Tavola rotonda condotta da Marco Respinti (con Igor Argamante, Alfredo Mantovano, Giovanni Codevilla, Ugo Finetti, Mario Mauro)
intervento di Mario Mauro
Grazie di cuore per l’invito.
Rispondendo alla sollecitazione di Marco Respinti, io mi pongo un interrogativo molto semplice, che estendo a tutti voi e al quale vorrei dare risposta non solo facendo delle riflessioni, ma anche raccontando dei momenti di quella che non è storia patria o storia delle nazioni, ma più semplicemente la mia avventura personale.
Sarò molto sincero: il 9 novembre 1989 è un’icona attraverso la quale noi pensiamo si possa essere messo fine alla storia delle ideologie del Novecento.
In realtà la domanda che ci dobbiamo porre è esattamente questa: cosa rimane di quell’ideologia all’indomani del 9 novembre 1989 in Europa, in Italia e nella Chiesa?
Parlerò evidentemente con sufficiente cognizione di causa delle vicende europee, con appassionata sofferenza delle vicende italiane e con un’ulteriore attribuzione di competenza, per il solo fatto che sono stato battezzato 11 ore dopo che sono nato, dell’ideologia nella vita della Chiesa.
Parto da una prima riflessione: che cosa è l’ideologia? E’ un approccio alla realtà che è monco, perché non tiene conto di tutti i fattori della realtà.
Per descrivere l’ideologia ho avuto modo di approfondire e privilegiare ipotesi considerevoli da un punto di vista della riflessione intellettuale. Ma mi è sempre stato più calzante un esempio che ho imparato da ragazzo ascoltando le riflessioni di un bravo sacerdote che mi diceva: l’ideologia è come qualcosa che avviene quando si stabilisce un rapporto tra un uomo e una donna; l’uomo è assolutamente innamorato della donna ma è innamorato e ama non quella donna ma l’idea che di quella donna si è fatto. Allora quando nel rapporto non può ottenere in termini di corrispondenza ciò che ha in mente, semplicemente cerca di piegare quella donna a ciò che ha in mente e per ciò stesso la distrugge.
Ebbene, è forse un’esperienza molto diversa da quella tentata per esempio da Lenin e Stalin quando nel 1917 prendono il potere in Russia, vogliono una società a disposizione degli operai, ma con un piccolo particolare: che nel 1917 gli operai in Russia non ci sono. Prendono allora 20 milioni di contadini piccoli proprietari e li uccidono perché non corrispondono al loro progetto di potere. E quando Hitler scrive Mein Kampf, scrive che l’uomo è degno di ogni considerazione, ma nelle pagine successive sollecita l’idea che gli ebrei non siano uomini e ne trae le debite conseguenze.
E quando Pol Pot lascia gli studi alla Sorbona decide di uccidere tutti quelli che in Cambogia hanno gli occhiali, perché se hanno gli occhiali vuol dire che hanno studiato e se hanno studiato possono essere stati contaminati da un contenuto diverso dalla cultura marxista.
L’ideologia dunque è un approccio alla realtà che si priva del godimento, del piacere della realtà stessa.
Che cosa succede il 9 novembre 1989? E’ veramente finita l’ideologia?
Io voglio indicare alcuni fattori che ci dicono in modo superlativo che le ideologie non sono morte, che si sono fortemente trasformate ma che in qualche modo hanno lasciato intatto il loro metodo.
E quale è il metodo? Se fascismi, nazismi e comunismi sono stati quel vento violento che nel Novecento ha riproposto il popolo come ostaggio dell’ideologia, vale a dire tutto veniva fatto in nome del popolo, noi ne abbiamo vista fiorire recentemente e con ancora più forza straordinaria un’altra, che addirittura ha preso in ostaggio il nome di Dio.
Perché è evidente che nel fondamentalismo di matrice islamista prendere Dio come ostaggio per un progetto di potere è ancora una volta un’ideologia, cioè un modo per riassicurare ad una generazione la possibilità di trovare un ombrello che copre la fatica di dover misurare le proprie opinioni, i propri concetti e il proprio tentativo di essere uomo, mettendogli in dote qualcosa che può invece essere usato per l’abiura della ragione.
