Giovanni Cantoni, Cristianità n. 121 (1985)
In margine al convegno ecclesiale e all’intervento pontificio
Cattolici in Italia dopo Loreto
Al centro di Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini le inequivoche indicazioni del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II per seriamente tentare di iscrivere la verità cattolica sull’uomo nella realtà storica della nazione italiana da parte della Chiesa e di quanto rimane della un tempo fiorente cristianità della penisola.
Dal 9 al 13 aprile 1985 si è tenuto a Loreto il secondo convegno della Chiesa italiana su Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini. Tutto si è svolto, sia quanto alle forme che quanto ai contenuti, come qualche cosa di dejà vu, dal momento che detto convegno è stato a tale punto oggetto della attenzione del mondo cattolico e di quello non cattolico da sembrare – quando finalmente è venuta la sua ora ufficiale – che già fosse stato e che il suo svolgimento storico fosse un semplice replay.
In questo trionfo del prevedibile e dell’ovvio – o, almeno,å di quanto è divenuto tale dopo mesi di dibattiti, di dichiarazioni, di contributi e di confronti – fa spicco oggettivo l’intervento del Sommo Pontefice, l’11 aprile 1985, e soprattutto quanto Giovanni Paolo II ha espresso nel discorso ai partecipanti al convegno stesso e nella omelia alla messa concelebrata sul sagrato del santuario che racchiude la Santa Casa di Nazareth (1).
Dalla omelia – commento a quanto narrato nel capitolo terzo degli Atti degli Apostoli circa il convegno «riconciliazione e comunità di Israele» dopo la passione, la morte e la risurrezione del Signore Gesù (2) – si ricava, per analogia esplicitamente suggerita, un giudizio di straordinaria gravità sulla Chiesa e sulla cristianità italiane, la cui necessità di essere fortemente richiamate è paragonata a quella in cui versava Israele dopo il deicidio. E se tutta la Chiesa è «nuovo Israele» secondo lo Spirito, la vocazione della nazione italiana non è piccola all’interno di questo «nuovo Israele» e ne aumenta la responsabilità, come il mondo intero confessa.
Questo giudizio pesante trae spunto dallo stato di fatto, dagli elementi negativi inseminati nel corpo sociale e nella sua organizzazione, ma non si limita a un drammatico inventario e invita a identificare i caratteri e i ritmi del processo di scristianizzazione a cui la nazione è stata ed è sottoposta, cogliendo il fattore principale – anche se non unico – che ne ha permesso lo svolgersi con la collaborazione delle sue stesse vittime, e a esso ponendo riparo per una indispensabile anche se faticosa rimonta.
Nell’intervento pontificio si dà per tragicamente scontato l’operare nella storia – e, quindi, anche nella storia della nazione italiana – di una «comunione di peccato», che si esprime secondo una «legge della discesa», e ci si concentra sulle ragioni che hanno permesso la realizzazione di tale «legge» da parte di tale «comunione» (3). Una ragione sembra sia identificabile, anzitutto, nella scarsa attenzione prestata a tale «loico» (4) processo e alla sua intrinseca «loicità»; in secondo luogo, quindi, nell’avere convissuto con germi morbosi in una situazione malsana senza il sufficiente e indispensabile spirito critico, con conseguente svigorimento dei buoni, dottrinale prima e operativo poi.
Il messaggio pontificio di Loreto acquista, così, i caratteri di una lezione certamente situata, ma che si eleva all’altezza di una grande presa di posizione dottrinale. E, appunto in quanto presa di posizione dottrinale, essa va a fare pendant con la Istruzione su alcuni aspetti della «teologia della liberazione» «Libertatis nuntius» (5). Infatti, anche da questo documento ugualmente e inequivocabilmente locato, emerge un richiamo dottrinale rilevantissimo. La dottrina cattolica relativa al rapporto Chiesa-mondo – considerando quest’ultimo nella sua accezione di comunità degli uomini (6) – e, quindi, la corretta messa a fuoco della relazione fede-politica, prevede una distinzione gerarchica dei due elementi, nel quadro di una unione che rimanda all’unico Dio creatore, redentore e santificatore (7). Il documento pontificio emesso tramite la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede identifica e condanna una prospettiva erronea a doppio titolo: anzitutto, perché produce confusione tra fede e politica, con una conseguente «divinizzazione» della stessa prassi politica; in secondo luogo, perché nasce da un rapporto erroneo della fede con una politica erronea, in quanto espressione di una filosofia che si vuole non più classicamente contemplativa del reale (8), ma trasformatrice della sua natura, fallita da Dio (9). Dal canto suo, l’intervento di Loreto condanna con forza ogni prospettiva che immagini separazione radicale tra fede e politica, con una riduzione del residuo rapporto al foro interno e con una soggettivizzazione degli elementi gerarchici della relazione sopravvivente.
