Reynald Secher
Vi sono nella storia di Francia pagine dimenticate che però, quando vengono sfogliate, si rivelano determinanti. È il caso della Vandea, strappata dai nostri programmi scolastici e universitari oppure ridotta a una brillante sintesi di poche righe.
Accusata e condannata a morte senza preavviso negli anni 1793 e 1794, nonostante tutto la Vandea sopravvive malgrado i suoi duecento anni. Viene pianta, la si ricorda, si cerca di annettersela, la si spregia, la si giustifica, ma essa è continuamente presente al nostro inconscio collettivo. Meglio, osa ancora far parlare di sé: il Puy du Fou, i battelli Bénéteau ne costituiscono brillanti esempi. Peggio, fa paura e viene accusata di voler ravvivare, in nome dell’eredità, cattivi ricordi. E poi, se la Vandea è stata la Vandea, se l’è proprio voluto. Questa verità imposta nel XIX secolo è più che mai proclamata a voce alta e forte perché tutti ne siano convinti, compreso il vandeano più colto. Colpevolizzato a piacimento, sfinito da bei discorsi, sconfitto in partenza, il vandeano viene persuaso che i suoi antenati hanno commesso la Colpa di aver osato ribellarsi contro una repubblica fondamentalmente buona e meritevole in nome di princìpi antiquati, ideologici e, tradimento sommo, di aver difeso l’Ancien Régime.
Quando si osa sollevare l’inconsistente sipario di questa messa in scena, si è immediatamente colpiti da questa mostruosità convenzionale e dalla volgarità di questa voce corrente.
Infatti la Vandea è stata condannata a morte, ma non per aver voluto difendere l’ordine antico. Al contrario essa è ferocemente rivoluzionaria, forse più di ogni altra provincia francese. Vuole anzitutto la pace, il rispetto degli uomini e dei beni e la sicurezza di fronte a un’amministrazione poliziesca, inquisitoriale, divoratrice di uomini e di denaro. “Libertà” non è parola vana per questo “paese” fortemente individualista: la Vandea militare presta fede alla Rivoluzione, che ben presto la deluderà per la sua perversità e il suo cinismo. Le amministrazioni, assetate di potere e assecondate da potentati senza pudore, vogliono a ogni costo rovesciare i modi di pensare e di decidere tradizionali sottoponendo le popolazioni a una frenesia rivoluzionaria. La minima ribellione porta inevitabilmente all’emarginazione, alla messa al bando e fa del colpevole un fuorilegge. Il discorso che circola si appoggia su diversi concetti: ragion di Stato, Unità, Legalità, e così via.
In un tale contesto la ribellione vandeana era inevitabile. Di fatto, cos’è successo fra il 1789 e il 1793, anno dell’insurrezione, che possa spigare un tale cambiamento? Devono essere addotte diverse ragioni insieme come il non rispetto delle promesse: diminuzione delle imposte, riduzione della coscrizione, abolizione della corvé, trasformata in requisizioni arbitrarie e abusive, senza naturalmente dimenticare la persecuzione nei confronti del clero, simbolo della resistenza all’oppressione e in ogni caso fonte di un reale contro-potere. La persecuzione del clero comincia molto presto, a partire dalla fine del 1789. Si manifesta in diversi modi: amministrativi, finaziari e politici. La Costituzione Civile del Clero, del 12 luglio 1790, si ritiene sia stata fatta per dare un quadro giuridico all’insieme di queste misure. Si deve notare che, in genere, i sacerdoti accettano molto bene la nazionalizzazione dei beni della Chiesa: “alla scuola di un Dio povero, anche noi abbiamo imparato a fare sacrifici”, dichiara il parroco di Sainte Lumine de Coutais, Chevalier, ex deputato agli Stati Generali. Ma l’intervento dello Stato in campo spirituale è rifiutato così come quello in campo liturgico, di cui è esempio la proibizione d’incensare. Alcuni vescovi, come quello di Luçon, propongono perfino la separazione della Chiesa e dello Stato. Il potere legislativo, mirando alla scristianizzazione, rifiuta e il 27 novembre 1790 passa all’offensiva con il giuramento costituzionale. In un tale contesto i poteri locali e le associazioni, per provare la loro fedeltà ed eventualmente stimolare le energie timide, vanno oltre gli ordini ricevuti e mettono in opera tutto un insieme di misure vessatorie e repressive come l’incarcerazione dei sacerdoti non giurati, e così via. Si organizzano vere e proprie cacce all’uomo collegate a premi. Alcuni gendarmi e militari arrivano fino a travestirsi. Da quel momento si assiste a una separazione delle comunità in due gruppi ferocemente opposti, l’uno all’origine stessa della repressione, l’altro in difesa dei sacerdoti refrattari. Con la conseguente clandestinità si producono nuove abitudini e nuove strutture, che permettono a movimenti di resistenza e di guerriglia di funzionare mentre tutto diventa pretesto di dispute.
