Giovanni Cantoni, Cristianità n. 116 (1984)
La opposizione attiva al regime strutturalmente tirannico imposto dalla setta socialcomunistica alle nazioni che viene soggiogando dal 1917 e la collaborazione con quanti responsabilmente e coraggiosamente la praticano. I termini del problema dal punto di vista della dottrina sociale naturale e cristiana. Qualche modalità di sostegno propagandistico e materiale. Il testo integrale dell’intervento al convegno di Giovanni Cantoni, con l’aggiunta delle note relative ai riferimenti contenuti nella esposizione.
Per un impegno motivato e articolato
A fianco delle giuste Resistenze contro la tirannia della setta socialcomunistica
Illustri ospiti, Signore, Signori!
Abbiamo sentito e abbiamo visto. Mi auguro, però, che non abbiamo soltanto sentito e visto, ma che abbiamo anche ascoltato e accolto il messaggio che ci è stato trasmesso e che mi pare si possa felicemente sintetizzare con una formula, con una espressione di recente usata, nel corso di una clamorosa intervista, dal cardinale Joseph Ratzinger. Il prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, riferendosi a Fatima e al suo segreto, ha infatti indicato come parte di esso – la parte più propriamente politica e già nota – la «serietà della storia» (1). Ebbene, le storie che ci sono state narrate, le esperienze di cui siamo stati messi a parte, non sono «storie» nel senso di favole, ma concludono e fanno concludere alla «serietà della storia».
Sì, la storia è una realtà seria, e questa serietà l’umanità tutta, cioè tutti gli uomini, cioè anche ciascuno di noi, la sperimenta sul proprio corpo, più o meno direttamente, dal momento che, anche se tutto il corpo è malato, non tutto è però sempre e contemporaneamente e ugualmente dolente.
Abbiamo, dunque, ascoltato e visto. Siamo stati portati a concludere genericamente per la «serietà della storia». A me il compito – a nome della associazione, Alleanza Cattolica, e della rivista Cristianità, che hanno promosso questo convegno in valida collaborazione con la CIRPO e con il CEI -, a me il compito – ripeto – di specificare questa conclusione, esaminando almeno qualche aspetto di essa e ciò che comporta per chi la voglia tenere presente.
Qual è, dunque, il senso di quanto è stato premesso?
Nel mondo, attaccato dall’imperialismo della setta socialcomunistica e da essa ampiamente occupato con una apparentemente inesorabile escalation, vi sono uomini che resistono.
Quelle che abbiamo ascoltate sono le voci – alcune voci per molte, direi per tutte – di chi resiste nei paesi occupati.
La voce di Pierre Faillant de Villemarest e quella che ascoltate – la mia voce – sono le voci – due, certo anch’esse per molte altre, almeno così ci auguriamo tutti – di chi intende resistere nel mondo ancora non occupato, ma ampiamente dominato da potenti, che metodicamente tradiscono e abbandonano quanti resistono nei paesi occupati.
Questo, in poche e povere parole, il senso di quello che avete sentito e di quello che avete visto.
Stando così le cose, tenterò di affrontare almeno due dei tanti problemi che si presentano alla nostra mente e soprattutto si affacciano alla nostra coscienza, e che necessitano di soluzione perché, quindi, agiamo umanamente, cioè, sulla base di un giudizio meditato.
Uno di questi problemi è relativo alla moralità del comportamento di chi resiste nei paesi occupati.
Un altro riguarda i doveri di chi resiste in quelli non ancora occupati, e si articola nei modi per impedire che vengano occupati anzitutto, e, quindi, nell’aiuto da fornire ai resistenti nei paesi occupati, perché giungano a liberarli e a liberarsi.
Comincio dal primo quesito, tanto importante per noi, che ci onoriamo del nome cattolico: è lecito resistere attivamente all’imperialismo della setta socialcomunistica?
