Marco Invernizzi, Cristianità n. 398 (2019)
Il movimento pro-life in Italia
La battaglia intorno ai princìpi fondamentali dell’antropologia umana in Italia comincia nel 1970 con la legge sul divorzio (1). Lo sconcerto che allora investì il mondo cattolico fu palese, anche se molti «profeti», di diverso orientamento dottrinale, avevano annunciato da tempo la fine della cristianità e quindi la conseguente deriva antropocentrica della civiltà europea e della stessa cultura religiosa. La rivoluzione culturale rappresentata dal Sessantotto era in pieno svolgimento e non tutti ne percepivano gli effetti devastanti a breve o a lungo termine: sarebbe bastato frequentare scuole e università, soprattutto durante le ripetute occupazioni da parte degli studenti, per cogliere quanto veniva discusso — o veicolato — nelle assemblee e nei «collettivi» studenteschi e quindi rendersi conto della portata del cambiamento radicale in corso (2). Tutto ciò non toccava certo la maggioranza degli italiani, ma certamente coinvolgeva gran parte degli studenti, quindi sarebbe bastato aspettare che crescessero per verificare come la penetrazione dell’ideologia del relativismo trasgressivo alla lunga avrebbe dato i suoi frutti.
Sono trascorse due generazioni dal 1968 e si può facilmente constatare quanto profondi siano stati gli effetti di quella rivoluzione in interiore hominis. Fra le principali conseguenze e reazioni di fronte alla rivoluzione epocale allora in corso in Italia possiamo certamente annoverare lo tsunami che investì il movimento giovanile di cattolici, a quel tempo un ramo dell’Azione Cattolica Italiana, Gioventù Studentesca (GS) — fondato dal servo di Dio don Luigi Giussani (1922-2005) —, da cui nascerà Comunione e Liberazione (3). Negli stessi anni nasceva anche Alleanza Cattolica, l’associazione laicale il cui fondatore Giovanni Cantoni aveva già «pensato» nel corso degli anni 1960 quale realtà dedita particolarmente all’apostolato culturale contro-rivoluzionario (4).
La reazione di fronte al Sessantotto
Ma quali furono allora gli uomini e le forze che si opposero alla svolta antropologica di cui l’introduzione del divorzio era il primo atto?
Anzitutto va seppur brevemente descritto il contesto storico degli anni 1970. Di fronte al Sessantotto, di cui pochissimi avevano colto la portata, il mondo cattolico rimase profondamente disorientato. Esso, inoltre, subiva la fascinazione del Partito Comunista Italiano (PCI), che spingeva per entrare nell’area di governo e al quale la Democrazia Cristiana (DC), il partito verso cui s’indirizzava la maggioranza dei suffragi degli elettori cattolici, non sapeva opporre altro se non un’inerzia visibilmente rassegnata. Anzi, in alcuni suoi autorevoli esponenti era altresì tangibile la speranza di coinvolgere i comunisti in una sorta di compromesso culturale (5) che li avrebbe dovuti portare collaborare alla guida del Paese, come poi avvenne fra il 1976 e il 1979 con i governi detti «di solidarietà nazionale» (6).
La rivoluzione di tipo culturale sfociata nel Sessantotto non era guidata dai comunisti — che pure l’appoggiarono dopo qualche esitazione iniziale —, ma dal Partito Radicale, una costola del movimento liberale staccatasi negli anni 1960 e rappresentata da uomini che avrebbero avuto un ruolo importante nel processo di scristianizzazione del Paese, come Marco Pannella (1930-2016) e il giornalista Eugenio Scalfari (7). Secondo la scuola di pensiero contro-rivoluzionaria il Sessantotto configurava una ulteriore fase — la quarta — di un processo rivoluzionario che fin dal secolo XV aveva aggredito la civiltà cristiana così come si era realizzata in Occidente (8).
