La pratica consistente nel recitare cinque salmi le cui lettere iniziali corrispondono alle cinque di cui si compone il Nome di Maria M, Magnificat (Luc. 46-55); A, Ad Dominum cum tribularer clamavi (Sal. 119); R, Retribue servo tuo (Sal. 118, 17-32); I, In convertendo (Sal. 125) e A, Ad te levavi animam meam (Sal. 122) è già conosciuta nel secolo XII; per esempio, era carissima al beato benedettino Ioscio, monaco di Saint-Bertin, in Francia, gran devoto della Vergine, la cui morte, avvenuta nel 1163, è accompagnata da un miracolo: dalla sua testa escono cinque lettere doro a formare appunto il Nome di Maria. La pratica raggiunge la massima diffusione e popolarità dopo che, nel 1683, Papa Innocenzo XI (1676-1689) rende universale per tutta la Chiesa la festa del Nome di Maria, a ricordo della vittoria riportata a Vienna sui turchi dalle truppe cristiane guidate dal re polacco Giovanni III Sobieski (1624-1696). La recita dei cinque salmi, con le antifone che li uniscono, fu indulgenziata da Papa Pio VII (1800-1823), ma le indulgenze specifiche sono decadute con la normativa introdotta in base alla Costituzione Apostolica Indulgentiarum doctrina, del 1° gennaio 1967. A testimonianza del valore attribuito allinvocazione del Nome di Maria Dante Alighieri (1265-1321) mette in bocca a Buonconte di Montefeltro, trovato inaspettatamente in Purgatorio, queste parole, che danno la ragione della sua salvezza:
Quivi perdei la vista, e la parola
Nel nome di Maria finii, e quivi
Caddi
(La Divina Commedia. Purgatorio V, 100-102).
(cfr. Emilio Campana, Maria nel culto cattolico, vol. I, Il culto di Maria in sé e nelle sue manifestazioni liturgiche, Marietti, Torino-Roma 1933, pp. 240-241; e Rambaut Van Doren, voce Ioscio, in Bibliotheca sanctorum, Città Nuova, Roma 1966, vol. VII, col. 859).