La dottrina sociale naturale e cristiana – di cui mi faccio espositore ed eco (2) – teorizza la resistenza alla legge ingiusta; e articola questa resistenza in passiva e attiva, quindi distinguendo tra una resistenza attiva non violenta o con mezzi legali, e una resistenza attiva violenta o a mano armata. Ergo, tale dottrina acquista maggiore evidenza e le sue conclusioni sono ancora più cogenti, quando si passa dalla ipotesi della legge ingiusta a quella del potere che detta legge emana, cioè un’potere tirannico a titulo o usurpationis che dire si voglia – cioè tirannico quanto alla sua origine – e ab exercitio o regiminis, cioè tirannico quanto alla pratica di governo.
In questa ipotesi, infatti, la casistica si riduce fino a scomparire, in quanto la tirannicità e la ingiustizia del potere si rivelano e si manifestano non come occasionali e/o eventuali, ma come costanti e come abituali, quindi, come si dice in certi linguaggi, come naturali e come strutturali.
Questo loro carattere naturale e strutturale rende la tirannia e la ingiustizia manifeste e gravi non a una qualsiasi persona privata, non a un qualsiasi singolo, eventualmente colpito dal potere uti singulus, ma al popolo tutto o almeno alla sanior pars del popolo, che non coincide obbligatoriamente con la major pars di esso. E questa sanior pars, così difficilmente identificabile nella società di massa ormai disarticolata, trova il suo ultimo rifugio nella coscienza individuale attenta al patrimonio di valori di cui si è nutrita e di cui si nutre, e che ha il dovere di trasmettere, cioè nella coscienza individuale legata alla famiglia e alla nazione.
Quindi, quando siano stati esperiti di fatto e nella misura del possibile i mezzi legali e si siano rivelati inefficaci, è non solo lecito, ma persino doveroso agire contro il potere strutturalmente tirannico, e questa azione – come ogni azione – cade sotto le norme della morale e della efficacia, cioè della proporzione al fine che si intende perseguire.
Doveroso, ho detto, e la tesi è di san Tommaso, che sostiene che gli «homines virtuosi», quando vi sia giusta causa e possano farlo – cioè ne abbiano la possibilità – peccano se non si ribellano alla tirannide costante, permanente e diversamente irrimediabile: «peccarent si [seditionem] non moverent» (3)!
Quanto al giudizio sulla possibilità, padre Reginaldo M. Pizzorni O.P. scrive che «se bisogna diffidare delle passioni» nella sua valutazione, «bisogna pure diffidare della pusillanimità dei teorici. Le questioni politiche […] esigono il giudizio pratico che presuppone ardimento, chiaroveggenza di situazioni concrete, spirito di decisione e coraggio per portare pesanti responsabilità. Tali virtù si trovano più spesso negli uomini d’azione che negli uomini d’ufficio. Tali questioni [inoltre] sono spesso talmente difficili che sembra impossibile risolverle teoricamente in modo deciso. Ciascuno deve allora assumere le sue responsabilità secondo il modo in cui esse gli sembrano» (4).
Ebbene, la setta socialcomunistica ha scatenato – al dire di Pio XI – «una lotta freddamente voluta e accuratamente preparata dell’uomo contro “tutto ciò che è divino”», «né si può dire che […] [le] atrocità» di cui si è resa e si rende colpevole «siano un fenomeno transitorio, solito ad accompagnarsi a qualunque grande rivoluzione, isolati eccessi di esasperazione comuni ad ogni guerra: no, sono frutti naturali del sistema, che manca di ogni freno interno» (5).
Si tratta, quindi – e qui cedo la parola al regnante Pontefice – de «la costruzione cosciente e coerente di un mondo “senza Dio” e “contro Dio”» (6), e «un mondo senza Dio si costruisce, presto o tardi, contro l’uomo» (7), e, ancora, «un regime che pretende di estirpare la fede in Dio non potrà salvaguardare il rispetto per l’uomo e la fraternità fra gli uomini» (8).