Il referendum sul divorzio
In questo clima politico e culturale, di fronte all’introduzione del divorzio la gerarchia ecclesiastica guardò con estrema prudenza all’unica ipotesi allora possibile di reazione: una raccolta di firme per indire un referendum popolare abrogativo della legge. La DC, che sulla carta avrebbe potuto fermare l’iter del provvedimento accordandosi in Parlamento con il Movimento Sociale Italiano (MSI), era tuttavia restia a impegnarsi in una battaglia referendaria che avrebbe comportato uno scontro anche dottrinale su un principio di diritto naturale con i partiti laicisti e quindi avrebbe riaperto la ferita, mai veramente chiusa, sull’identità dell’Italia moderna.
Si fecero carico di raccogliere le firme necessarie all’indizione del referendum soprattutto gli uomini di quella parte del mondo cattolico dagli orientamenti più conservatori, come Gabrio Lombardi (1913-1994) (9) e Luigi Gedda (1902-2000) (10), che costituirono un apposito comitato. Accanto a loro, dopo essere stati i primi ad avviare l’iter per la richiesta del referendum — accelerando così i tempi —, raccolsero cinquantamila firme anche i militanti di Alleanza Cattolica.
Una parte significativa dei cattolici impegnati, i cosiddetti «cattolici democratici», si schierò invece apertamente per il «no» all’abrogazione della legge: fra di essi figuravano noti e importanti intellettuali, come lo storico romano Pietro Scoppola (1926-2007), il giornalista romano Raniero La Valle, il lucchese padre Arturo Paoli P.F.J. (1912-2015) e l’alessandrino padre Carlo Carretto P.F.J. (1910-1988) — questi ultimi già dirigenti di massimo livello dell’Azione Cattolica. Questi intellettuali si espressero pubblicamente a favore del mantenimento della legge divorzista, mentre fece scalpore il mancato impegno di istituzioni cattoliche importanti, come l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, allora guidata dal venerabile milanese Giuseppe Lazzati (1909-1986), e dell’intera Democrazia Cristiana, con l’eccezione del suo segretario politico, l’on. Amintore Fanfani (1908-1999) (11).
Nel 1974, dopo continui rinvii che favorirono l’attecchimento della propaganda divorzista, si svolse finalmente il referendum, il cui risultato —una netta vittoria del «no» all’abrogazione della legge — dimostrò inequivocabilmente che l’Italia non era più un Paese a maggioranza cristiana.
Il referendum sull’aborto
Dopo soli quattro anni si presentò una nuova sfida per i cattolici e per gli uomini di buona volontà. Questa volta la posta in gioco era il diritto alla vita, riconosciuto ma in realtà violato dalla legge n. 194 del 1978, che autorizzava e «statalizzava» l’aborto procurato. Anche questa volta, dopo molti tentennamenti e paure e dopo l’iniziale deposizione della richiesta di referendum da parte di Alleanza Cattolica, il mondo cattolico «ufficiale» partì con una raccolta di firme per indire due referendum abrogativi della legge 194, uno «massimale», che l’aboliva in toto e che venne «rifiutato» dalla Corte Costituzionale, e uno «minimale», invece ritenuto ammissibile dalla Corte, che manteneva in vigore la sola liceità dell’aborto di tipo terapeutico (12). Anche in questo caso, come in occasione del divorzio, il referendum abrogativo della legge abortista, svoltosi nel 1981, vide la schiacciante vittoria degli abortisti, con solo il 32% dei votanti a favore dell’abrogazione.
Due tendenze
In questa circostanza cominciarono a manifestarsi le due tendenze che avrebbero diviso il mondo pro-life. La prima era riconducibile al moderatismo di principio ed esteso alla sfera dottrinale, che elevava il compromesso a fine e rinunciava a priori a iniziare una battaglia perché avrebbe potuto tradursi in una sconfitta. Nel caso specifico perché presentare insieme due referendum, uno massimale e l’altro minimale, offrendo alla Corte l’assist per dichiarare inammissibile il primo? La seconda tendenza si manifestò anche all’interno di Alleanza Cattolica, quando l’unico referendum ammesso dalla Corte costituzionale fu quello minimale. Allora vi furono alcuni esponenti anti-abortisti che si rifiutarono di combattere la battaglia perché giudicavano immorale sostenere un referendum solo parzialmente abrogativo di una legge considerata intrinsecamente iniqua, anche se così facendo impedivano di attuare l’unico bene possibile in quella circostanza storica (13).
