Francesco Pappalardo, Cristianità n. 152 (1987)
In due importanti documenti rispettivamente del Santo Padre Giovanni Paolo II e dei vescovi della Campania.
A duecento anni dalla morte
Ricordo di sant’Alfonso Maria de’ Liguori
Il 1° agosto 1787, all’età di novantun anni — era nato a Marianella di Napoli il 27 settembre 1696 —, muore sant’Alfonso Maria de’ Liguori, il «più intelligente restauratore religioso del Settecento» (1).
Il bicentenario alfonsiano è stato celebrato da Papa Giovanni Paolo II con la lettera apostolica Spiritus Domini, inviata a padre Giovanni M. Lasso de la Vega y Miranda, superiore generale della Congregazione del Santissimo Redentore, e dai vescovi della Campania con il messaggio Alla scuola di S. Alfonso (2).
Maestro di sapienza e di infaticabile apostolato
Nel documento commemorativo della ricorrenza il Sommo Pontefice esprime la gioia della Chiesa tutta, che partecipa «al ricordo ancora attuale di un santo che fu maestro di sapienza al suo tempo e con l’esempio della vita e con l’insegnamento continua a illuminare, come luce riflessa di Cristo, luce delle genti, il cammino del popolo di Dio» (3), quindi descrive brevemente le tappe principali della sua esistenza di laico fervente, di sacerdote dedito alla rieducazione religiosa, morale e civile del popolo napoletano, di vescovo zelante e di scrittore fecondo di opere teologiche e ascetiche.
Sant’Alfonso presta fin da giovane la sua energica mano alla Chiesa travagliata da attacchi interni ed esterni, e si prodiga per migliorare le condizioni spirituali e le sorti materiali del popolo.
Come membro delle Apostoliche Missioni percorre i paesi vesuviani, gli Appennini e le Puglie annunciando con semplicità le massime eterne. Nel 1732, desiderando evangelizzare con più efficacia le popolazioni del Mezzogiorno d’Italia, specialmente quelle più abbandonate e più sprovviste di aiuti spirituali, fonda la Congregazione del Santissimo Salvatore, poi denominata del Santissimo Redentore, allo scopo vincendo l’ostilità di intellettuali e di uomini di governo, che non volevano assolutamente sentir parlare di nuovi ordini religiosi proprio mentre operavano per la soppressione di quelli già esistenti.
Come missionario, sant’Alfonso si rivolge «al popolo con i mezzi pastorali più idonei ed efficaci. Rinnovò la predicazione nei metodi e nei contenuti, collegandola con un’arte oratoria semplice ed immediata. Parlava in questa forma, perché tutti potessero capire» (4).
Il dialetto, che egli usa spesso nel contatto con i più umili, non è soltanto veicolo di trasmissione del messaggio evangelico, ma diventa strumento di raffinata poesia, che pone il santo nella schiera dei grandi poeti napoletani.
Nel 1762, a sessantasei anni, sant’Alfonso viene nominato vescovo di Sant’Agata dei Goti «sviluppando nel nuovo compito pastorale un’attività che ha quasi dell’incredibile, nella duplice direzione del ministero diretto e dell’apostolato della penna» (5), e avviando una riforma spirituale del clero nei tre fondamentali momenti della vocazione, del ministero e della preghiera.
Fiaccato da molte sofferenze fisiche e spirituali, nel 1779 lascia la diocesi e si ritira a Pagani, nel Salernitano, in una casa del suo istituto religioso dove rimane fino alla morte.
Papa Gregorio XVI lo canonizza nel 1839, Papa Pio IX lo proclama dottore della Chiesa nel 1871 e Papa Pio XII lo assegna come celeste patrono a tutti i confessori e moralisti nel 1950.
La scelta degli «ultimi»
Nato da nobile famiglia napoletana, iscritto alla circoscrizione di Portanuova — alla quale verrà da Sant’Agata dei Goti per partecipare, già vescovo, all’ammissione di un nobile —, sant’Alfonso è un grande «amico del popolo», che insegna tutti essere chiamati alla santità, ognuno nel proprio stato (6).
Si circonda di ecclesiastici e di laici di ogni ceto, sesso ed età, ovunque organizzandoli in numerose associazioni: degli Operai, dei Gentiluomini, dei Chierici, dei Missionari Diocesani, delle Donne Cattoliche, della Gioventù Femminile, delle Scuole Pie e altre ancora. Infatti, profondo conoscitore dei cuori e delle esigenze delle diverse categorie sociali, vuole un’assistenza materiale e spirituale adeguata alla speciale natura di ognuna di esse.
Si dedica in modo particolare ai ceti più umili, compiendo innumerevoli missioni nelle campagne e nei paesi rurali e prodigandosi in un intenso apostolato nei quartieri più poveri di Napoli, dove organizza, fin dal 1727, le Cappelle Serotine: i più assidui frequentatori di esse erano di estrazione artigianale, ma non mancavano i «lazzari», e tutti si radunavano la sera, dopo il lavoro, per due ore di preghiera e di catechismo. L’opera ha una rapida diffusione e diventa «una scuola di rieducazione civile e morale» (7).
