tengono anche ufficialmente luogo di dottrina, sì che – in analogia con la nota «conciliare» della ecclesiologia della Chiesa cosiddetta ortodossa – si può considerare una forza politica «congressuale» (6).
Ebbene, chiusa l’assise che ha visto raccolto all’Eur il XVI congresso nazionale della Democrazia Cristiana dal 24 al 28 febbraio 1984, e dopo avere esaminato gli interventi e gli esiti immediati (7), pure ritenendo di potere soprassedere da un lungo commento, mi pare indispensabile svolgere qualche considerazione in proposito.
1. Quanto alla portata e al significato della presenza della Democrazia Cristiana nella vita politica nazionale e alla sua proposta politica, credo di potere affermare che si è assistito a un replay, in minore e senza particolare smalto, di quanto emerso nel corso del XV congresso: la classe dirigente democristiana chiede di essere resa partecipe, il più possibile, del «processo di trasformazione» in corso, ricordando i propri meriti ne «la costruzione di una democrazia compiuta», anche contro il suo «retroterra tradizionale» e definendo «una scelta strategica» la collaborazione con il pentapartito a guida socialistica, contro la quale aveva tentato invano di sollevarsi in occasione della precedente assise. In sostanza l’interesse pare chiaramente più orientato alla misura e alla modalità della partecipazione al «processo di trasformazione» che non al suo orientamento, con il quale tacitamente ci si allinea, mentre l’attenzione passa dalla presidenza del consiglio dei ministri a quella della Repubblica.
In questa chiave, il congresso induce a una lettura ad intra delle sue principali vicende, sì che il «decisionismo» attribuito all’on. De Mita e il «solidarismo» propugnato dall’on. Scotti sono infinitamente più chiari se riferiti al partito democristiano piuttosto che alla nazione e ai problemi del suo governo, cioè se considerati come sondaggio della rilevanza partitica di chi accetta una guida unitaria nella collaborazione alla «trasformazione» e di chi preferisce procedimenti collegiali. In altri e più espliciti termini: chi tratta con i leader designati alla guida del passaggio dal pentapartito alla alternanza e, quindi, alla alternativa? Il segretario del partito oppure il consiglio dei capicorrente?
2. Quanto al rapporto con il mondo cattolico, sono state reiterate le dichiarazioni di «ispirazione cristiana», con sottolineature di maggiore attenzione per don Sturzo che non per quanti gli sono succeduti, in sintonia con la più recente lettura del problema politico dei cattolici italiani svolta da padre Bartolomeo Sorge, nella prospettiva di una definitiva fuoriuscita della Democrazia Cristiana dal riferimento condizionante alla gerarchia ecclesiastica che ha caratterizzato gli anni dal 1946 al 1958, cioè il periodo della sua convivenza con il pontificato di Pio XII (8).
3. Di conseguenza, quanto alla dottrina, la Democrazia Cristiana, con buona pace di quanti – pure da sponde diverse da quelle di padre Sorge – la sogna diversamente, rimane «un partito democratico, popolare, nazionale, di ispirazione cristiana», quindi, sostanzialmente, un partito «congressuale», cioè determinato da chi lo guida, senza possibilità di verifica e di riscontro ideale di sorta, dal momento che è difficile trovare termini più generici di quelli contenuti nella definizione fatta propria dal segretario politico confermato, on. Ciriaco De Mita (9), e dal momento che, come ho già ricordato, lo statuto del partito non illumina assolutamente.
4. Quanto al congresso come espressione della personalità e della umanità dei suoi protagonisti, tutti hanno visto e sentito, durante e dopo il suo svolgimento, quanto può decisamente bastare per un giudizio su contorsionismi verbali, ideologici e torrentizi che, agli occhi dell’uomo della strada, sembrano difficilmente superabili.
E allora? E allora la verità di fatto rimane questa: «la vita politica nazionale è più che mai condizionata dalle relazioni internazionali». Ergo, poiché uno dei maggiori poli della vita politica internazionale è, di fatto, in regime di sede vacante dalla morte di Breznev e per un altro è incominciata la corsa alla presidenza, la vita politica internazionale, nelle sue linee di maggiore rilievo – come è certamente l’assetto dell’Europa – langue, mentre continuano le mosse esclusivamente o quasi esclusivamente nelle aree in cui la diplomazia è sfociata in guerra. A questo profilo basso fa pendant il profilo bassissimo della vita politica nazionale, che, quindi, si permette episodi come quello costituito dal recente congresso democristiano, teso a inseguire la dirigenza socialistica – che pare più informata sui programmi internazionali – in una dislocazione il più possibile lontana dalla meta, affinché non accada all’on. Craxi di dovere consegnare il potere ai comunisti prima di averlo in pugno saldamente, arrivando alla meta in pericoloso anticipo.
Stando così le cose, espongo due notazioni conclusive. Anzitutto ricordo come, mentre si attende la ripresa della «trasformazione» a livello internazionale, per chi volesse e potesse vi sarebbe spazio per costruire almeno la infrastruttura di una qualificata resistenza politico-culturale. In secondo luogo, credo sia concessa la enunciazione di un quesito: nel corso della sua relazione l’on. De Mita ha parlato della necessità di «operare per la seconda ricostruzione». Non mi è difficile identificare la prima, quella che ha fatto seguito alla seconda guerra mondiale, e quindi identificare nell’esito di questo conflitto la prima distruzione. Ma questa auspicata «seconda ricostruzione» a quale seconda distruzione farebbe seguito, e da chi operata?
Giovanni Cantoni
Note:
(6) Cfr. Democrazia Cristiana. Statuto del Partito. Testo approvato dal Consiglio nazionale nelle sessioni del 22, 23 Gennaio, 12 Febbraio, 9 Marzo, 14 Marzo, 2 Aprile 1982 e 12, 13 Febbraio 1983, Roma 1984, artt. 3.e 71.
(7) Cfr. soprattutto CIRIACO DE MITA, Dalla D.C. proposta globale per nuovi spazi di democrazia, relazione introduttiva ai lavori del XVI congresso della Democrazia Cristiana, del 24-2-1984, in Il Popolo, 25-2-1984. Tutte le citazioni senza diversa indicazione sono tratte da questo documento.
(8) Cfr. PADRE BARTOLOMEO SORGE S.J., Per una rinnovata presenza di cattolici in politica, in La Civiltà Cattolica, anno 135, n. 3208, 18-2-1984, pp. 331-346.
(9) La definizione è praticamente trascritta dal Manifesto per l’impegno politico dei democratici cristiani, approvato dal consiglio nazionale del 16-18 dicembre 1981, secondo cui la Democrazia Cristiana è un «Partito nazionale, democratico, popolare, aconfessionale di ispirazione cristiana» (Atti del XV Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana, Roma 2-5-maggio 1982, a cura di Carlo Danè e dell’Ufficio Documentazione Spes della Direzione Centrale DC, Spes DC, Roma 1984, p. 923).