La legge sulla Procreazione Medicalmente Assistita
Una situazione analoga si ripresenterà nel 2004, con l’introduzione della legge n. 40 sulla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), approvata dal Parlamento a maggioranza di centro-destra. In quel caso però la situazione era capovolta: di fronte all’assenza di norme regolatrici della fecondazione assistita, il Parlamento pose dei limiti, anzitutto di età, e vietò la «diagnosi pre-impianto», la «fecondazione eterologa» e, in particolare, il ricorso a tecniche di fecondazione artificiale da parte di coppie composte da soggetti dello stesso sesso: il provvedimento, per la prima — e unica — volta dopo la legge n. 194 parlava altresì esplicitamente di «diritti del concepito» (14). Anche in questa occasione alcuni cattolici di rilievo ritennero di non dovere sostenere il provvedimento. È vero che l’insegnamento della Chiesa e la legge naturale rifiutano qualsiasi modalità di procreazione artificiale, ma la legge n. 40, intervenendo su un vuoto normativo che aveva legittimato le pratiche più distanti dal modello morale naturale, appariva rispondente a quel proposito, previsto dal Magistero, di «[…] offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica» (15)
La legge venne considerata inaccettabile dalle forze politiche favorevoli a una liberalizzazione totale della fecondazione artificiale, che infatti indissero un referendum per abrogarla, che però nel 2005 non raggiunse il quorum di voti sufficiente e quindi la legge n. 40 fu confermata. Iniziò così il tentativo da parte dei suoi detrattori di smantellarla attraverso interventi della magistratura, ben trentotto fino a oggi, a quindici anni dalla sua promulgazione: fra le menomazioni più importanti della legge vi fu, nel 2014, l’abolizione del divieto di fecondazione eterologa (16).
Se la legge n. 40 era soltanto di indirizzo negativo, come sostenevano alcuni cattolici, perché le forze favorevoli alla PMA senza limiti fecero di tutto prima per abrogarla e poi per smantellarla? E perché da parte del mondo cattolico italiano, con rare eccezioni, è mancata la promozione di una campagna culturale, prima ancora che politica, intesa a ribattere a questi attacchi?
Oggi
Qualcosa di analogo accade oggi. Un’ordinanza della Corte Costituzionale del 2018 impone al Parlamento di modificare entro il 24 settembre 2019 l’art. 580 del codice penale nel senso della non punibilità di chi aiuta il suicida a uccidersi: in caso contrario, provvederà direttamente la Corte stessa, di fatto introducendo l’eutanasia nell’ordinamento giuridico italiano — per inciso oggi solo i tre Paesi del Benelux l’ammettono — attraverso una sentenza che depenalizzerebbe tale prassi. Peggio: il suicidio assistito, una volta che l’ordinanza della Corte diventasse anche formalmente, a causa dell’inerzia del Parlamento, una sentenza di illegittimità dell’art. 580 del Codice Penale (c.p.), sarebbe attuabile solo attraverso una procedura medicalizzata, inserita nel Sistema Sanitario Nazionale e nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Si tratterebbe fra l’altro di una palese ingerenza che umilierebbe il potere legislativo, affidato al Parlamento, costringendolo a legiferare addirittura entro limiti temporali decisi dalla Suprema Corte.
I parlamentari hanno risposto alla sollecitazione irrituale della Corte con quattro proposte di legge, una sola delle quali è chiaramente anti-eutanasica. Essa, primo firmatario l’on. Alessandro Pagano, alla cui stesura ha collaborato il Centro Studi Rosario Livatino di Roma, a seguito di una interlocuzione con il gruppo interparlamentare «Vita e famiglia», prevede un’attenuazione delle pene inflitte al familiare che aiutasse il suicida, individuando delle attenuanti in determinate circostanze, per andare incontro alla volontà della Corte e quindi per indurla a non intervenire dopo il 24 settembre. Il reato di aiuto al suicidio rimane in vigore, ancorché con una diversa modulazione delle pene. L’insussistenza del preteso «diritto al suicidio», mantenendolo come reato, viene così ribadito. Inoltre, il percorso avviato dalla Corte costituzionale sarebbe arrestato, perché, anche se non secondo la volontà da essa manifestata nell’ordinanza n. 207 del 2018, la legge cambierebbe sensibilmente l’art. 580 c.p. e, quindi, dovrebbe far dichiarare improcedibile il giudizio costituzionale.