Dunque, molto brevemente ma molto logicamente e molto coerentemente, un mondo che si costruisce coscientemente senza Dio, un mondo che si costruisce contro Dio, un regime che pretende di estirpare la fede in Dio e che lotta freddamente contro tutto ciò che è divino, è un regime naturalmente e strutturalmente tirannico, non occasionalmente tirannico, e quindi un regime contro l’uomo e il suo habitat esistenziale e storico, cioè contro la famiglia e contro la nazione. E, circolarmente, un regime che non rispetta la famiglia e la nazione, non rispetta l’uomo, e se non rispetta l’uomo che vede non rispetta a maggiore ragione Dio che non vuole vedere.
Circa la problematica che ho brevemente evocato e parlando dell’ultimo conflitto mondiale, sempre il regnante Pontefice si è così espresso: «Perché hanno combattuto gli uni contro gli altri, uomini e nazioni? […] Sono stati coinvolti dalla guerra con la forza di un sistema che, in antitesi al Vangelo ed alle tradizioni cristiane, era stato imposto ad alcuni popoli con spietata violenza come un programma, costringendo, al tempo stesso, gli altri ad opporre resistenza con le armi in pugno» (9).
Venendo, poi, a fare riferimento a un episodio emblematico – occorso sempre durante il secondo conflitto mondiale – e cioè alla insurrezione di Varsavia, nel 1944, il Pontefice parla dei suoi protagonisti come di «Eroi, Caduti e Viventi» (10).
Quindi, commemorando la memorabile battaglia di Vienna, del 1683, afferma in esplicito che «ci sono casi in cui la lotta armata è un male inevitabile a cui in circostanze tragiche non possono sottrarsi neanche i cristiani» (11).
Dunque, ecco il quadro di fondo, descritto con le parole del recente documento della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede su alcuni aspetti della «teologia della liberazione»: «Milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertà fondamentali di cui sono privati da parte dei regimi totalitari e atei che si sono impadroniti del potere per vie rivoluzionarie e violente, proprio in nome della liberazione del popolo. Non si può ignorare questa vergogna del nostro tempo: proprio con la pretesa di portare loro la libertà, si mantengono intere nazioni in condizioni di schiavitù indegne dell’uomo» (12).
I termini sono chiarissimi e la tirannicità di origine e di esercizio del potere apertamente denunciata. Ebbene, in questi paesi, o almeno in molti di essi – dice Giovanni Paolo II – «la morte testimonia la volontà di vivere di una nazione: la volontà di una vita dignitosa e indipendente» (13). In questi paesi, a nome di queste nazioni, si manifesta «la resistenza di uomini e donne intelligenti e coraggiosi, pronti a difendere la libertà per promuovere la giustizia» (14); uomini coraggiosi, «Eroi […] Viventi» come a Varsavia quarant’anni or sono, insorgono, e i loro portavoce, i loro messaggeri sono qui fra noi.
Essi testimoniano il doveroso esercizio di un diritto, il diritto alla resistenza contro chi instaura un regime e legifera contro Dio e la sua legge. Certo, la loro presenza non significa obbligatorietà di condivisione di ogni espressione e di ogni modalità della loro resistenza, ma questa logica riserva non deve fare dimenticare – come suggerisce saggiamente padre Reginaldo M. Pizzorni – almeno che «gli abusi della tirannide sono uguali o peggiori degli abusi del diritto di insurrezione» (15): infatti, se esiste, come esiste, un diritto di insurrezione, esso può patire abusi come tutti i diritti, ma una tirannia è un abuso in sé, senza diritti di sorta.
Né, tanto meno, si deve dimenticare – per non cadere in prospettive di ecumenismo equivoco o di irenismo ecumenico – che nella lotta contro quel relativismo aggressivo che è il socialcomunismo, «alleato del vero cattolico […] sarà ad esempio l’ebreo o il mussulmano che non abbia il menomo dubbio, non solo su ciò che ci unisce, ma anche su ciò che ci separa» (16).
Vengo al secondo quesito: se coloro che resistono nei paesi già occupati sono, in tesi, nel loro pieno diritto, come porsi nei loro confronti? Più specificamente, quale il comportamento verso di loro da parte di chi resiste al socialcomunismo dove non è ancora ufficialmente al potere?