La rottura diventa definitiva nel marzo del 1793 con la legge Jourdan, che prevede l’arruolamento forzato di trecentomila uomini per difendere la patria assediata. Le popolazioni sono costrette a una scelta assurda: o si arruolano sotto le bandiere di un regime odiato, eventualmente perseguitando i sacerdoti refrattari e comunque lasciando le popolazioni indifese di fronte al potere abusivo dello Stato mentre gli stessi agenti della repressione, funzionari, sindaci, ufficiali municipali, e così via, sono esentati dal servizio militare; oppure si ribellano e in questo modo diventano fuorilegge. La scelta era resa più facile in quanto la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino aveva una portata che i costituenti non avevano supposto, dal momento che all’articolo 35 prevedeva la resistenza all’oppressione: “Quando il governo viola i diritti del popolo, l’insurrezione è, per il popolo e per ogni parte di esso, il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri”. In questo dramma vanno distinte due grandi tappe. La prima va dal marzo del 1793, mese dell’insurrezione, al dicembre dello stesso anno e più precisamente ai giorni 21 e 23 dicembre, data dell’annientamento militare dei vandeani a Savenay: si tratta anzitutto di una guerra civile, certamente atroce, ma anzitutto guerra civile. La cosa è completamente diversa a partire dalla fine del mese di dicembre: in questo secondo periodo si realizza l’applicazione fredda del genocidio i cui princìpi sono stati enunciati molto presto, sembra dal maggio del 1793. Il 1° agosto 1794 la dichiarazione in forma di decreto è ancor più solenne: secondo l’articolo VI “dal ministero della Guerra sarà inviato materiale combustibile di ogni sorta per incendiare i boschi, i boschi cedui e le ginestre”; secondo l’articolo VII “saranno abbattute le foreste, i ripari dei ribelli saranno distrutti; i raccolti saranno tagliati dalle compagnie di operai per essere trasferiti nelle retrovie dell’esercito; e il bestiame sarà requiosito”; l’articolo XIV “dichiara che i beni dei ribelli della Vandea appartengono alla Repubblica”, e così via. Alcuni giorni dopo seguono diversi regolamenti, poi votati dalla Convenzione, che decidono di sterminare la popolazione: “La Vandea deve essere un cimitero nazionale”, esclama Turreau.
Questo fine si impone sia ai dirigenti sia agli esecutori. Maximilien Robespierre se ne vanta di fronte al Comitato di Salute Pubblica: “Bisogna soffocare i nemici interni della Repubblica oppure perire con essa; in questa situazione la prima massima della vostra politica deve essere che si guidi il popolo con la ragione e i nemici del popolo con il terrore […]. Questo terrore è soltanto la giustizia pronta, severa, inflessibile”. Il genocidio si iscrive in questa logica e la Convenzione lo proclama clamorosamente: “Soldati della libertà, bisogna che i briganti della Vandea siano sterminati …”.
L’applicazione segue senza nessuna possibilità di compromesso: “Nessuna grazia per i cospiratori”. Donne e bambini sono condannati con aggravanti: le prime in quanto “solchi riproduttori sono tutte mostri”; i secondi sono anch’essi pericolosi in quanto briganti oppure sulla via di diventarli. Lequinio esige di non far più prigionieri: ” Se mi è permesso di dirlo – proclama alla Convenzione –, vorrei che si adottassero le stesse misure in tutti i nostri eserciti; nel qual caso, poiché i nostri nemici ci renderebbero lo stesso trattamento, sarebbe finalmente impossibile essere vigliacchi … Questo è indispensabile in Vandea, se volete farla finita …”. I patrioti non sono più risparmiati: d’altra parte, come spiega Carrier, non ve ne sono più: “Posso assicurarvi che in Vandea non è più rimasto un solo patriota. Tutti gli abitanti di questa regione hanno avuto una parte più o meno attiva in questa guerra”. E poi bisogna eliminare questa “razza maledetta”. Gaudin, che protesta di fronte a questa reazione partigiana, è minacciato di sanzione dalla Convenzione. “La guerra – continuano a ripetere i membri della Convenzione – finirà soltanto quando non vi sarà più nessun abitante in questa terra disgraziata” …
Restano da mettere in opera i mezzi. Si devono distinguere tre tappe: la prima corrisponde soprattutto all’enunciazione di idee come il minare il suolo, l’avvelenare l’acqua e l’alcool con l’arsenico oppure l’aria utilizzando “suffumigi”. In quest’ultimo caso vengono realizzati esperimenti sciagurati su montoni nei prati a Ponts de Cé, sotto la supervisione del farmacista angevino Proust, che inventa una palla contenente “un lievito capace di rendere mortale l’aria di tutta una zona”.