Perché le forze pro-life non dovrebbero sostenere questa proposta di legge? Essa non ha una maggioranza parlamentare certa e faticherà molto a trovarla a causa della composizione del Parlamento attuale uscito dalle urne del 4 marzo 2018. Ma se nulla verrà neppure tentato dalle Camere, se non venisse almeno avviato un iter legislativo, la Corte sarebbe ulteriormente spinta a intervenire.
Due virus: «moderatismo» e «irrealismo»
Accanto al virus del moderatismo a tutti i costi, che ha tanto danneggiato la causa della vita e della famiglia, si è sviluppato fra i cattolici un altro virus, di segno diverso, cui ho accennato in relazione al referendum contro l’aborto. Mentre il primo eleva la mediazione a fine e soprattutto rinuncia alla profezia della verità, il secondo afferma la dottrina prescindendo dalla situazione storica e dalla gradualità dell’azione che essa richiede. In concreto dimentica che, come si è arrivati alla situazione attuale per gradi, pure la lotta contro la rivoluzione nella sfera antropologica — di cui l’istituzionalizzazione del divorzio, dell’aborto e dell’eutanasia sono momenti essenziali —, oggi in atto passa attraverso un processo, ha una propedeutica, che può anche essere molto lenta. La conversione di una società è simile alla conversione di una persona: la cosa più importante, il punto di partenza, è la decisione. Ma mentre il virus «moderato» impedisce che venga presa la decisione, quello «irrealista» — o comunque lo si voglia definire — dimentica l’umanità del soggetto che ha deciso e quindi la gradualità del percorso che esso deve compiere. Nessuno è diventato santo improvvisamente, nemmeno chi è stato oggetto di un intervento diretto di Dio, come san Paolo; tanto meno una società può improvvisamente diventare cristiana. Corrêa de Oliveira ha spiegato il carattere di processo che anche la Contro-Rivoluzione ha (17).
Spesso, entrambe le posizioni sopravvalutano l’importanza della politica, la prima portando mediazioni e compromessi all’infinito, la seconda disprezzandola aprioristicamente in nome di un movimentismo estremo e alla lunga inconcludente.
Per evitare questi due errori Alleanza Cattolica scelse di partecipare comunque nel 1981 alla campagna referendaria contro la legge n. 194, anche se in nome di un referendum abrogativo insoddisfacente. E per lo stesso motivo vide con favore l’approvazione della legge n. 40, pur continuando a sostenere che la fecondazione artificiale non era eticamente giusta ma che occorreva impedire il male maggiore provocato dalla mancata introduzione di limiti significativi alla sua pratica. L’unica obiezione moralmente sostenibile era che la legge avrebbe forse potuto essere migliore, ma questo era il compito dei parlamentari, gli unici che potevano conoscere fino a che punto potesse arrivare il compromesso per trovare una maggioranza adeguata. In sostanza, la legge n. 40 fu non solo un ostacolo posto al processo rivoluzionario, ma anche un passo nella direzione contraria — purtroppo esposta a essere smantellata —, cioè verso una legislazione pienamente coerente con la legge naturale.
Qualcosa del genere è avvenuto in occasione della legge sulle unioni civili, la n. 76 del 2016, la cosiddetta «legge Cirinnà». Allora, in alternativa al ventilato «matrimonio gay», venne proposta la strada di un testo unico di legge per le persone conviventi che ribadisse tutti i diritti individuali già garantiti nella legislazione vigente per chi volesse convivere con una persona dello stesso sesso. Questo testo aveva lo scopo di mostrare la strumentalità della legge sulle unioni civili presentata al pubblico dai suoi fautori e dai media come una necessità per garantire diritti individuali in realtà già garantiti. Così facendo, si sarebbe fatto venire allo scoperto che l’intento della legge era quello di equiparare le unioni fra persone dello stesso sesso al matrimonio naturale. Anche in questa occasione, alcuni cattolici animati dal virus «irrealista» accusarono questa prospettiva reattiva addirittura di tradimento, prescindendo dalla situazione reale, non offrendo alternative e nascondendosi dietro la giustificazione della testimonianza della verità intera, ma di fatto impedendo la realizzazione dell’unico bene possibile in quella determinata situazione, ossia il testo unico.