In altri termini, credo si possa affermare che la tendenza condannata dalla istruzione Libertatis nuntius si caratterizza per un almeno apparente «eccesso di religione», è cioè pseudopia, mentre l’atteggiamento dottrinale e pratico denunciato nel discorso e nella omelia di Loreto si connota per un «difetto di religione», è cioè tendenzialmente empio.
In altre parole, ancora, la tendenza rilevata nella «teologia della liberazione» è riproposizione di eresia pauperistica tardo-medioevale – con gli aggiornamenti «tecnici» del caso -, mentre quella presente nella situazione della Chiesa e della cristianità italiane – e, forse, europee in genere – è riaffermazione di cattolicesimo liberale, quando non di liberalismo cattolico, cioè sostanziale protestantizzazione del mondo cattolico, e del cattolicesimo vissuto, per via politica, cioè attraverso la sua riduzione a momento soggettivo, senza rilevanza pubblica non soltanto attuale – il che può essere ed è tragicamente reale -, ma anche principiale e potenziale – il che, afferma senza mezzi termini il Sommo Pontefice, è erroneo, dal momento che vivere in un mondo «liberale» non deve significare, per un cattolico, diventare «liberale», così come essere in concorrenza con chi nega assolutamente ogni trascendenza non deve provocare la immanentizzazione della fede e, quindi, produrre la deturpazione della incarnazione.
La sostanza del pronunciamento pontificio è stata adeguatamente colta da Alberto Asor Rosa, il quale ha esplicitamente paventato la ipotesi che in un futuro non lontano la nazione italiana «come entità culturale […] storicamente definita» venga – dall’ossequio alle indicazioni papali – messa nelle condizioni non solo di «fare a meno […] di una Democrazia cristiana al governo», di cui può «benissimo fare a meno», ma «di una presenza cattolico-liberale nel paese, nella società, nella cultura e nella Chiesa», cosa di cui – secondo lo studioso di scuola marxistica – «potremmo fare a meno assai più drammaticamente». Infatti, «il pericolo che si profila è che magari continueremo ad avere la Democrazia cristiana, senza più il cattolicesimo liberale»; e «questo sarebbe un passo indietro non di vent’anni, come sostiene il senatore Spadolini, ma di almeno due secoli» (10). Fatti rapidamente i calcoli, si arriva al 1785, cioè a prima del 1789, e si comincia a ragionare; se non che, lo stesso Alberto Asor Rosa ha poco prima detto del Sommo Pontefice che «è Controriforma pura (e, forse, anche qualcosa di più lontano)», e il quadro migliora del tutto: infatti, in questo «più lontano» – «lontano da dove» (11), se non dall’errore? – «è la legge, il canone, la gerarchia», cioè il giusto punto di partenza per ricominciare il cammino della civiltà cristiana interrotto in secoli passati.
La verità intuita dallo studioso socialcomunista – anche se espressa nel linguaggio immanentistico del riferimento politico e nel gergo marxistico del rimando partitico, quando il referente corretto sarebbe stata non la Democrazia Cristiana, ma il movimento cattolico – è colta anche da don Gianni Baget Bozzo, che nota come, dopo Loreto, «la Chiesa italiana deve ora situarsi non solo con il papa e sotto il papa ma anche di fronte al papa: non può evitarlo, per quanto scarse siano le sue abitudini e le sue attitudini a reggere un conflitto con Roma» (12). L’incitamento, dunque, è allo scontro. Ma se tale scontro non dovesse verificarsi o perché non comunque necessario, dal momento che sostenere il contrario significherebbe negare che esistano vescovi già «con il papa»; o per conversione e ubbidienza alle indicazioni pontificie, cioè «sotto il papa», oppure per semplice «scarsità» di «abitudini» e di «attitudini a reggere un conflitto con Roma», «nella Chiesa dei conflitti, i laici e i teologi hanno uno spazio diverso che debbono saper cogliere, e in questo hanno maggiori possibilità che non i vescovi». Questa volta l’incitamento è alla guerriglia ideologica – aperta oppure clandestina -, come quella praticata negli ultimi due secoli di vita ecclesiastica e sociale prima dai giansenisti, poi dai modernisti, quindi dai seguaci della nouvelle théologie e, oggi e finalmente, dai progressisti.
