Giovanni Cantoni, Cristianità n. 122-123 (1985)
Qualche considerazione sul permanere e sull’acuirsi del problema politico dei cattolici italiani sulla base dei più recenti accadimenti della vita pubblica nazionale.
Dopo amministrative, referendum ed elezione presidenziale
Aumenta la divergenza tra i dirigenti democristiani e l’elettorato e la cultura cattolici?
Domenica 12 maggio 1985 si è svolta una significativa tornata elettorale per il rinnovo di numerosi consigli regionali, provinciali e comunali, nonché per la nomina di rappresentanti negli organismi circoscrizionali.
La campagna elettorale – di tono prevalentemente politico e non amministrativo, come è inevitabile che accada fino a quando la scena politica sarà dominata da scontri ideologici e fortemente caratterizzata dalla presenza del maggiore partito comunista di Occidente – ha avuto come principale protagonista il fantasma del cosiddetto «sorpasso», evocato appunto in apertura di campagna dal segretario generale del Partito Comunista Italiano, Alessandro Natta.
Di fronte alla millantata ipotesi di un sopravanzare dei suffragi al Partito Comunista rispetto a quelli alla Democrazia Cristiana e, quindi, del qualificarsi di tale partito come forza politica di maggioranza sia pure relativa nella vita pubblica della nazione, il corpo elettorale – non certo aiutato dalla classe politica a cogliere il carattere di manovra della ventilata ipotesi di un successo dei comunisti – ha a suo modo reagito e ha dato forza, di fatto, a un quadro partitico che si può senza difficoltà definire come orientato verso un centro-destra. La chiara tendenza si è manifestata nella stessa proporzione in cui si è venuto attenuando il fenomeno dell’assenteismo, considerando l’intero territorio nazionale e non zone, pure straordinariamente rilevanti, in cui il fenomeno stesso ha avuto ulteriore incremento, come, per esempio, Napoli.
Chiaramente, l’elettorato – non avendo strumenti adeguati per esaminare in modo critico la fondatezza della ipotesi del sopravanzare dei comunisti e non essendo a questo esame sospinto da nessun professionista della vita politica italiana, ma ritenendo tale ipotesi sostanzialmente plausibile – ha reagito a essa e ha affermato con ogni evidenza di essere animato da spirito anticomunistico.
Domenica 9 giugno 1985 lo stesso corpo elettorale è stato convocato per esprimersi in una consultazione referendaria promossa dal Partito Comunista Italiano e occasionata dal blocco temporaneo e parziale del vigente meccanismo di scala mobile. Anche in questo caso, benché la ragione e l’interesse – anche se a breve considerato – militassero dalla parte inequivocabilmente e tragicamente egemonizzata dal Partito Comunista stesso, l’elettorato, dando prova di elevato senso di responsabilità e di chiaro orientamento, ha bloccato la manovra dei comunisti, sia con un sufficiente numero di «no» per ostacolarla, sia con un cospicuo assenteismo – che ha raggiunto vertici straordinari – per vanificarla.
Lunedì 24 giugno 1985 gli esponenti della Democrazia Cristiana, dopo avere apertamente cercato l’accordo con i comunisti, hanno portato alla presidenza della Repubblica uno dei loro uomini più ideologicamente orientato a sinistra, in primo scrutinio e, quindi, con l’apporto determinante dei voti dei «grandi elettori» del Partito Comunista stesso.
In occasione delle elezioni del 12 maggio la classe dirigente democristiana è stata oggettivamente favorita dal bluff del «sorpasso»: infatti, quale dirigente comunista non affetto da «avventurismo» patologico avrebbe potuto realisticamente presumere di potere superare il tetto elettorale raggiunto a suo tempo sulla base dell’«effetto Berlinguer», oppure avrebbe potuto concretamente immaginare che – una volta enunciata la eventualità del «sorpasso» – questa ipotesi si sarebbe tranquillamente verificata «in discesa», senza reazioni dell’elettorato, soprattutto di quel cospicuo serbatoio di voti inespressi che si situa alla destra del Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale? Grazie al bluff messo in opera dai comunisti la classe dirigente democristiana si è riconfermata alla guida politica della forza che egemonizza partiticamente il mondo cattolico e ha potuto validamente contrastare le pretese – più o meno fondate – di una ripresa appunto «cattolica» pre e post-lauretana, nonché neutralizzare la emorragia di voti passati alla sua destra in conseguenza dei provvedimenti fiscali.
Quindi, la classe politica democristiana – in occasione della campagna elettorale che ha preceduto il voto referendario del 9 giugno – ha ricambiato il favore ricevuto dai comunisti con un rilevante disimpegno – nella tradizione di quello messo in opera al tempo delle consultazioni relative al divorzio e all’aborto, con i noti esiti disastrosi -, ma il corpo elettorale ha reagito come era a esso possibile reagire, senza bisogno oppure nonostante le false guide.
Poi, al momento della elezione presidenziale e in una occasione priva di verifica elettorale popolare, la stessa classe dirigente democristiana ha potuto autonomamente procedere a sdebitarsi nei confronti di quella comunistica, operando in aperto contrasto con le indicazioni e i chiari e recenti orientamenti manifestati dal corpo elettorale.
In occasione della elezione di Francesco Cossiga a presidente della Repubblica, dunque, è stato «restaurato» quell’arco costituzionale che «blocca» realmente la democrazia italiana e per il cui superamento – consistente anzitutto nel reale recupero alla vita politica attiva della forza del Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale – operano con intenzioni apertamente divergenti la dirigenza attuale del Partito Socialista Italiano, che fa leva sul «socialismo tricolore», e, in una prospettiva di grande rilevanza strategica, i settori più avveduti del mondo cattolico, intesi a modificare la interpretazione corrente della storia della nostra nazione e a qualificare diversamente le forze oggi in campo (1).
Ebbene, contro gli orientamenti della base elettorale e degli esponenti della cultura del mondo che raccoglie la parte maggiore di questa base, la classe dirigente democristiana ha assunto ancora una volta una posizione di contrasto, tesa a impedire ogni valutazione adeguata della situazione storica che la nazione vive e la costruzione di un fronte cattolico e anticomunistico, che rappresenta la sola risposta coerente ai problemi dell’ora e che sola può radicalizzare lo scontro politico nella direzione di un auspicabile superamento, in prospettiva, delle ideologie.
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Cfr., per esempio, MONS. GIACOMO BIFFI, Omelia alla messa per il 40º anniversario della Liberazione, del 19-4-1985, in Bollettino dell’Archidiocesi di Bologna. Atti della Curia Arcivescovile, anno LXXVI, n. 4, aprile 1985, pp. 107-110; le due interviste rilasciate da AUGUSTO DEL NOCE, «Basta con l’antifascismo», in Avvenire, 24-4-1985, e La Resistenza quarant’anni dopo. Fu vera gloria?, in CL. Litterae Communionis, rivista mensile di Comunione e Liberazione, anno XII, n. 4, aprile 1985, pp. 20-23; nonché, per elementi documentari, DON MINO MARTELLI, Una guerra e due resistenze. 1940-1946. Opere e sangue del clero italiano nella guerra e nella resistenza su due fronti, Edizioni Paoline, 3ª ed., Bari 1977, pp. 504.