Una cosa simile si è ripetuta nell’estate 2019 verso la possibilità di una proposta di legge (Pagano) che garantisse il mantenimento del reato di aiuto al suicidio, rimodulando semplicemente le pene previste nella legislazione vigente (18).
Valgono in tal senso le osservazioni contenute in una nota del Centro Studi Rosario Livatino: «1. è molto grave che qualcuno sostenga erroneamente che la pdl Pagano costituisca una depenalizzazione, mentre, al contrario, rappresenta una forte riaffermazione della contrarietà al diritto di tutte le condotte dirette all’aiuto al suicido e a qualunque forma di eutanasia, da chiunque e per qualsiasi motivo compiuti;
«2. la pdl Pagano rimodula la sanzione riguardante l’aiuto al suicidio tenendo conto di circostanze obiettive e tipizzate, circostanze che fanno già parte per la loro intrinseca natura di un diritto penale rispettoso tanto dell’assolutezza dei divieti a tutela della vita, quanto della personalità dei colpevoli e delle condizioni soggettive nelle quali hanno agito;
«3. questa rimodulazione corrisponde al bene che il legislatore prudenzialmente ha il dovere di fare nella situazione concreta. Il buon legislatore non è quello che contempla pene sempre identiche in risposta alla violazione del divieto, bensì quello che adegua la risposta punitiva alla diversità delle situazioni personali, come già fa da sempre — in tema di tutela della vita — con le norme sull’infanticidio o sull’omicidio del consenziente. Esse prevedono una sanzione meno grave rispetto all’omicidio volontario comune: nessuno ne ha mai denunciato la presunta immoralità, semplicemente perché il diritto, come la morale, ferma restando l’efficacia della legge punitiva erga omnes, tiene conto della varietà delle circostanze di fatto;
«4. sostenere che la pdl Pagano costituisca una depenalizzazione significa non soltanto equivocarne colpevolmente il testo, allo scopo di alimentare futili polemiche nel campo di coloro che vogliono il medesimo bene, ma altresì ignorare che l’obiettivo del diritto penale —– il bene comune della società — non si persegue con la severità delle pene minacciate, bensì con la serietà della loro applicazione;
«5. questa rimodulazione non costituisce l’antecedente della depenalizzazione, per il semplice fatto che continua a considerare l’aiuto al suicidio un reato e a legare comunque l’applicazione di una pena, se pure meno pesante, alla condotta, se posta in essere dal familiare convivente in stato di grave turbamento a fronte di una patologia che provoca forti sofferenze;
«6. il presupposto della depenalizzazione dell’aiuto al suicidio è piuttosto la pessima legge n. 219/2017, sulle c.d. disposizioni anticipate di trattamento, che il Centro Studi Rosario Livatino, nei limiti delle proprie forze — talora in solitudine —, ha contrastato in ogni modo con le iniziative più varie prima, durante e dopo la discussione in Parlamento;
«7. non adoperarsi affinché il Parlamento legiferi a favore della vita, in pendenza della minaccia che la Consulta dichiari l’illegittimità dell’art. 580 c.p., significa tenere un comportamento temerario, che focalizza una responsabilità morale per omissione. Infatti significa accettare che la Corte completi il “lavoro”, elimini tout court la seconda parte dell’art. 580 c.p., e quindi di fatto introduca il suicidio medicalizzato nel SSN. Peggio ancora, che lo «costituzionalizzi», visto che la sua sentenza annunciata precluderà qualsiasi eventuale successivo intervento di segno contrario del Legislatore.
