Datata 8 aprile 1988, è comparsa con questo titolo in L’Osservatore Romano del 9 aprile.
Lettera di Giovanni Paolo II al Cardinale Joseph Ratzinger
Al Venerato Fratello Joseph Cardinale Ratzinger
Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede
In questo periodo liturgico, in cui abbiamo rivissuto, nelle celebrazioni della Settimana santa, gli eventi pasquali, acquistano per noi una peculiare attualità le parole con le quali Cristo Signore ha dato agli Apostoli la promessa della venuta dello Spirito Santo: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità… che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho dato» (Gv 14, 16-17. 26).
La Chiesa in tutti i tempi è stata guidata dalla fede in queste parole del suo Maestro e Signore, nella certezza che grazie all’aiuto e all’assistenza dello Spirito Santo rimarrà per sempre nella Verità divina conservando la successione apostolica mediante il Collegio dei Vescovi unito con il suo Capo Successore di San Pietro.
La Chiesa ha manifestato tale convinzione di fede anche nell’ultimo Concilio, che si è riunito per riconfermare e rafforzare la dottrina della Chiesa ereditata dalla Tradizione esistente già da quasi venti secoli, come realtà vivente che progredisce, in rapporto ai problemi e ai bisogni di ogni tempo, facendo più profonda la comprensione di quanto già contenuto nella fede trasmessa una volta per sempre (Gd 3). Nutriamo la profonda convinzione che lo Spirito di verità che dice alla Chiesa (cfr. Ap 2, 7. 11. 17 e altri) ha parlato, in modo particolarmente solenne ed autorevole mediante il Concilio Vaticano II, preparando la Chiesa ad entrare nel terzo millennio dopo Cristo. Dato che l’opera del Concilio nel suo insieme costituisce una riconferma della stessa verità vissuta dalla Chiesa sin dall’inizio, essa è, nello stesso tempo, «rinnovamento» della stessa verità (un «aggiornamento» secondo la nota espressione di Papa Giovanni XXIII), per avvicinare sia il modo di insegnare la fede e la morale, sia anche l’intera attività apostolica e pastorale della Chiesa, alla grande famiglia umana nel mondo contemporaneo. Ed è noto quanto questo «mondo» sia diversificato e perfino diviso.
Mediante il servizio dottrinale e pastorale dell’intero Collegio dei Vescovi in unione con il Papa, la Chiesa assume i compiti riguardanti l’attuazione di tutto ciò che è diventato eredità specifica del Vaticano II. Questa sollecitudine collegiale trova la sua espressione, tra l’altro, nelle riunioni del Sinodo dei Vescovi. Un particolare ricordo merita in questo contesto l’Assemblea straordinaria del Sinodo del 1985, svolta in occasione del 20.mo anniversario della conclusione del Concilio, la quale ha messo in rilievo i compiti più importanti collegati con l’attuazione del Vaticano II, constatando che l’insegnamento di tale Concilio rimane la via sulla quale la Chiesa deve camminare per l’avvenire affidando i suoi sforzi allo Spirito di verità. In riferimento poi a tali sforzi assumono particolare rilevanza i doveri della Santa Sede in favore della Chiesa universale, sia mediante il ministerium petrinum del Vescovo di Roma, come anche mediante gli organismi della Curia romana, dei quali Egli si avvale per l’attuazione del Suo ministero universale. Tra questi la Congregazione per la Dottrina della Fede guidata da Lei, Signor Cardinale. ha una importanza particolarmente rilevante.
Nel periodo post-conciliare siamo testimoni di un grande lavoro della Chiesa per far sì che questo novum costituito dal Vaticano II penetri in modo giusto nella coscienza e nella vita delle singole comunità del Popolo di Dio. Tuttavia, accanto a questo sforzo si sono fatte vive delle tendenze, che sulla via della realizzazione del Concilio creano una certa difficoltà. Una di queste tendenze è caratterizzata dal desiderio di cambiamenti che non sempre sono in sintonia con l’insegnamento e con lo spirito del Vaticano II, anche se cercano di fare riferimento al Concilio. Questi cambiamenti vorrebbero esprimere un progresso, e perciò questa tendenza è designata con il nome di «progressismo». Il progresso, in questo caso, è una aspirazione verso il futuro, che rompe con il passato, non tenendo conto della funzione della Tradizione che è fondamentale alla missione della Chiesa, perché essa possa perdurare nella Verità ad essa trasmessa da Cristo Signore e dagli Apostoli, e custodita con diligenza dal Magistero.