Ebbene, se coloro che resistono nei paesi già occupati sono – come ha detto felicemente Pierre Faillant de Villemarest – i nostri «alleati naturali», vale anche il reciproco, per cui noi siamo i loro «alleati naturali».
Parlando della insurrezione di Varsavia, il regnante Pontefice non ha potuto fare a meno di ricordare che questa città – sono parole sue – «nel 1944 si è decisa ad una battaglia impari con l’aggressore, ad una battaglia nella quale è stata abbandonata dalle potenze alleate» (17). A queste drammatiche parole lo stesso Pontefice ha premesso: «Abbiamo rispetto e siamo riconoscenti per ogni aiuto che allora abbiamo ricevuto dagli altri, mentre con amarezza pensiamo alle delusioni che non ci sono state risparmiate», e mentre «non possiamo […] dimenticare l’eroismo del milite polacco che ha combattuto su tutti i fronti del mondo “per la nostra liberà e per la vostra”» (18).
Ascoltando la eco delle ultime proposizione pontificie citate, mi chiedo subito: che tipo di alleati siamo, che tipo di alleati vogliamo essere? Alleati che abbandonano? Alleati che amareggiano? Alleati che deludono? Alleati che tradiscono?
Come essere, dunque, alleati fedeli per chi, in questo momento, combatte per la sua libertà e per la nostra?
Il tema è enorme: non lo svilupperò certamente, ma mi limito ad articolarlo.
1. Per essere alleati fedeli è indispensabile fare conoscere prima la esistenza e poi le ragioni delle Resistenze nei diversi paesi occupati, documentandone e «cantandone» – se me lo concedete – le gesta. Ed è precisamente su questa strada che Alleanza Cattolica ha incontrato la CIRPO.
È, cioè, indispensabile fare della contro-informazione, componente importante e di fatto di una contro-cultura che voglia essere realmente alternativa alla cultura rivoluzionaria.
Ma – si chiederà qualcuno – dopo il Vietnam, dopo la Cambogia, per esempio, una contro-informazione serve ancora? Non solo serve, ma – insisto – è indispensabile. Un esempio scandaloso, fra tutti e – direi – per tutti: sul n. 2510, del 10 ottobre scorso, della Agenzia Internazionale Fides, pubblicazione periodica della Sacra Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli o «De Propaganda Fide», a proposito del Vietnam si può leggere: «Notizie di stampa hanno informato che circa 2.000 vietnamiti fuggono ogni mese dal paese, sfidando i rischi dell’Oceano su fragili imbarcazioni. Non ci è possibile identificare le cause di questa corrente di profughi» (19). Esclusa la ipotesi che fuggano perché vi si trovano troppo bene, resta la possibilità che, a causa della lunga convivenza con gli americani, il popolo vietnamita sia stato preso da un raptus collettivo per il surf!
2. È indispensabile mostrare il carattere strutturale della tirannide socialcomunistica, che attacca l’uomo e le sue articolazioni esistenziali e storiche, come la famiglia e la nazione, e non qualche singolo ipersensibile, poeta, scienziato o matematico di grido.
Senza spregio né per i poeti, né per i fisici nucleari, né per i matematici di grido, è indispensabile «smontare» con costanza e con metodo il «montaggio» che, di volta in volta, ci vuole presentare nominatamente un ospite del GULag: Sacharov, padre Dudko, Ogurzov – per scegliere in una gamma che soddisfa tante ipotesi, e con rispetto per ciascuno di loro -, ma dobbiamo continuare ad attirare l’attenzione sul fatto che, per esempio, per la sola Unione Sovietica si conoscono i nomi di almeno 20 mila detenuti politici, e non soltanto quelli di Sacharov e di sua moglie; dobbiamo ricordare che il numero degli internati nei quasi 2500 luoghi di pena noti – fra campi di concentramento, ospedali psichiatrici e prigioni, dei quali più di cento riservati a donne e a bambini -, il numero di questa popolazione concentrazionaria è valutato da tre a cinque milioni (20); dobbiamo continuamente fare presente che questi sono quelli in campo di concentramento, e gli altri … quasi!