«Affermare “la Consulta si assuma le sue responsabilità” significa negare che vi sia ancora il tempo — pur stretto — perché il Parlamento provveda: non seguendo pedissequamente gli inaccettabili passaggi eutanasici dell’ordinanza n. 207, ma fornendo un assetto nuovo e più ragionevole all’art. 580 c.p., che chiuderebbe il giudizio sulla costituzionalità di una disposizione comunque cambiata rispetto al testo sottoposto all’esame della Corte» (19).
Alcune riflessioni conclusive
Alla fine di agosto del 2019, quando scrivo queste righe, non si può sapere come andrà a finire questa nuova sfida alla vita. Tuttavia si possono avanzare delle considerazioni.
Anche in questa occasione, quando si è di fronte all’eutanasia, come nelle precedenti, quando erano in gioco l’indissolubilità del matrimonio, il diritto alla vita del concepito, la dignità del modo di trasmettere la vita oppure l’unicità del modello familiare, una parte importante del popolo italiano ha risposto combattendo la «buona battaglia». Una parte, si noti bene: le sconfitte dei referendum del 1974 e del 1981 non vanno dimenticate e nulla fa presagire che oggi i risultati di un ipotetico nuovo referendum possano essere migliori. La conferma della legge n. 40 nel 2005 non deve illudere, perché frutto di una modalità intelligente di affrontare il problema e non di una convinzione disposta a ogni sacrificio da parte della maggioranza degli italiani. Piuttosto, quella vicenda dall’esito in sostanza felice ci ricorda che neppure il fronte della «cultura della morte» è compatto e numeroso. Oggi la maggioranza degli italiani ha altre preoccupazioni. Anche le tre grandi manifestazioni popolari per la famiglia, la più numerosa e importante reazione popolare verificatisi negli ultimi anni, i Family Day del 2007, del 2015 e del 2016, confermano che esiste un numero significativo di italiani disposto a far dei sacrifici per difendere e costruire un’Italia nuova, che parta dalla famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna: ma pur sempre una parte, sebbene importante (20).
Anche di fronte al pericolo della legalizzazione dell’eutanasia molte associazioni pro-life hanno trovato il modo di unirsi e di accordarsi per una strategia comune (21). È un piccolo miracolo, anche perché avviene in un momento storico in cui il mondo cattolico appare ripiegato su sé stesso, intimidito dalla propaganda contro la vita che imperversa sui media, a volte indotto a tacere e a rinunciare a testimoniare la verità dalla paura di contrapporsi a una cultura potente e aggressiva. Che cosa possono fare questi uomini che nonostante le difficoltà hanno scelto di combattere la «buona battaglia»?
Penso anzitutto che si debba partire da una riflessione sul presente. Ci sono frasi del Magistero, lette e rilette, forse mai veramente comprese, che continuano a illuminare. Quasi quarant’anni fa san Giovanni Paolo II, il Papa della famiglia, scriveva a proposito dell’uomo contemporaneo che «bisogna conoscere l’uomo d’oggi per poterlo capire, ascoltare, amare, così com’è, non per scusare il male, ma per scoprirne le radici ben convinti che c’è salvezza per tutti, purché non siano rifiutate coscientemente e ostinatamente» (22). Quarant’anni dopo, questa diagnosi non può che essere confermata e sarà senz’altro aumentato il numero degli uomini che non si rendono conto dell’aggressione contro la corretta visione dell’uomo oggi in atto e della necessità, quindi, che essi vadano anzitutto convinti affinché, dopo, possano impegnarsi per difendere vita e famiglia.
