Giovanni Cantoni, Cristianità n. 112-113 (1984)
Il «sorpasso» millantato e il nuovo «miracolo italiano»
Giovedì 7 giugno 19841 mentre concludeva un discorso elettorale in quel di Padova, il segretario generale del Partito Comunista Italiano, on. Enrico Berlinguer, veniva colto da malore. Da quel momento e fino al decesso – occorso lunedì 11 giugno – e oltre, tutto quanto si poteva è stato fatto, da parte di entità rappresentative e di personalità significative, per tessere le lodi più smaccate e per svolgere la più sfrenata apologia del capo comunista, morto nell’esercizio del suo «essere comunista». E lo spettacolo oggettivamente scandaloso ha toccato il suo apice in occasione della cerimonia funebre.
Tutta la classe politica italiana – senza apprezzabili eccezioni -, dal capo dello Stato, per partire dal vertice, fino all’on. Giorgio Almirante, per giungere agli antipodi ufficiali del mondo politico nazionale, ha portato il suo contributo, tragicamente «al meglio», per l’abbattimento di ogni residua barriera non dico dottrinale e neppure ideologica – ché queste barriere non esistono più da molto tempo e non si perde occasione per rilevarne e testimoniarne la scomparsa -, ma almeno psicologica nei confronti del socialcomunismo, attraverso il plateale riconoscimento delle private e/o pubbliche «virtù» del suo massimo esponente ufficiale nel nostro paese. E ai politici si sono tempestivamente affiancati, a ranghi serrati, militari ed esponenti del mondo economico, nonché, più prevedibili di altri, «intellettuali» e uomini di cultura (1).
Né insignificanti sono state le manifestazioni di partecipazione all’interno della cosiddetta «area cattolica», considerata sia nelle sue componenti prepolitiche e genericamente ecclesiali che in quelle ecclesiastiche in senso stretto, a partire da notori «compagni di strada» della Rivoluzione nel nostro paese, per arrivare ai suoi più fedeli «cappellani», guidati dal loro vescovo castrense», già clamoroso corrispondente dello scomparso capo comunista. E non hanno avuto scarsa eco neppure espressioni diplomatiche o pastorali non protette da adeguate messe in guardia per evitare strumentalizzazioni assolutamente prevedibili, oppure realizzate con un evidente eccesso di partecipazione e, quindi, con scarso distacco diplomatico (2); né sono rimasti senza effetto sforzi seriosi per accreditare il solito «comunismo diverso» (3).
Con questi alimenti – insaporiti da spezie internazionali paragonabili soltanto a quelle che condiscono, o condivano un tempo, esequie regali, e che dovrebbero fare riflettere sulla importanza attribuita all’Italia dalla Rivoluzione, almeno a giudicare dalla importanza attribuita alla sua ala marciante nel nostro paese, cioè al maggiore partito comunistico di Occidente -, con questi alimenti, dicevo, la pubblica opinione nazionale è stata nutrita forzatamente, «all’ingrasso», per giorni e giorni (4). E, ghiottoneria fra le ghiottonerie, non è mancato un cuscino di fiori inviato da Solidarnosc, a canalizzare almeno gli entusiasmi più acritici non certo per la reazione del popolo polacco, ma per un sindacato altamente sponsorizzato (5).
Con queste sconcertanti e tragiche premesse, il 17 giugno – data fissata per la elezione del parlamento europeo – era lecito attendersi il peggio e, forse, di più! Ma il peggio non è venuto, anche se è stato dichiarato per breve tempo; e prova non ultima che non è venuto – benché, insisto, sia stato clamorosamente proclamato – sta proprio nel fatto che – pur essendo stato proclamato – non ha, almeno a tutt’oggi, prodotto conseguenze e modificazioni di rilievo nel panorama politico nazionale.
Infatti, nonostante la congiuntura assolutamente straordinaria e straordinariamente sfruttata anche attraverso l’arruolamento di un genere e di una massa di propagandisti soprannumerari e di eccezione, il Partito Comunista è riuscito a superare la Democrazia Cristiana solamente grazie alla confluenza nelle sue liste dei candidati del Partito di Unità Proletaria, senza il cui contingente contributo – valutabile attorno ai 400 mila voti, tanti questa formazione ne aveva conquistati nella precedente tornata elettorale europea, quella del 1979 – non si sarebbe potuto millantare il cosiddetto «sorpasso». E sorte identica la millanteria del «sorpasso» avrebbe avuto se, concessa la confluenza ufficiale del Partito di Unità Proletaria nelle liste comunistiche, si fosse dato adeguato risalto al collegamento della Democrazia Cristiana con la Südtiroler Volkspartei, che ha raccolto poco meno di 200 mila voti (6).