Allora i mezzi chimici vengono abbandonati per misure empiriche efficaci come la ghigliottina, soprannominata “il rasoio nazionale”, “il mulino da silenzio”, la “santa madre”, la pallottola, la baionetta e il calcio del fucile. Ma, come confessano anche generali, l’uso di questi mezzi è nello stesso tempo troppo costoso e troppo lento, quindi inefficace. Restano le risorse d’ampia portata fra cui le prigioni o i campi chiamati “le anticamere della morte“, le “debbiature” e gli annegamenti, individuali, a due, in questo caso chiamati“matrimoni repubblicani” – si tratta di unire nudi, in posizioni oscene, un uomo e una donna, di preferenza il padre e la madre, il fratello e la sorella, il padre e la figlia, un parroco e una religiosa -, oppure collettivi. La procedura è semplice: si ammucchia il carico umano su una vecchia imbarcazione dotata di un certo tipo di portelli; una volta al largo, li si fa volare in pezzi a colpi di scure: l’acqua irrompe da tutte le parti e in qualche istante tutti i prigionieri sono annegati. Quelli che ne escono vivi sono immediatamente colpiti a colpi di sciabola – da cui il nome di “sciabolate” inventato da Grandmaison – dai carnefici, che dalle loro imbarcazioni leggere assistono a “questa deportazione verticale nella vasca da bagno nazionale”, cioè nella Loira, chiamata anche il “gran bicchiere dei bigotti”, oppure al “battesimo patriottico”. Si è pure tentata l’asfissia in battelli ermeticamente chiusi, ma il rantolo dei morenti disturba i rivieraschi.
I rapporti giornalieri dei generali e dei commissari alla Convenzione e al Comitato di Salute Pubblica rendono superfluo ogni commento: ecco quanto scrive Turreau il 24 gennaio 1794: “Le mie colonne hanno già fatto meraviglie; non un solo ribelle è sfuggito alle loro ricerche … Se i miei intendimenti sono realizzati, entro quindici giorni in Vandea non esisteranno più né case, né rifornimenti, né armi, né abitanti. Bisogna che tutto quanto esiste in Vandea di boschi, di alberi d’alto fusto sia abbattuto”. D’altra parte gli ordini della Convenzione si fanno più pressanti: “Uccidete i briganti invece di bruciare le fattorie, fate punire i vigliacchi e quanti fuggono e schiacciate completamente questa orribile Vandea … Combinate i mezzi più sicuri per sterminare tutto di questa razza di briganti”.
Vi è anche chi si stupisce di questa violenza come il commissario Lequinio: “La violenza carnale e la barbarie più spinta si sono riscontrate ovunque. Si sono visti militari repubblicani usare violenza a donne ribelli su mucchi di pietre lungo le grandi strade, ucciderle con il fucile e con il pugnale allontanandosi dalle loro braccia; se ne sono visti altri portare bambini al seno sulla punta della baionetta o della picca che aveva infilzato con uno stesso colpo la madre e il bambino”… Secondo l’ufficiale di polizia repubblicano Gannet, Amery fa accendere forni e “quando sono ben caldi, vi getta le donne e i bambini. Gli abbiamo fatto rimostranze – prosegue –;ci ha risposto che in questo modo la Repubblica voleva far cuocere il suo pane. All’inizio si è condannato a questo genere di morte le donne dei briganti e non abbiamo detto molto; ma ora le grida di questi miserabili hanno talmente divertito i soldati e Turreau che hanno voluto continuare questi piaceri. Mancando le femmine dei monarchici, si sono rivolti alle spose dei veri patrioti ed esse erano colpevoli soltanto di adorare la nazione” … Ad Angers si concia la pelle delle vittime: “Il citato Pecquel, chirurgo maggiore del 4° battaglione delle Ardenne – spiega Claude-Jean Humeau in una dichiarazione del 6 novembre 1794 – ne ha scorticati trentadue. Voleva costringere Alexis Lemonier, pellettaio ai Ponts-de-Cé, a conciarne la pelle. Le pelli furono portate da un tale Langlais, conciatore, dove un soldato le ha lavorate. Queste pelli sono da Prud’homme, pellicciaio”. Sempre ad Angers, il consiglio generale decide “che le teste di tutti i briganti morti sotto le mura di questa città saranno tagliate e disseccate per poi essere messe sulle mura. Il laboratorio della scuola di chirurgia di questa città è stato indicato per fare questo lavoro” … Di fronte al castello di Clisson, il 5 aprile 1794, i soldati del generale Crouzat bruciarono centocinquanta donne per estrarne barili di grasso: “Facevamo buchi per terra – spiega uno dei soldati – per piazzare delle caldaie e poter ricevere ciò che cadeva; avevamo messo delle sbarre di ferro e su queste le donne, … poi ancora sopra c’era il fuoco” … Questo grasso è destinato agli ospedali di Nantes e ai militari.