Eppure è avvenuto un qualcosa di molto particolare nella notte del 9 novembre 1989. Che tornando a scenari più consueti ci può far riflettere.
C’erano una volta i partiti comunisti, ad Est come ad Ovest. In quella notte, come per incanto, tutti i partiti comunisti diventano socialisti.
E diventando tutti socialisti, diventano anche, attenzione, europeisti. L’Europa aveva un avversario fino al giorno prima, perché Europa voleva dire Occidente, Patto Atlantico, possibilità di costruzione di quello spazio di libertà che si contrapponeva non solo al Muro ma anche alla mitica Cortina di ferro. Diventando europeisti, nasce un prodotto che si è sempre più arricchito con il passare degli anni fino all’ultima più recente ideologia della quale mi soffermerò a parlare tra poco. Diventano europeisti non perché vogliono l’Unione Europea ma l’Unione delle Repubbliche socialiste europee. E da quel prodotto non siamo poi così tanto lontani.
Nella trasformazione delle ideologie avviene che, dato il metodo che mira comunque all’egemonia, non c’è più il contenuto del marxismo e del leninismo come scopo ultimo della costruzione; semplicemente riassicurando la forza e la violenza del metodo, si cambia il contenuto e oggi quel contenuto è il nulla. E’ il nulla del politicamente corretto ed è il nulla di un vero nichilismo politico che ha avuto la forza di sradicare quello che era l’intento originario di progetto europeo.
Questo è il contenuto vero sul quale ci si misura oggi nel costruire l’Europa e questo è il rischio più grave al quale siamo esposti nel costruire l’Europa.
Il problema cioè non è quanto e quali poteri saranno assicurati a quel progetto dal Trattato di Lisbona, ma se il contenuto politico di quella che è l’evoluzione del progetto politico che chiamiamo Europa unita non sarà alla fine un contenuto del nulla.
Il contenuto del nulla non è necessariamente un contenuto stupido, non è cioè un contenuto privo di ragione. Ma sono appunto le ragioni del nulla.
E queste ragioni del nulla quanta forza hanno?
Le ideologie somigliano molto alle teologie. E allora non dobbiamo dimenticare che se esiste un’ideologia-teologia che si chiama fondamentalismo islamista, esiste una ideologia-teologia che si chiama relativismo. Che si chiama cioè presa di distanza dalla realtà che viene fatta nel modo più curioso. Non dimenticare un pezzo della realtà, ma addirittura dimenticarne il senso. Negarne il senso. Perché nel momento in cui io affermo che non c’è nessuna verità, io pongo in essere dei criteri di selezione politica che sono pericolosissimi. Primo tra tutti dico con molta chiarezza che chi pensa che si possa riconoscere la verità e seguirla è per ciò stesso un fattore divisivo. E’ per ciò stesso un fatto che può sradicare il buon senso dalla realtà e per ciò stesso una persona pericolosa.
Le vicende più recenti e anche certe recenti sentenze vanno forse lette in questo senso, perché tolto Dio è vero che vale tutto ed è vero che nel momento in cui togliamo questa opportunità togliamo la possibilità per ognuno di noi di compiere la propria esperienza dell’umano.
Questo è il cuore vero della sfida europea.
E questo è il cuore vero del 9 novembre 1989. Non a caso l’ariete polacco che quel Muro aveva sfondato, l’aveva fatto in nome e per conto di un’esperienza dell’umano che non deve mai essere da noi dimenticata, la libertà religiosa. Quella libertà che non è una libertà come le altre, ma che è quella originale e fondante libertà che è cartina al tornasole della presenza di tutte le altre.
Quando questo si riflette nel dibattito politico sullo scenario europeo, anzi sullo scenario globale, l’affermazione stessa di un principio che voglia riconoscere come presente, fattiva e attiva l’esperienza del senso, è vista come un pericolo.