Ma tant’è: lo sforzo proditorio, benché sostanzialmente fallito, doveva essere formalmente premiato, almeno per qualche giorno, cioè almeno fino alla consultazione regionale sarda del seguente 24 giugno e fino alle elezioni comunali tenute nella stessa data in aree diverse del territorio nazionale, destinate a rivelare un «effetto sorpasso» (millantato) di segno contrario a quello che si è convenuto di denominare «effetto Berlinguer», non senza cinismo dal momento che è della morte di quest’ultimo che è questione (7).
Dunque, nonostante uno sforzo propagandistico assolutamente irripetibile almeno per il suo pretesto – se non ipotizzando l’uso di rinascimentali veleni! -, la Rivoluzione e le sue quinte colonne hanno conseguito un ben misero consenso e il quadro generale è sempre più significativamente connotato dalla disaffezione del corpo elettorale nei confronti della intera classe politica, con qualche aumento di «preferenza negativa» per i vincitori designati, cioè per i socialisti! E questo crescente distacco – secondo il professore Arturo Parisi, direttore dell’Istituto di studi e ricerche Carlo Cattaneo, di Bologna – è bene espresso dalla percentuale dell’«astensionismo totale (non votanti più voti non validi)», che ha «raggiunto valori mai toccati in una consultazione politica nazionale» (8).
«Di fronte allo stesso risultato – nota tale esperto – ci si possono […] porre molte domande e dare quindi molte risposte: tutte legittime e compatibili. Si può, ad esempio, guardare ai consensi realmente raccolti (misurati dai voti assoluti) o al risultato istituzionale (misurato dai seggi); ci si può concentrare sul rendimento del proprio partito considerato in sé, oppure sul rapporto tra questo e il risultato conseguito dai partiti alleati e/o avversari; si può, infine, “stare ai dati” del passato o esaltare il confronto con le aspettative e le previsioni. Che in corrispondenza dei tre livelli di lettura i politici scelgano, soprattutto nel calore e nel clamore del commento, la seconda delle due alternative è comprensibile e ampiamente giustificabile. Sarebbe però del tutto insipiente dimenticare la prima alternativa: dimenticarsi cioè di guardare ai consensi realmente raccolti, mettendo tra parentesi il confronto con le sfortune o fortune degli altri, e cercando la comparazione con la realtà del risultato precedente piuttosto che con la genericità delle attese preelettorali.
«[…]
«Se invece che alle percentuali sui voti validi, ci si riferisce a quelle sugli elettori, si guarda cioè all’effettivo numero di elettori che i singoli partiti son riusciti a portare attorno alle proprie liste, molti dati appaiono nella loro reale misura. Alcune avanzate, per quanto indiscutibili come quella del Pci, emergono alquanto ridimensionate (+ 1,4 punti, percentuali rispetto alla Camera ‘83 e + 0,8 rispetto alle precedenti europee, se si sommano al Pci i dati del Pdup), ma tutti gli altri risultati […] devono essere letti come una gara tra chi perde di meno» (9).
Quanto poi alle considerazioni relative all’astensionismo, «bisogna […] prepararsi a tempi nei quali neppure la metafora del “terzo partito” sarà più sufficiente»; e, se è certamente vero, come «è comune convinzione che il fenomeno tocchi, in qualche modo, tutti i partiti», «non altrettanto vero è invece che tocchi tutti nella stessa misura. L’affermazione della sua onnipervasività mette soprattutto in ombra come sia in particolare la Dc a subire i maggiori contraccolpi negativi, e […] impedisce quindi di individuare nell’astensionismo il maggiore competitore elettorale (che è ben diverso da avversario politico)» (10) della Democrazia Cristiana stessa. Il che equivale a riconoscere che l’astensionismo è sostanzialmente cattolico e conservatore, cioè caratterizzato da due valenze che l’intera classe politica nazionale ignora oppure finge di ignorare, e che, comunque, non vuole oppure non può credibilmente rappresentare.
Nel dicembre 1979 – ormai quasi un lustro fa -, introducendo una raccolta di miei articoli sulla «finale impermeabilità al comunismo fino a oggi rivelata dalla nostra nazione», comparsi in Cristianità dal 1973 al 1979, mi pareva di potere identificare una «lezione italiana» (11). Oggi, di fronte al fallimento di altri cinque lunghi anni di pressione sovversiva tesa a «sbloccare» la vita politica e quella sociale – cioè a disgregare quanto sopravvive di definito e di organico nei due campi, attraverso il «compimento» della democrazia e la instaurazione della «democrazia governante» -»; di fronte al fallimento dell’«effetto Berlinguer», espressione massima di collaborazionismo pubblico con la sovversione, credo di potere legittimamente parlare di un «miracolo italiano», versione psicosociale di quello economico che ha fatto seguito alla seconda guerra mondiale. E, anche se non vedo da chi questo «miracolo italiano» possa essere meritato, vedo chiaramente da Chi e per le mani di Chi è largito. Senza sviluppare oltre queste considerazioni, mi limito a chiedermi in pubblico fino a quando la nostra nazione – particolarmente nelle sue autorità sociali, attuali oppure latenti – resisterà alla grazia con la stessa energia con cui resiste – specialmente nei minores – alla grande tentazione rivoluzionaria.