Carrier si protegge dal sia pur minimo senso di magnanimità: “Non ci si venga dunque a parlare d’umanità verso questi feroci vandeani; saranno tutti sterminati; le misure adottate ci assicurano un rapido ritorno alla tranquillità in questo paese, ma non bisogna tralasciare un solo ribelle, perché il loro pentimento non sarà mai sincero …”.
Tre strutture sono incaricate di portare a termine le operazioni: le colonne infernali, la cui partenza è fissata per il 21 gennaio 1794 e che hanno lo scopo di attraversare da un capo all’altro il paese insorto e di fare in modo che “nulla sfugga alla vendetta nazionale”; la flottiglia sulla Loira, composta da quarantun bastimenti e che doveva “ripulire le rive del fiume”: essa conduce operazioni brevi e rapide; e il comitato di sussistenza, creato il 22 ottobre 1793, il cui obbiettivo è di raccogliere per conto della nazione tutto il bestiame, le vettovaglie, e così via, senza dimenticare le proprietà immobiliari proscritte e abbandonate al fine di “portare l’ultimo colpo” …
Quindi l’olocausto si accompagna alla rovina totale del paese: “Per il ministro Barère si tratta di spazzare con il cannone il suolo della Vandea e di purificare con il fuoco”, “patriottico”, come ironizza Lequinio.
I generali, con orgoglio e con una gioia non dissimulata, fanno essi stessi il rapporto delle operazioni: “Si farà molta strada in queste terre prima di incontrare un uomo oppure una capanna. Abbiamo lasciato dietro di noi soltanto cadaveri e rovine”…
Nell’aprile e nel maggio del 1794 la Convenzione si dice “tranquillizzata”: “L’idra ripugnante” della Vandea “non può più parlare di contro-rivoluzione dal momento che per essa si tratta soltanto di sopravvivere” …
Il 17 brumaio dell’anno I, Merlin aveva proposto ai membri della Convenzione di cancellare “il nome di Vandea dalla lista dei dipartimenti per sostituirvi quello più evocatore di “dipartimento Vendicato””, misura applicata qualche mese dopo. I deputati rinviano questo “bel progetto benché semplice e facile da eseguire” al Comitato di Salute Pubblica perché, come spiega Fyau – rappresentante della Vandea – sembra loro troppo precipitoso: “Se i briganti della Vandea non esistessero più, come da tempo ci si compiace di dire, voterei l’adozione degli articoli presentati da Merlin. Ma non bisogna nasconderselo, i briganti esistono ancora … Il progetto di Merlin è bello ma, per dargli esecuzione, bisogna che i rappresentanti del popolo siano accompagnati da eserciti. Non si è assolutamente incendiato abbastanza in Vandea, bisogna che per un anno nessun uomo, nessun animale trovi da vivere su quel suolo. Le colonie che inviereste costerebbero forse nuovi sacrifici da affrontare …”.