Sul punto ha recentemente attirata l’attenzione il Pontefice, invitando a spezzare «la congiura del silenzio» sulla «sofferenza dei nostri fratelli perseguitati» (21), e a ricordare «tutte le persone, uomini e donne, che sono detenuti, confinati o sottoposti a restrizioni di libertà, in ogni regione o situazione, a causa delle loro intime convinzioni […]», aggiungendo: «Non se ne parla molto, come succede specialmente quando i fatti sono generalizzati, e si prolungano da anni, talvolta da decenni. Gran parte di questi testimoni è ignota ai più: Dio solo conosce uno per uno questi eroi della fede. Preghiamo perché essi siano sostenuti spiritualmente nella prova e si affretti il momento della loro completa libertà» (22).
3. È indispensabile mostrare come questo carattere strutturali della tirannide socialcomunistica chiama, evoca e richiede una resistenza altrettanto radicale e strutturale, che si articoli e si svolga in tutta la gamma delle reazioni, fino alla perfezione della Contro-Rivoluzione. In questa prospettiva – che è la prospettiva della «completa libertà» di cui parlava il Pontefice – «il pericolo da evitare – sono sempre parole di Giovanni Paolo II rivolte a uomini politici libanesi -, accanto alla stanchezza e alla disperazione, è quello di rassegnarsi ad accettare una soluzione politica qualsiasi pur di porre fine alle lotte che distruggono il paese» (23). Ergo, è indispensabile distinguere tra chi «dissente» dall’errore – per stanchezza, per debolezza, per incomprensione, per vigliaccheria, e pronuncio questa parola con difficoltà, perché è terribile evocare eroismo sulla pelle degli altri; forse per complicità, e la ipotesi non si può escludere – e lo ritiene riformabile, e chi oppone a esso errore la verità, nella prospettiva della «completa libertà».
È indispensabile che ci facciamo propagandisti di una radicale distinzione tra «dissidenti» e «oppositori», e che sosteniamo e «sponsorizziamo» – se mi concedete la espressione di gergo sportivo-pubblicitario -, nella misura delle nostre possibilità, gli «oppositori».
Quelle che ho tracciato sono linee inequivoche di una azione culturale – animatoria e propagandistica – per collaborare lealmente, per collaborare fedelmente con chi resiste all’imperialismo socialcomunistico.
Non è certo tutto il da farsi: manca, per esempio e a monte, la preparazione dei propagandisti – preparazione spirituale anzitutto, intellettuale poi, culturale infine, informativa da ultimo -, preparazione che caratterizza così fortemente, almeno in tesi, Alleanza Cattolica.
Ma non voglio fare mancare – accanto alla pressione civile da esercitare su chi si offre di rappresentare politicamente la nazione – il richiamo all’aiuto materiale alle Resistenze che non vogliamo dimenticare. La pressione propagandistica della setta socialcomunistica fa sì che venga elusa – metodicamente, come prosaica e di cattivo gusto – la domanda importante, se non decisiva: chi ha pagato e chi paga la sovversione?
Proprio coloro che ci vengono a insegnare che tutto è sovrastruttura di una struttura economica, sono riusciti a convincerci che non è di bon ton fare domande di questo genere. E queste domande noi dobbiamo farle, perché queste domande ci aiutano a capire molto; ma, soprattutto, importa notare come questa domanda rimossa ci impedisce di capire ciò che è accaduto e ciò che sta accadendo, e ci toglie anche, tragicamente, sensibilità al quesito analogo: come possono vivere le Resistenze al socialcomunismo, se nessuno le aiuta?