Se il Papa della Familiaris consortio (1981) e dell’Evangelium vitae (1995), san Giovanni Paolo II, il Pontefice che invitò ripetutamente i cristiani a sollevarsi per difendere la vita e chiese alla Chiesa in Italia di agire da protagonista nella vita pubblica senza delegare a nessun’altra istituzione le materie religiose (23); se il Papa che seppe restituire entusiasmo e coraggio ai cristiani impauriti del suo tempo, schiacciati dalla violenza delle ideologie progressiste; se quel Papa invitava ad amare e ad ascoltare gli uomini del tempo per poter parlare loro, riprendendo la lezione di san Paolo VI (1963-1978), allora noi a maggior ragione dobbiamo fare altrettanto oggi. Ciò significa non smettere di combattere tutte le battaglie possibili sui temi morali, innanzitutto per testimoniare e per lasciare ai posteri l’esempio di qualcuno che non ha taciuto di fronte all’ingiustizia. E neppure significa far finta di non vedere la confusione che permane all’interno del mondo cattolico, impegnato lodevolmente a curare le ferite prodotte dalla rivoluzione antropologica ma non altrettanto attento a comprenderne le cause. Lo stesso santo Pontefice infatti, nel medesimo discorso, poco prima di invitare i fedeli all’ascolto dei loro contemporanei, prendeva atto che nella Chiesa di allora, ma oggi non è diverso, i cristiani «in gran parte si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi, si sono sparse a piene mani idee contrastanti con la Verità rivelata e da sempre insegnata; si sono propalate vere e proprie eresie, in campo dogmatico e morale, creando dubbi, confusioni, ribellioni, si è manomessa anche la Liturgia; immersi nel “relativismo” intellettuale e morale e perciò nel permissivismo, i cristiani sono tentati dall’ateismo, dall’agnosticismo, dall’illuminismo vagamente moralistico, da un cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza morale oggettiva» (24).
Che fare oggi, allora? Smettere di dire pubblicamente la verità perché incontra l’opposizione dei cosiddetti «poteri forti»? Oppure chiudersi in quelle che si ritengono le proprie certezze e smettere di piegarsi sugli uomini feriti, avendo la pazienza di accompagnarli nella strada della conversione, sapendoli aspettare, senza giudicarli preventivamente come spesso siamo tentati di fare? Smettere di combattere le battaglie possibili perché sono «divisive»? Oppure combatterle con una propaganda che convince solo i già convinti e allontana tutti gli altri? Insomma una Chiesa che vuole «uscire», come insegna il regnante Pontefice, per andare nelle «periferie» dove si trovano gli «ultimi», oppure una Chiesa che si trastulla nelle proprie convinzioni, vere certo, ma fatte per salvare il prossimo e non per essere custodite in un recinto?
Credo che ciascuno debba rispondere a queste domande. Per ora non resta che rimboccarsi le maniche e darsi da fare, in un apostolato il cui esito sappiamo dipendere unicamente dal Signore, la cui Volontà chiediamo di conoscere e saper fare nostra.
Marco Invernizzi
Note:
(1) Cfr. Giancarlo Cerrelli e Marco Invernizzi, La famiglia in Italia. Dal divorzio al gender, Prefazione di Massimo Gandolfini, Sugarco, Milano 2017.
(2) Per un’analisi articolata del fenomeno della Rivoluzione del Sessantotto, cfr., fra l’altro, Enzo Peserico (1959-2008), Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo e Rivoluzione, Sugarco, Milano 2008.
(3) Cfr. Comunione e liberazione. Intervista a Luigi Giussani, a cura di Robi Ronza, Jaca Book, Milano 1976.
(4) Cfr. il mio Alleanza Cattolica dal Sessantotto alla «nuova evangelizzazione». Una «piccola» storia per «grandi» desideri, con presentazione di mons. Luigi Negri, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2004.
(5) Cfr. Giovanni Cantoni, Il «compromesso culturale», in Cristianità, anno V, n. 31, novembre 1977, pp. 1-12.
(6) Cfr. Idem, Il «compromesso storico» anticipato, ibid., anno VII, n. 48, aprile 1979, pp. 1-2.
(7) Cfr. Francesco Pappalardo, L’analisi del laicismo in una lettera pastorale dei vescovi italiani del 1960, in M. Invernizzi e Paolo Martinucci (a cura di), Dal «centrismo» al Sessantotto, Ares, Milano 2007, pp. 341-357.
(8) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, a cura e con Presentazione di G. Cantoni, Sugarco, Milano 2009.
(9) Cfr. Gabrio Lombardi, Perché il referendum sul divorzio? Il 1974 e dopo, Ares, Milano 1997.