E contro questo si scatena quello che è il pregiudizio che per molti anni dopo la caduta del Muro di Berlino ha fatto da humus, da terreno sottostante a quella che era una nuova costruzione del potere, che non avveniva più nel nome del marxismo ma che avveniva con il metodo del marxismo.
Questo è, credo, il pericolo più grande che corre l’Europa. Però è giusto anche che io vi metta a parte di una piccola esperienza. Nel 1981 cominciava il dramma polacco che era sancito dal tentativo vigoroso di Solidarnosc di riaffermare un percorso di libertà per le genti dell’Est. Come molto giovani irruenti, e facendo come al solito tanti errori, io ho preso una 1100 FIAT e con altri tre giovani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ho cercato di raggiungere Danzica. Appena passato il posto di polizia che dalla Germania Est conduce verso Lecnza, fermati dalla polizia polacca e trovati in possesso di un contenuto pericolosissimo, alcune Bibbie, siamo stati arrestati. E io sono stato trattenuto nel posto di polizia di Leczna per ben tre giorni fino a quando l’ambasciatore italiano è venuto a tirarmi fuori e dandomi del cretino mi ha rimandato a casa.
Sono tornato in quel Paese, come è normale, diverse volte negli anni successivi, e soprattutto ci sono tornato nel 1999, esattamente a metà delle due date che campeggiano alle mie spalle. Nel 1999 ci torno, una volta si diceva, “con tutti gli onori”, da parlamentare europeo, incaricato di aprire il processo di adesione della Polonia libera all’Unione europea. Sono tornato per amore di nostalgia a Leczna e al posto di polizia di Leczna mi hanno arrestato di nuovo. E mi hanno arrestato nonostante fossi in possesso dei necessari lasciapassare, semplicemente perché in quel momento nella storia della Polonia libera non si era ancora provveduto a buttare nel macero il vecchio archivio ed io risultavo ancora essere un nemico dello Stato.
Nella notte (non c’è stato infatti bisogno di attendere tre giorni) il ministro degli esteri polacco di allora, comprendendo l’enormità della gaffe, e temendo per il pacchetto di milioni di euro che erano stati disposti per quel paese, mi ha raggiunto mettendomi in sicurezza e portandomi all’Hilton.
Io ho un ricordo assolutamente bello di quella giornata perché mi sono reso conto che gli oscuri documenti imperscrutabili e burocratici dell’Unione europea qualche effetto lo producevano: infatti perché quel paese potesse aderire all’Unione era necessario che adempisse i doveri contenuti nel cosiddetto acquis comunitario ed unificasse il proprio sistema di giustizia in modo tale da rendere possibili gli ideali, i principi dell’habeas corpus che sono caratteristiche delle democrazie occidentali.
Oggi so per certo che se dovessimo immaginare un nuovo esame per l’ingresso dell’Unione europea e partecipazione all’acquis comunitario, l’Italia non supererebbe quel passaggio che concerne i diritti e doveri di giustizia. Oggi, e non nel 1989 e neanche vent’anni prima di allora, oggi non ci sono in questo paese le garanzie sufficienti perché noi possiamo dirci a pieno titolo un mattone che compone l’Europa dei 27. E questo lo dico con profonda amarezza.
Lo dico perché in tutte le sedi, questa volta sì anche di giurisdizione dell’Unione europea, ripetutamente il nostro Paese è stato per l’appunto condannato per la lunghezza e per la lentezza del processo. Ma lo è di più in considerazione di una riflessione che ci fa capire il contenuto riflesso di quella sfida del 9 novembre 1989, non solo in Europa ma anche nel nostro Paese.
Nel nostro Paese cioè la forma di sopravvivenza dell’ideologia ha preso la forma di uno scontro tra poteri ed ordini dello Stato stesso. Perché in qualche modo si è reso possibile che dietro questa traccia di natura ideologica si cercasse di legare o di sciogliere i nodi della politica italiana.
