Giovanni Cantoni, Cristianità n. 118 (1985)
Rodolphe Plus S.I., Come pregare sempre. Princìpi e pratica dell’unione con Dio, Libreria S. Lorenzo, Chiavenna (SO) 1984, pp. 80, L. 4.000
«Poiché al momento della resa dei conti ti dovrai pentire di non avere impiegato bene questo tempo nel servizio di Dio, perché ora non lo ordini e non lo impieghi come vorresti aver fatto in punto di morte?».
Questa domanda retorica di san Giovanni della Croce costituisce la premessa della vita spirituale, cioè di ogni vita vissuta sub specie aeternitatis, e fonda la utilità di ogni testimonianza, di ogni scritto e, quindi, di ogni pratica, che aiutino a dare a tale quesito una risposta almeno teoricamente e intenzionalmente adeguata. E subito si presenta il problema di legarsi a Dio e, nella misura del possibile, di non perdere mai il contatto con Lui, rispettando costantemente e per amore la sua legge; e, allo scopo, testimonianze di santità e scritti spirituali propongono pratiche che si aprono a ventaglio, secondo i caratteri, le professioni e le attività, comunque nella prospettiva della universale vocazione alla beatitudine e alla salvezza.
In questo quadro ben determinato si colloca una densa operetta – espressione di generica direzione spirituale dovuta a padre Rodolphe Plus, un fecondo autore gesuita del nostro secolo, nato in Francia nel 1882 e ivi morto nel 1958 – che, dopo avere avuto già ben otto edizioni nel nostro paese, è ora nuovamente tradotta in italiano da alunni del seminario Santi Ambrogio e Carlo, di Massa, con il titolo Come pregare sempre. Princìpi e pratica dell’unione con Dio.
Lo scritto – presentato da monsignore Aldo Forzoni, vescovo di Apuania – contiene, anzitutto, una illustrazione estremamente chiara dei suoi «princìpi», che consistono nella constatazione secondo cui «pensare sempre a Dio è impossibile» (pp. 11-17); quindi, nelle tesi secondo cui «pensare sempre a Dio non è necessario» (pp. 18-27), ma «pensare spesso a Dio è utilissimo» (pp. 28-33).
Padre Plus passa, poi, a presentare modi adeguati per «fare bene la propria preghiera», preparando la propria orazione ed essendo attivi e perseveranti in essa (pp. 37-52); suggerisce, dopo, di «trasformare tutto in preghiera», attraverso la purezza della intenzione e la ricerca della perfezione dei nostri atti (pp. 53-59); e, infine, propone di «seminare in tutto un po’ di preghiera», con la pratica delle giaculatorie e l’esercizio della presenza di Dio (pp. 69-79).
Semplicità di esposizione, evidenza di tesi ed efficacia di argomentazione fanno della operetta uno strumento particolarmente utile – e di una utilità non soltanto occasionale – per quanti non si pongono semplicemente il grande problema di trovare l’equilibrio tra la contemplazione e l’azione, tra la vita contemplativa e quella attiva, ma sono alla ricerca di una soluzione di esso, che non sia puramente dottrinale ma anche pratica, «tecnica».
È inoltre di straordinaria puntualità fare notare come la soluzione teorica e pratica di questo problema costituisca il presupposto per ricomporre nella vita del singolo e, poi, in quella della società, la unità tra fede e vita, orientando a vivere una vita che si possa dire spirituale anche in senso lato e non soltanto specifico, ma assolutamente non «spiritualistica» e disincarnata. A questo proposito trascrivo una massima di un celeberrimo predicatore barnabita del Settecento, padre Carlo Giuseppe Quadrupani secondo cui «agire per Dio è meglio che pensare a Dio»; e si tratta di massima che padre Plus fa propria, da fedele discepolo di sant’Ignazio di Loyola, definito appunto, da chi trattò con lui familiarmente e da vicino, come «in actione contemplativus», nell’azione contemplativo.
Giovanni Cantoni