E questo genocidio, malgrado le intenzioni, non è condotto a termine soltanto a causa “della debolezza dei mezzi”. Turreau se ne dice “disperato” perché gli riesce insopportabile vedere “sospettato il suo zelo” e il suo “pensiero”. Quel che è peggio, le truppe, costituite in maggioranza da volontari detti “teste di morto” dal nome della loro insegna, sono lente, indisciplinate e ossessionate dal saccheggio. Lequinio si lamenta perché “sovente esso è portato al massimo. Molti soldati semplici hanno messo insieme più di cinquantamila franchi. Se ne sono visti coperti di gioielli fare ogni genere di spese con una mostruosa prodigalità”. Queste truppe, ufficiali compresi, carichi di ricchezze di ogni tipo, divengono di conseguenza sempre meno efficaci nella misura in cui penetrano nell’interno del territorio e incontrano una certa resistenza anche leggera, cioé individuale. Si veda il caso di Luc. Le due colonne di Cordelier, dopo “ricerche scrupolose” che permettono loro di “portare alla luce con poca fatica tutta una covata di bigotti che brandivano le loro insegne del fanatismo”, cinquecentosessantaquattro persone, sono prese dal “panico” alla vista di tre cavalieri vandeani: “La colonna [detta di Martincourt] trascinò con sé quella [detta di Crouzat], che non aveva ancora sparato nemmeno un colpo di fucile … di modo che, invece di schiacciare il nemico – confessa Cordelier – sono stato costretto a riprendere posizione soltanto a Léger”, che è a nove chilometri dal posto.
A questo punto si impone un bilancio: la Vandea militare – costituita a nord dai dipartimenti delle Due Sèvres e della Vandea e a sud dai dipartimenti del Maine et Loire e della Loira Inferiore, cioè da settecentosettantatrè comuni ripartiti su diecimila chilometri quadrati – ha perso globalmente quasi il 15% della sua popolazione – 117.257 persone su 815.000 -, gran parte a causa della repressione, e circa il 20% delle proprietà immobiliari registrate – 10.309 case su 53.273 -; certe terre sono più colpite di altre: Bressuire nelle Due Sèvres perde l’80% dei suoi immobili, Cholet quasi il 40% della sua popolazione.
Le guerre di Vandea costituiscono dunque una pagina particolarmente drammatica della storia di Francia, che i governi successivi, con l’eccezione paradossale di Napoleone I, hanno emarginato, cioè ridotta al silenzio. I contemporanei hanno volontariamente minimizzato gli accadimenti: solo i principali colpevoli del genocidio sono condannati a morte; gli altri, pur essendo provata la loro complicità, sono rilasciati “non avendolo fatto con intenzione criminale”. La Restaurazione, disturbata dalla contestazione sovversiva e dalla violenza della guerra, in nome dei princìpi enunciati nel quadro della carta del 1814, ha preferito dimenticarla. D’altra parte, i repubblicani trovano estremamente imbarazzante ammettere che il governo abbia dovuto, in piena Rivoluzione, firmare trattati con poteri insurrezionali ai quali, in quel modo, conferiva un certo riconoscimento. Quanto ai militari, troppo spesso battuti in campo aperto, la guerriglia vandeana ha posto loro un problema tecnico e intellettuale che hanno padroneggiato male. D’altronde un buon numero di generali, e non fra i minori, hanno abbandonato, come Dumas padre, Bard che rifiuta di “procedere a massacri organizzati”, oppure Kléber che “lascia il suo comando di fronte alle esigenze selvagge del Comitato di Salute Pubblica”. A questo erano spinti alcuni generali disgustati da tutto quel sangue, come il generale di brigata Danican, che scrive a Bernier: “Il 20 ottobre 1794 è un anno che grido contro tutti gli orrori dei quali sono stato disgraziatamente testimone. Diversi cittadini mi hanno preso per uno stravagante … ma dirò e proverò, quando si vorrà, che ho visto massacrare vecchi nei loro letti, sgozzare bambini al seno delle loro madri, ghigliottinare donne gravide e anche il giorno dopo il parto, che ho visto bruciare enormi magazzini di grano e di derrate di ogni genere … Le atrocità che sono state commesse sotto i miei occhi hanno talmente afflitto il mio cuore da non rimpiangere la vita … Lo dirò in faccia ai cannibali …”.
Dunque, queste rappresaglie non corrispondono a quegli atti spaventosi ma inevitabili che possono aver luogo con l’accanirsi dei combattimenti nel corso di una guerra lunga e atroce, bensì a massacri premeditati, organizzati, pianificati e commessi a sangue freddo; massicci e sistematici con la volontà cosciente e proclamata di distruggere una ben determinata regione, e di sterminare tutto un popolo, preferibilmente donne e bambini, per estirpare una “razza maledetta” giudicata ideologicamente irrecuperabile, il che costituisce il fondamento stesso di un genocidio.
Reynald Secher