In aiuto degli oppositori interni alle inequivoche e vincolanti indicazioni pontificie – siano essi tanto altolocati che di basso rango – il «cappellano» della sinistra italica chiama i politici, denunciando la Chiesa come fonte di turbamento sociale: «La politica italiana deve aggiornare i criteri con cui guarda la Chiesa. La Chiesa è oggi in stato di mutazione, non è più sorgente di pace ma di conflitti. Questo è sicuramente preoccupante, ma ha anche dei lati positivi che la politica italiana dovrebbe saper apprezzare». Dietro le righe – ma non troppo! – si ripropone il «tipo» della persecuzione o, almeno, quello della «persecuzione pro bono Ecclesiae», ben noto alla storia della Chiesa e della Cristianità a partire dall’editto di Milano.
Dunque, i termini sono chiari: per sanare la nobile nazione cattolica italiana, con vantaggio anche di quanti guardano a essa nel mondo intero, urge la proclamazione pubblica della verità nella politica e politica, e tale proclamazione non sarà senza ostacoli, né all’interno del corpo ecclesiale, né all’esterno di esso. Ma il richiamo pontificio è già una grazia enorme da non rifiutare e della quale, anzi, essere riconoscenti a Colei che è mediatrice di tutte le grazie.
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Cfr. i principali documenti del convegno ecclesiale in il regno-documenti, anno XXX, n. 528, 1-5-1985, pp. 282-319; e tutto quanto detto dal Sommo Pontefice a Loreto in GIOVANNI PAOLO II, Per iscrivere la verità cristiana sull’uomo nella realtà della nazione italiana. Discorso, «Regina Coeli», omelia e saluto pronunciati a Loreto l’11 aprile 1985 in occasione del secondo convegno ecclesiale della Chiesa italiana su «Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini» (9-13 aprile 1985), Cristianità, Piacenza 1985, pp. 36.
(2) Cfr. At. 3, 11-26,
(3) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, del 2-12-1984, n. 16. I concetti di «comunione di peccato», di «legge della discesa», di «comunione dei santi», di «legge dell’ascesa» e di «riconciliazione» rimandano con evidenza alle categorie di «Rivoluzione», di «processo rivoluzionario», di «Contro-Rivoluzione», di «processo contro-rivoluzionario» e di «restaurazione dell’Ordine»: cfr. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, passim, ma soprattutto parti I e II.
(4) DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia. Inferno, canto XXVII, v. 123.
(5) Cfr. SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su alcuni aspetti della «teologia della liberazione» «Libertatis nuntius», del 6-8-1984. Costituisce continuazione di questo documento la Notificazione sul volume «Chiesa: Carisma e Potere. Saggio di ecclesiologia militante» del padre Leonardo Boff o.f.m., dell’11-3-1985. Per una esposizione e un commento del primo documento cfr. VICTORINO RODRÍGUEZ Y RODRÍGUEZ O.P., «Teologia» senza Dio e «liberazione» schiavizzante, in Cristianità, anno XIII, n. 119-120, marzo-aprile 1985; per il testo del secondo cfr. Quaderni di «Cristianità», anno I, n. 1, pp. 71-75, mentre per un commento cfr. DON PIETRO CANTONI, Le opzioni errate e pericolose di padre Leonardo Boff O.F.M., in questo stesso numero di Cristianità.
(6) Cfr. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 2; e la classificazione sviluppata in PAOLO VI, Discorso alla udienza generale, del 5-4-1967, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. V, pp. 725-728.
(7) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso al mondo della cultura a Quito, del 30-1-1985, in L’Osservatore Romano, 1-2-1985. Cfr. anche, in genere, INOS BIFFI, Cultura cristiana. Distinguere nell’unito, Jaca Book, Milano 1983; e, in specie, IDEM, Fede e politica. Impegno sociale del cristiano, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1985, nonché l’editoriale Dalla fede una cultura per la politica, in Quaderni di «Cristianità», cit., pp. 3-4.
(8) Cfr. AUGUSTO DEL NOCE e GIUSEPPE. A RIESTRA, Karl Marx: scritti giovanili. Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Manoscritti del 1844. Tesi su Feuerbach, Japatre, L’Aquila 1975, pp. 87-1162, soprattutto pp. 99-100.
(9) Cfr. ERIC VOEGELIN, Il mito del mondo nuovo. Saggi sui movimenti rivoluzionari del nostro tempo, trad. it., Rusconi, Milano 1970, pp. 25-28 e passim.
(10) ALBERTO ASOR ROSA, Un Papa nella mischia, in la Repubblica, 17-4-1985.
(11) «L’assenza è la parola terribile di questa storiella ebrea: “Vai dunque laggiù? Come sarai lontano!” – “Lontano da dove?”» (ANTOINE DE SAINT-EXUPÉRY, citato in epigrafe in CLAUDIO MAGRIS, Lontano da dove. Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale, Reprints Einaudi, 3ª ed., Torino 1982, p. 11).
(12) GIANNI BAGET BOZZO, Tra Papa e vescovi si apre un conflitto, in la Repubblica, 16-4-1985.