Ma la scelta «preferenziale» per i poveri non significa, per sant’Alfonso, trascurare la parte più abbiente della popolazione, dal momento che «ultimo» è chiunque «nella cordata verso la conoscenza e l’esperienza di Dio si trova in pericolo di perdersi o per povertà materiale o per povertà spirituale, intellettuale» (8). Egli sa individuare «nella missionarietà verso i poveri e i dotti la necessità del momento» (9).
Perciò rivolge un’attenzione particolare ai nobili e agli intellettuali, poiché la Chiesa, assorbita dal punto di vista culturale dal confronto con il giurisdizionalismo e da quello pastorale dalla catechesi popolare, aveva lasciato tali categorie sociali sprovvedute di fronte alla penetrazione strisciante delle nuove ideologie: «l’illuminismo, che minava dalle fondamenta la fede cristiana; il giansenismo, sostenitore di una dottrina della grazia che, invece di alimentare la fiducia e animare alla speranza, portava alla disperazione o, per contrasto, al disimpegno; il febronianismo che, frutto del giansenismo politico o del giurisdizionalismo, limitava l’autorità del Romano Pontefice in favore dei Principi e delle Chiese nazionali» (10). Com’è noto, si tratta di «filosofie che ieri, come oggi, anziché essere autentica ricerca della verità, quindi servizio all’uomo per l’uomo, risultavano e risultano essere “mode di una malcelata superbia” che in nulla si discosta dalla prima tentazione di Adamo» (11).
D’immensa portata pastorale è la polemica del santo contro il giansenismo, poiché investiva la pratica sacramentale e la concezione stessa di Dio, della Redenzione, della salvezza e della Chiesa: «di fronte a questa invasione dell’errore che non risparmiava nessun angolo del mondo e che riempiva circoli, librerie, conversazioni del tempo» (l2), egli opera con alacrità per conservare integra nel popolo la fede in genere e, in specie, la devozione a Maria.
In campo strettamente dogmatico sant’Alfonso «elaborò una dottrina della grazia imperniata sulla preghiera, la quale restituirà alle anime il respiro della fiducia e l’ottimismo della salvezza»: «il messaggio Alfonsiano, anche quando egli innova e soprattutto allora, emerge dalla coscienza plurisecolare della Chiesa. Il Santo ebbe come pochi il “sensus Ecclesiae”: un criterio che lo accompagnò nella ricerca teologica e nella prassi pastorale fino a diventare egli stesso in qualche modo la voce della Chiesa» (13).
La sua produzione letteraria è imponente, dal momento che giunge a comprendere ben centoundici titoli e ad abbracciare i tre grandi campi della fede, della morale e della vita spirituale. Fra le opere spirituali, in ordine cronologico, si possono ricordare Le glorie di Maria, Del gran mezzo della preghiera, le Visite al SS. Sacramento ed a Maria SS., la Pratica di amar Gesù Cristo, «il suo capolavoro ascetico ed il compendio del suo pensiero» (14).
Anche grazie a questi scritti e alla loro ampia diffusione si può radicare in tutti i ceti una cristiana sapienza, frutto dell’assimilazione delle massime eterne, e viene promosso il risveglio eucaristico europeo lungo la seconda metà del secolo XVIII e attraverso tutto il secolo XIX.
Vero gigante della storia della spiritualità, ma anche della storia tout court, sant’Alfonso porta a termine uno straordinario lavoro di animazione civile e culturale, dotando la Chiesa e la società di numerosi e solidi presidi che sarebbero stati lievito della reazione della Santa Fede, che ebbe nel santo «il suo preparatore remoto ma profondo, nello stesso senso in cui san Luigi Maria Grignion de Montfort preparò la Vandea» (15).
Alla scuola di sant’Alfonso
La grandezza di cui sant’Alfonso dà testimonianza si costruisce attraverso l’azione della grazia sulle sue qualità umane personali, ma anche sulla sua appartenenza a un popolo e a una storia che non rifiuta, ma della cui linfa vive, giacché egli fu un «santo che di Napoli seppe esprimere tutta la generosità, la sensibilità, l’eroismo che un napoletano sa offrire alla Grazia, senza mai staccarsi dalla sua cultura e dalla sua tradizione» (16).
Oggi si parla spesso, «e molte volte a sproposito, di “napoletanità”: a volte sottolineandone i mali come se questi fossero la sola caratteristica o cultura; poche volte mettendo in rilievo le immense possibilità e virtù» (17): in questa prospettiva sant’Alfonso Maria de’ Liguori insegna a Napoli e a tutto il Mezzogiorno d’Italia, già Regno delle Due Sicilie, che la rinascita religiosa e civile può essere perseguita e conseguita soltanto recuperando le proprie radici storiche e spirituali, da tempo conculcate e disprezzate, purtroppo non solamente da parte di allogeni (18).
Ma il santo va ben oltre il quadro della «napoletanità» e si presenta come modello per la Chiesa universale, soprattutto per i vescovi e per i sacerdoti, ai quali — in un’epoca in cui «c’è una diffusa mancanza del senso del peccato e l’affermarsi di una morale soggettiva che esclude ogni principio assoluto superiore all’uomo» (19) — ricorda di predicare fedelmente il Vangelo, custodire il deposito della fede secondo la Tradizione e il Magistero della Chiesa e difendere il primato del Sommo Pontefice.