I presupposti non sono certo tali da alimentare grandi speranze: il 29 giugno 1984, ricorrenza dei santi Pietro e Paolo, «per la prima volta nella sua storia la Radio Vaticana ha diffuso un’intervista rilasciata da un segretario del Pci. Alessandro Natta ha, infatti, risposto a tre domande rivoltegli nella sede del partito, in via Delle Botteghe Oscure, dalla giornalista Laura De Luca, per la trasmissione “Radiovaticana sera”, un programma di attualità che va quotidianamente in onda alle 21 e alle 23» (12).
La formula «per la prima volta nella sua storia» mi ricorda un titolo del Corriere della Sera: Mai fu espresso dall’«Osservatore romano» un giudizio più positivo su un comunista (13), ed entrambi mi rimandano a un modo di dire francese secondo cui «c’est le premier pas qui coûte». E questi passi, purtroppo, sono ormai almeno due.
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Per una ricca rassegna di giudizi e di episodi, cfr. i numeri de l’Unità, di Paese Sera e de la Repubblica dall’8 al 17 giugno 1984.
(2) Buone raccolte degli interventi più significativi del settore: La vita e la morte di Berlinguer nella riflessione dei cattolici, in ADISTA, anno XVIII, nn. 2967-2968-2969, 21/22/23-6-1984; e Enrico Berlinguer nel giudizio delle riviste cattoliche italiane, ibid., anno XVIII, nn. 3006-3012, 1/7-8-1984.
(3) Cfr. GIUSEPPE DE ROSA S.J., Il «comunismo diverso» di Enrico Berlinguer, in La Civiltà Cattolica, anno 135, n. 3217, 7-7-1984, pp.53-56.
(4) «Non era mai successo sino ad oggi che la RAI usasse l’elicottero per seguire una manifestazione di massa legata in qualche modo alle vicende politiche o di un partito» (l’Unità, 14-6-1984).
(5) Cfr. il Giornale, 13-6-1984.
(6) Cfr. 17 e 24 giugno 1984. Le cifre del «rifiuto» e il «voto integrale», in questo stesso numero di Cristianità.
(7) Cfr. ibidem.
(8) ARTURO PARISI, Il partito delle astensioni ha raggiunto il 20 per cento, in la Discussione, anno XXXII, n. 26, 25-6-1984.
(9) Ibidem.
(10) Ibidem.
(11) Cfr. il mio La «lezione italiana». Premesse, manovre e riflessi della politica di «compromesso storico» sulla soglia dell’Italia rossa, Cristianità, Piacenza 1980, pp. 5- 17.
(12) Avvenire, 30-6-1984. L’intervista è naturalmente riportata in integro su l’Unità dello stesso giorno, con rilievo e in prima pagina.
(13) Cfr. Corriere della Sera, 12-6-1984, che fa riferimento a È morto Enrico Berlinguer dopo una penosa agonia, in L’Osservatore Romano, 11/12-6-1984. Cfr. anche PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Inquebrantabilidade vence astúcia, in Folha de São Paulo, 9-7-1984. Il pensatore cattolico brasiliano, commentando la intervista «richiesta dalla Radio Vaticana», denuncia con vigore «questo fatto inaudito» e lamenta la mancanza di «una protesta santamente indignata, che spieghi attraverso quali trame fino a questo punto inimmaginabili il comunismo internazionale abbia raggiunto un tale “primato” di efficacia attraverso la sua ingannevole propaganda. Sì, una protesta che inoltre enunciasse una rinnovata condanna del comunismo da parte della Santa Sede, per proteggere contro gli effetti dell’inganno tante centinaia di milioni di ascoltatori fedeli», per i quali «la ninnananna gramsciana dell’avvicinamento cattolico-comunista giunge a essere influente in modo inaudito presso i fedeli per il fatto di essere veicolata dalla Radio Vaticana, che è, per essenza, portavoce almeno ufficiosa dei successivi vicari di Cristo in terra. E ha così trovato modo di raggiungere ascoltatori che diversamente non avrebbe mai raggiunto, predisposti alla acquiescenza dal prestigio straordinario della Radio Vaticana»: solo così «la inflessibilità nella fede e nell’amore di Dio vincerà […] le astuzie dell’odio rivoluzionario».