Questo onestamente è un errore gravissimo che il nostro Paese sta pagando e che è destinato a pagare ancora a lungo se non ci sarà il recupero di quell’esperienza dell’umano a cui facevo cenno all’inizio del mio dire.
E lo dico non tanto e non solo perché questo passa attraverso la vicenda dello scontro tra alcuni particolari partiti politici. Passa attraverso la vicenda di un uomo di potere così celebrato come l’attuale Presidente del Consiglio. Però onestamente, cari amici, non possiamo non continuare ad interrogarci su un’esperienza molto semplice: un signore arriva a 65 anni consolidando la propria fortuna e diventando uno degli uomini più ricchi del pianeta sostanzialmente senza neanche una multa per divieto di sosta. Ma che cosa succede quando quello stesso uomo, candidandosi alla Presidenza del consiglio del proprio paese, cumula invece negli anni successivi a quella candidatura 109 processi, 2471 udienze, 230 milioni di euro di parcelle di avvocati?
Ed è vero che se può accettare quella sfida è perché ha molto potere e molti soldi. Ma questo fatto ci fa percepire come il peso dell’ideologia insista nella vicenda storica del nostro Paese oltremodo in questa circostanza storica. E allora, amici miei, io non so se sia il caso di dire come diceva Kennedy “Ich bin ein Berliner”, o se sia il caso di dire da parte di qualcuno di noi “Ich bin ein Berlusconer”. Però quello che vi posso assicurare per certo è che quella affermazione voleva dire una cosa semplice e grande: che sto dalla parte di chi è oggetto della violenza dell’ideologia, e la più grande violenza dell’ideologia è la menzogna.
Per quanto mi riguarda, io continuo a stare da quella parte. Ma l’ultimo fatale passaggio lo faccio in riferimento invece al vento dell’ideologia dentro la vita della Chiesa. Questo è il tema più delicato. Ma è forse il tema più significativo di tutto il percorso di riconsiderazione di quello che è stata l’esperienza del confronto tra l’umanità dell’uomo, tra l’essere uomo dell’uomo e appunto la furia devastante dell’ideologia.
Questo scontro titanico non è cominciato neanche con il Novecento: è la Rivoluzione Francese che partorisce quella particolare scansione del metodo della politica per cui il potere è tutto e l’uomo non è niente.
E lo partorisce per una ragione ben precisa: che a differenza di quei poteri che si manifestano nella storia fino a quel momento e che sono poteri della totalità assoluta del capo (di volta in volta sia esso il faraone, l’imperatore, il sovrano assoluto), dopo la Rivoluzione Francese la caratterizzazione, il sigillo dell’ideologia assicura nella sua dimensione giacobina dell’interpretazione dell’illuminismo una nuova dimensione. Vale a dire “Fai idea quello che prima era solo l’arbitrio del più forte”.
E facendolo idea lo eleva a supremo del sistema in modo tale che l’esperienza dell’umanità della singola persona venga annichilito. Se volessimo rileggere in termini manzoniani questa vicenda, l’ideologia impedisce la vicenda degli umili, impedisce cioè la storia personale di ognuno, perché solo la storia della grande rivoluzione conta e quindi il posto che nella grande rivoluzione ad ognuno è assicurato.
Dopo quella accezione, che è così caratteristica della Rivoluzione Francese, che cosa accade: che questa dimensione ideologica, per la quale il potere è tutto e l’uomo non è niente, si trasferisce anche nell’assolutismo e nella prepotenza di certi stati liberali della fine dell’Ottocento perché si individuano dei luoghi chiari dove si gioca la sfida del confronto tra l’uomo e l’ideologia: l’istruzione, la formazione, l’assistenza, la sanità.
Perché sia chiaro che se io controllo sanità e assistenza controllo il bisogno e quindi il presente di una generazione. E se io controllo l’istruzione e la formazione, di quella generazione controllo il futuro.
Comincia con lo scontro che ha portato alla sottrazione alle Chiese di tutta quella responsabilità che portavano alla società attraverso strumenti di carità e di formazione, attraverso le quali garantivano appunto il destino di una generazione.