Modello è anche per tutti i laici, invitati a impegnarsi in una nuova evangelizzazione, ora che il male «è divenuto “regola di comportamento”, quasi ‘‘legalità’’contro cui non c’è chiarezza o opposizione: basta pensare all’aborto, al divorzio, alla violenza, alla stessa ricchezza molte volte accumulata con grave ingiustizia» (20).
Modello è poi per quanto riguarda lo studio e l’insegnamento della dottrina morale: «“Il bene della persona è di essere nella Verità e di fare la Verità. Questo essenziale legame di Verità- Bene-Libertà è stato smarrito in larga parte dalla cultura contemporanea e, pertanto, ricondurre l’uomo a riscoprirlo è oggi una delle esigenze proprie della missione della Chiesa, per la salvezza del mondo”. Il bicentenario Alfonsiano si offre come occasione propizia per dedicarsi con rinnovato slancio a tale impegno» (21).
Infine, è modello per la devozione a Maria: «Gli ultimi tempi hanno forse tentato di diminuire la devozione alla Madonna, spesso irridendola: non sono riusciti a distruggerla. Forse, come un altare prezioso, ma incrostato e devastato, ha bisogno di riprendere tutto il suo splendore, il suo volto. Ed anche in questo S. Alfonso ci è di buona guida» (22), specialmente puntuale nel corrente Anno Mariano straordinario, in cui la Provvidenza ha voluto cadesse il secondo centenario della morte del grande cantore delle glorie di Maria.
Francesco Pappalardo
Note:
(1) PADRE GIUSEPPE CACCIATORE C.SS.R., Sant’Alfonso Maria de’ Liguori e il giansenismo, LEF, Firenze 1944, p. 17.
(2) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Spiritus Domini, dell’1-8-1987, in L’Osservatore Romano, 2-8-1987, con la traduzione italiana nell’inserto tabloid; e I VESCOVI DELLA CAMPANIA, Alla scuola di S. Alfonso. Messaggio nel II centenario della morte di S. Alfonso M. de’ Liguori, dell’1-8-1987, in Ianuarius. Rivista Diocesana di Napoli, anno 68, ottobre 1987, pp. 492-503, comparso anche in L’Osservatore Romano, 31-7-1987.
(3) GIOVANNI PAOLO II, doc.cit.
(4) Ibidem.
(5) Ibidem.
(6) Ibidem. L’espressione «amico del popolo», che si trova evidenziata nel testo, ha almeno un precedente che mi pare opportuno ricordare: si tratta di un passo della lettera apostolica Notre Charge Apostolique, di san Pio X, in cui, condannando il modernismo sociale del Sillon, il santo Pontefice afferma che «i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né innovatori, ma tradizionalisti»; cfr. il documento, del 25-8-1910, in La pace interna delle nazioni. Insegnamenti pontifici, a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., 2a ed., Edizioni Paoline, Roma 1962, p. 296.
(7) GIOVANNI PAOLO II, doc. cit.
(8) I VESCOVI DELLA CAMPANIA, doc. cit., p. 497.
(9) Ibid., n. 493.
(10) GIOVANNI PAOLO II, doc. cit.
(11) I VESCOVI DELLA CAMPANIA, doc. cit., p. 498.
(12) Ibidem.
(13) GIOVANNI PAOLO II, doc. cit.
(14) Ibidem. Lo stesso Pontefice, nell’enciclica Redemptoris Mater, del 25-3-1987, affianca Le glorie di Maria al Trattato della vera devozione alla santa Vergine di san Luigi Maria Grignion di Montfort (nota 143).
(15) GIOVANNI CANTONI, L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, saggio introduttivo a PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, p. 13. Cfr. anche il mio 1799: la crociata della Santa Fede, in Quaderni di «Cristianità», anno I, n. 3, inverno 1985, pp. 34-50.
(16) I VESCOVI DELLA CAMPANIA, doc. cit., p. 492.
(17) Ibid., p. 493.
(18) Cfr. AA. VV., La Chiesa e i problemi del Paese. Il Meridione come questione nazionale. Atti del II Convegno sul Magistero pontificio. Paestum 10-12 giugno 1983, supplemento a la traccia, anno IV, n. 8, 15-10-1983, soprattutto la relazione di S.E. mons. Giuseppe Casale, vescovo di Vallo della Lucania, alle pp. 9-22.
(19) I VESCOVI DELLA CAMPANIA, doc. cit., p. 494.
(20) Ibid., p. 500.
(21) GIOVANNI PAOLO II, doc. cit. La citazione del Pontefice è un’autocitazione dal discorso al Congresso internazionale di teologia morale organizzato dall’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su Matrimonio e Famiglia e dal Centro Accademico Romano della Santa Croce, del 10-4-1986, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. IX, 1, p. 970.
(22) I VESCOVI DELLA CAMPANIA, doc.cit., p. 503.