Ci hanno convinti che dobbiamo essere «idealisti» e noi siamo diventati immediatamente ed esclusivamente «astratti»; ed essere astratti significa avere perso contatto con quel reale che è la nostra forza. Ma, perdendo contatto con il reale, non capiamo più che cosa succede e perché succede, e non sappiamo più intervenire, se non chiacchierando. E proprio un nostro buon autore contro-rivoluzionario del secolo scorso, parlando della borghesia – e oggi tutti, in qualche modo, siamo un poco borghesi, nel bene e nel male – definiva la borghesia come la clase discutidora (24).
In anni passati – che mi auguro di cuore che, almeno da questo punto di vista, tornino – si insegnava ai bambini a fare sacrifici per aiutare i missionari, presentati come dispensatori del «pane della fede» in lontane contrade. Poi, questa prospettiva si è secolarizzata: dal paganesimo si è prima passati alla lebbra, dalla lebbra si è poi passati alla fame nel mondo.
Non fraintendete: vi è il paganesimo, vi è la lebbra, vi è la fame nel mondo, ma vi è anche la schiavitù politica e alla necessità impellente di verità, di salute e di pane bisogna sapere aggiungere la «fame di libertà».
Narra Erodoto che, prima della battaglia delle Termopili e per riparare un torto fatto a Serse, due eminenti spartani si recarono dal re persiano. Sulla via, si fermano presso un funzionario di quell’impero, che li interroga in questi termini: «Perché mai, o Spartani, voi rifuggite così dal legarvi d’amicizia con il re? Guardando a me e alla mia attuale fortuna, voi potete constatare come sappia il re onorare gli uomini per bene. Così sarebbe anche per voi, se voleste darvi al re […]; ciascuno di voi avrebbe un comando in Grecia, che il re gli affiderebbe».
A tali propositi essi rispondono con queste parole: «[…] il consiglio che rivolgi a noi non parte da un’uguale esperienza di ambedue le condizioni: tu parli per aver provata una delle due cose, ma dell’altra sei inesperto: sai, infatti, che cosa significhi essere schiavo, ma la libertà non l’hai ancora provata: non sai se sia dolce o no. Poiché, se soltanto l’avessi gustata, non solo con le lance ci consiglieresti di lottare per difenderla, ma anche con le scuri» (25).
Ebbene, i combattenti qui rappresentati sono i «missionari della libertà che, nelle foreste del Cabinda e sulle montagne dell’Afghanistan, nel delta del Mekong e fra le macerie di Beyrut, presidiano le Termopili del mondo intero e cadono perché il dispotismo non solo non passi, ma receda.
Vengo a rapida conclusione. Il successo di questo convegno abbiamo affidato alla Vergine sotto la invocazione di Virgo prudentissima. Perché? Perché la prudentia è virtù politica per eccellenza, e perché le sue premesse e i suoi corollari sono la memoria, per ricordare i fatti, tutti i fatti, passati e presenti, e non dimenticarli; la docilitas, per imparare la lezione dei fatti, perché non accadano invano, perché la storia sia, nella misura del possibile, senza retorica, ma sostanzialmente, magistra vitae: la solertia, per intervenire tempestivamente nelle situazioni e non dopo, troppo tardi, sempre troppo tardi; e, infine, la providentia, per scegliere con senso di responsabilità e con cura i modi e i mezzi dell’intervento (26).
Preghiamo la Vergine santissima, che la Tradizione cattolica chiama fidelis, perché siamo fedeli alleati di chi combatte.
Preghiamo la Vergine santissima, che la Tradizione cattolica chiama prudentissima, perché susciti un’azione politica conforma alla verità naturale e cristiana.
Preghiamo la Vergine santissima, che la Tradizione cattolica chiama potens, perché dia la vittoria ai «missionari della libertà» e apra così la via ai missionari della fede.
Infatti, accomodando una tesi di san Bernardo, concludo dicendo che, se è vero che senza grazia non vi è niente che salvi, è anche vero che senza libertà non vi è niente da salvare (27).
Giovanni Cantoni
Note:
(1) «Ecco perché la fede è in crisi». Vittorio Messori a colloquio con il cardinal Joseph Ratzinger, in Jesus, anno VI, n. 11, novembre 1984, «Perché occorre tornare a Maria». La Madonna come difesa della fede, p. 79.
