di Domenico Airoma
L’indipendenza dei magistrati è un presidio fondamentale di libertà. Nessuno lo discute. Ed è un presidio per tutti i consociati, prima ancora che per i giudici. Se il potere esecutivo controlla o condiziona, in vario modo, chi è chiamato ad applicare la legge e a tutelare i diritti, soprattutto quelli originari, che spettano a ciascun uomo in quanto tale e che non dipendono dal riconoscimento di alcuna norma statuale, si è in regime totalitario, aperto o subdolo che sia, come avvertiva Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005).
L’indipendenza dei magistrati è assicurata, in primo luogo, dalle leggi che uno Stato si dà. Ma è altrettanto condizionata dalle appartenenze, più o meno esplicite, dei giudici a formazioni o a centri di potere che ne possano orientare le scelte.
È di qualche mese fa il monito lanciato dal vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura italiano, David Ermini, monito raccolto sul quotidiano Il Foglio del 28 novembre secondo il quale i magistrati eletti in tale importante consesso, che è chiamato a decidere carriere e disciplina di giudici e pubblici ministeri, «devono recidere il cordone ombelicale con le rispettive correnti». Tutto chiaro. O quasi.
E infatti accade che di assistere a una mobilitazione internazionale, Commissione Europea in testa, contro il governo e il parlamento polacchi per un progetto di legge, in corso di approvazione, che inciderebbe sui meccanismi di elezione del Consiglio Nazionale della Magistratura della Polonia, introducendo sanzioni disciplinari per i magistrati che non dichiarino la propria appartenenza ad associazioni o a fondazioni. Può darsi che si tratti di iniziative che, se realizzate, potranno realmente incidere sull’autonomia dei magistrati polacchi. MEDEL, l’associazione dei magistrati europei per la democrazia e la libertà, ne è certa.
Qual che pure è certo è che, nel frattempo, nella democraticissima Spagna, il capo del governo, Pedro Sanchez, ha candidato a nuovo Procuratore generale, cioè come capo dei pubblici ministeri, Dolores Delgado, ministro della Giustizia nel suo primo governo.
Il Consiglio superiore della magistratura spagnolo, seppur a maggioranza, non ha ravvisato nella nomina alcun rischio per la separazione dei poteri. La portavoce dell’Unione Progressista della magistratura, Teresa Peramato, ha rassicurato tutti: «C’è da avere fiducia». Sarebbe un guaio se fosse la stessa fiducia che gli animali della famosa fattoria descritta da George Orwell riponevano nel democraticissimo Napoleone (non Bonaparte, ma uno dei protagonisti del libro). Sarebbe un guaio, cioè, se la Polonia fosse considerata meno eguale della Spagna sol perché irrimediabilmente cattolica e restia a piegarsi alle decisioni della Nuova Fattoria Europea.
Lunedì, 20 gennaio 2020