(10) Cfr. il mio Luigi Gedda e il movimento cattolico in Italia, con Prefazione di G. Cantoni, Sugarco, Milano 2012.
(11) Cfr. l’intero numero di Cristianità, anno II, n. 4, marzo-aprile 1974, nonché il mio Appunti sulla storia e sul «progetto» dei «cattolici democratici», ibid., anno XVI, n. 156-157, aprile-maggio 1988, pp. 5-9.
(12) Cfr. l’intero numero di Cristianità, anno VIII, n. 58, febbraio 1980, nonché Alfredo Mantovano, Dieci anni di aborto in Italia, ibid., anno XVI, n. 161, settembre 1988, pp. 5-10; e Idem, L’aborto nell’ordinamento giuridico italiano della Repubblica italiana, in IDIS. Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale (a cura di), Dizionario del pensiero forte, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/laborto-nellordinamento-giuridico-della-repubblica-italiana> (gl’indirizzi Internet dell’articolo sono stati consultati il 17-9-2019).
(13) Cfr. G. Cantoni, Comunque è aborto!, in Cristianità, anno IX, n. 72, aprile 1981, pp. 1-2; nell’articolo si annunciava la presa di posizione di Alleanza Cattolica a favore dell’abrogazione «parziale» della legge n. 194 nell’imminente campagna referendaria e si spiegava il motivo della scelta.
(14) Cfr. Chiara Mantovani, La Procreazione Medicalmente Assistita: alcune considerazioni dopo l’approvazione della legge n. 40 del 19 febbraio 2004, Cristianità, anno XXXII, n. 323, maggio-giugno 2004, pp. 5-12 e p. 30.
(15) San Giovanni Paolo II (1978-2005), Enciclica sul valore e l’inviolabilità della vita umana «Evangelium vitae», del 25-3-1995, n. 73; cfr. anche Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, del 24-11-2002, n. 4.
(16) Cfr. G. Cerrelli, La fecondazione artificiale. Un’altra tappa verso la disgregazione della famiglia naturale, in Cristianità, anno XLIII, n. 378, ottobre-dicembre 2015, pp. 31-36.
(17) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, op. cit., pp. 125-130. La differenza è che la Rivoluzione «è» un processo, in tesi perenne e senza meta, di dissoluzione per la dissoluzione, mentre la Contro-Rivoluzione «ha» una meta: la «conversione», il ritorno della società a Dio.
(18) Sulle premesse storiche e ideologiche del «diritto alla morte», cfr. Il «diritto» di essere uccisi: verso la morte del diritto?, a cura di Mauro Ronco, con i contributi di Luigi Cornacchia, Assuntina Morresi, Giovanna Razzano, Giacomo Rocchi, Ronco, Antonio Ruggeri, e con Presentazione di A. Mantovano, Giappichelli, Torino 2019.
(19) Cfr. Centro Studi Rosario Livatino, C’è un referendum sulla vita, oggi. E l’astensione non è ammessa, del 19-7-2019, nel sito web <https://www.centrostudilivatino.it/il-centro-studi-livatino-contro-leutanasia-e-laiuto-al-suicidio>.
(20) Cfr. Massimo Gandolfini con Stefano Lorenzetto, L’Italia del Family day. Dialogo sulla deriva etica con il fondatore del comitato Difendiamo i nostri figli, Marsilio, Venezia 2016.
(21) Decine di associazioni pro-life si sono unite in un Comitato Polis Pro Persona e hanno organizzato due importanti iniziative a Roma nel mese di luglio 2019: cfr. il sito web <www.polispropersona>.
(22) Giovanni Paolo II, Discorso al convegno nazionale «Missioni al popolo per gli Anni 80», del 6-2-1981, n. 2.
(23) Cfr. Idem, Discorso ai partecipanti al convegno ecclesiale a Loreto, dell’11-4-1985, in Idem, Per iscrivere la verità cristiana sull’uomo nella realtà della nazione italiana. Loreto, 11 aprile 1985, Cristianità, Piacenza 1985, pp. 5-21.
(24) Idem, Discorso al convegno nazionale «Missioni al popolo per gli Anni 80», cit., n. 2.