(2) Cfr. REGINALDO M. PIZZORNI O.P., Filosofia del diritto, 2ª ed. riveduta e ampliata, Pontificia Università Lateranense – Città Nuova, Roma 1982, soprattutto il capitolo Liceità della resistenza alla legge ingiusta, pp. 396-427.
(3) SAN TOMMASO DI AQUINO, In V Politic., lect. I, n. 714, citato ibid., p. 416, nota 47.
(4) R. M. PIZZORNI O.P., op. cit., p. 413.
(5) PIO XI, Enciclica Divini Redemptoris, del 19-3-1937, in IDEM, Contro i nuovi idoli, Messaggero, Padova 1983, pp. 151-152.
(6) GIOVANNI PAOLO II, Omelia alla Messa di fine d’anno nella chiesa del Gesù a Roma, del 31-12-1982, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. V, 3, p. 1724.
(7) IDEM, Messaggio ai giovani di Francia, del 1º-6-1980, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. III, 1, p. 1616.
(8) IDEM, Discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, del 14-1-1984, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VII, 1, p. 78.
(9) IDEM, Omelia nel cimitero polacco di Montecassino, del 17-5-1979, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. II, 1, p. 1150.
(10) IDEM, Discorso alla udienza generale, del 1º-8-1984, in L’Osservatore Romano, 2-8-1984.
(11) IDEM, Discorso nella Heldenplatz, a Vienna, del 10-9-1983, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VI, 2, p. 440.
(12) SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su alcuni aspetti della «teologia della liberazione» Libertatis nuntius, XI, 10.
(13) GIOVANNI PAOLO II, Discorso per il 40º anniversario della battaglia di Montecassino, del 17-5-1984, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VII, 1, p. 1428.
(14) IDEM, Messaggio per la XVII Giornata Mondiale della Pace, dell’8-12-1983, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VI, 2, p. 1284.
(15) R. M. PIZZORNI O.P., op. cit., p. 414.
(16) PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo, trad. it., Edizione de L’Alfiere, Napoli 1970, p. 76.
(17) GIOVANNI PAOLO II, Omelia in Piazza della Vittoria, a Varsavia, del 2-6-1980, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. II, 1, p. 1389.
(18) IDEM, Discorso alle autorità civili, a Varsavia, del 2-6-1980, ibid., p. 1381.
(19) Agenzia Internazionale Fides, n. 2510, 10-10-1984, pp. 468-469.
(20) Cfr. PIERRE FAILLANT DE VILLEMAREST, Il n’y a pas un, mais des milliers de Sakharov, in la lettre d’information, anno XIV, n. 6, 18-5-1984, pp. 2-3; e AVRAHAM SIFRIN, L’URSS: sa 16ème république. Premier guide des camps de concentration et des prisons en Union Sovietique, trad. francese, Stephanus Edition, Seewis (GR) 1980, con 170 fotografie e schizzi.
(21) GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla conferenza episcopale canadese, del 20-9-1984, in L’Osservatore Romano, 22-9-1984, inserto p. XLVII.
(22) IDEM, Dopo la recita del Regina Coeli, a Viterbo, del 27-5-1984, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VII, 1, n. 1525-1526.
(23) IDEM, Discorso a un gruppo di deputati libanesi, del 10-1-1984, ibid., p. 50.
(24) Cfr. JUAN DONOSO CORTÉS, Dispaccio da Parigi, del 24-10-1851, in IDEM, Obras completas, BAC, Madrid 1970, vol. II, p. 827.
(25) ERODOTO, Le Storie, libro VII, § 135.
(26) Cfr. JOSEPH PIEPER, Sulla prudenza, trad. it., Morcelliana, Brescia 1956, soprattutto pp. 20-25.
(27) Cfr. SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE, De gratia et libero arbitrio, I, 2. Il testo latino suona: «Tolle liberum arbitrium, non est quod salvetur; tolle gratiam, non est quo salvetur».