La tendenza opposta, che di solito viene definita come «conservatorismo» oppure «integrismo», si ferma al passato stesso, senza tener conto della giusta aspirazione verso il futuro quale si è manifestata proprio nell’opera del Vaticano II. Mentre la prima tendenza sembra riconoscere come giusto ciò che è nuovo, l’altra invece vede il giusto soltanto in ciò che è «antico» ritenendolo sinonimo della Tradizione. Tuttavia non è l’«antico» in quanto tale, né il «nuovo» per se stesso che corrispondono al concetto giusto della Tradizione nella vita della Chiesa. Tale concetto infatti significa la fedele permanenza della Chiesa nella verità ricevuta da Dio, attraverso le mutevoli vicende della Storia. La Chiesa, come quel padrone di casa del Vangelo, estrae con sagacia «dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (cfr. Mt 13, 52) rimanendo assolutamente obbediente allo Spirito di verità che Cristo ha dato alla Chiesa come Guida divina. E la Chiesa compie questa delicata opera di discernimento attraverso il Magistero autentico (cfr. Lumen Gentium, 25).
La posizione, che assumono le persone, i gruppi o gli ambienti collegati con l’una o l’altra tendenza, può essere comprensibile in una certa misura, particolarmente dopo un avvenimento così importante quale è stato nella storia della Chiesa l’ultimo Concilio. Se da una parte esso ha sprigionato una aspirazione al rinnovamento (e in questo è contenuto anche un elemento di «novità»), dall’altra, alcuni abusi sulla via di quest’aspirazione, in quanto dimenticano gli essenziali valori della dottrina cattolica sulla fede e sulla morale e in altri campi della vita ecclesiale, per esempio in quello liturgico, possono e perfino devono suscitare una giusta obiezione. Tuttavia se a causa di tali eccessi si rifiuta ogni sano «rinnovamento» conforme all’insegnamento e allo spirito del Concilio, allora un tale atteggiamento può portare ad un’altra deviazione che è anch’essa in contrasto con il principio della viva Tradizione della Chiesa obbediente allo Spirito di verità.
I doveri che, in questa situazione concreta, si pongono alla Sede Apostolica richiedono una particolare perspicacia, prudenza e lungimiranza. La necessità di distinguere ciò che autenticamente «edifica» la Chiesa, da ciò che la distrugge, diventa in questo periodo un particolare bisogno del nostro servizio nei riguardi dell’intera comunità dei credenti.
La Congregazione per la Dottrina della Fede ha nell’ambito di questo ministero un’importanza chiave, come stanno a dimostrarlo i documenti che in questa materia di fede e di morale ha pubblicato il vostro Dicastero negli ultimi anni. Fra i temi di cui ha dovuto occuparsi la Congregazione per la Dottrina della Fede negli ultimi tempi figurano anche i problemi collegati alla «Fraternité di Pio X», fondata e guidata dall’Arcivescovo M. Lefebvre.
Vostra Eminenza sa benissimo quanti sforzi abbia compiuto la Sede Apostolica sin dall’inizio dell’esistenza della «Fraternité», per assicurare l’unità ecclesiale in relazione all’attività di questa. L’ultimo di tali sforzi è stata la visita canonica fatta dal Cardinale E. Gagnon. Ella, Signor Cardinale, si occupa di questo caso in modo particolare, così come se ne è occupato il suo Predecessore di venerata memoria il Cardinale Fr. Seper. Tutto ciò che fa la Sede Apostolica, che è in continuo contatto con i Vescovi e le Conferenze Episcopali interessate, mira allo stesso scopo: che si compiano anche in questo caso le parole dette dal Signore nella preghiera sacerdotale per l’unità di tutti i suoi discepoli e seguaci. Tutti i Vescovi della Chiesa cattolica, in quanto per mandato divino solleciti dell’unità della Chiesa universale, sono tenuti a collaborare con la Sede Apostolica al bene di tutto il Corpo mistico che è pure il Corpo delle Chiese (cfr. Lumen Gentium, 23).
Per tutto ciò, vorrei confermarLe, Signor Cardinale, la mia volontà affinché tali sforzi proseguano: non cessiamo di sperare che — sotto la protezione della Madre della Chiesa — portino il loro frutto per la gloria di Dio e la salvezza degli uomini.
Dal Vaticano, l’8 Aprile dell’anno 1988, decimo di Pontificato.
In caritate fraterna
Ioannes Paulus PP. II