Quanto è continuato con le grandi ideologie totalitarie del novecento. Questo continua anche oggi quando si sostiene un pluralismo che invece che valorizzare le diverse identità funziona invece come un apparato vuoto nel quale vengono tenuti come cetriolini senza sugo (la definizione non è mia ma di Bernanos, ne “I grandi cimiteri sotto la luna”) tutti quelli che fanno parte della società.
E allora questa pretesa astratta del pluralismo di cancellare le identità e di cancellare le esperienze è forse il più grande problema che la nostra storia recente abbia vissuto.
Baluardo contro questa lettura della vicenda dell’umano sono stati sicuramente alcuni grandi uomini di Chiesa: penso a Dietrich Bonhoeffer, un protestante nella sua lunga e disperante reclusione all’interno del Lager. Penso ai tanti cattolici e ai Pontefici cattolici che hanno magistralmente diretto le chances dell’umano durante tutto il Novecento.
Ma penso anche alle ideologie presenti nella vita della Chiesa: pensiamo a tutta la stagione conciliare accompagnata gravemente da un vento ideologico che chiamavamo allora Teologia della liberazione e che faceva da ancella al marxismo. E penso ancora oggi a quel continuo attendere e ricostituire forze e furie ideologiche sotto la nuova teologia socialista di Chavez nel Venezuela, che è dimentica del valore dell’esperienza di Cristo per attribuirsi essere Cristo lui stesso.
E allora quel 9 novembre 1989 è sì il giorno in cui il Muro è crollato, ma questo non dice nulla del paesaggio che ci si è aperto davanti agli occhi quando quel Muro è venuto giù. Il paesaggio che ci è apparso davanti agli occhi quel 9 novembre 1989 oggi lo conosciamo: era il paesaggio di un’Europa disastrata che stava ad Est di quel Muro e dove erano stati dilaniati, in qualche modo feriti quasi a morte la valenza e il valore dell’uomo stesso.
Ma oggi quello scenario si è ulteriormente allargato. E’ tutto il mondo che è alla mercé di questo progetto egemonico che è fatto, come ripeto, di queste nuove ideologie. E che di fronte a relativismi e fondamentalismi altro non chiede che noi teniamo alta la nostra voce per dire in modo semplice e chiaro che l’uomo ci prende più di ogni altra cosa. Che la verità vera è quella che è insita nella natura dell’uomo e che il compito che la politica ha è che, concependo le istituzioni come il frutto di un patto di libertà, sappia spendersi per l’ultimo degli uomini.
Perché infatti, se noi non sappiamo riconoscere il compito che la natura pone, difficilmente potremo conseguire il nostro obiettivo. Mi spiego con l’ultimo esempio: questo è un bicchiere, serve per bere, serve per contenere un liquido, questo è lo scopo di questo oggetto. Possiamo fare una grande discussione, ma l’evidenza ci impone questa constatazione. Ma se invece che usarlo per bere lo fracasso sulla testa del malcapitato Ugo Finetti, oltre a fargli male, nego lo scopo di questo oggetto. Facile fino a che parliamo di un bicchiere. Ma un uomo che cosa è? Che cosa serve un uomo? Che cosa è che lo caratterizza peculiarmente? La libertà? Certo. La spiritualità? Sicuramente. Allora ve lo richiedo: come deve essere organizzato un sistema educativo per realizzare fino in fondo libertà e spiritualità dell’uomo? Come deve essere organizzato un sistema sanitario per realizzare fino in fondo la libertà e la spiritualità dell’uomo?
Per dargli cioè la dignità della vita e la dignità della morte. Come deve essere organizzato fino in fondo un sistema di produzione, un sistema pensionistico, un sistema della difesa, perché l’uomo sia fino in fondo rispettato. Questa è la grande sfida della politica dal 1989. Questa è la grande sfida per ognuno di noi, penso, dal primo giorno in cui siamo venuti al mondo.
Grazie.