Marco Invernizzi, Cristianità n. 124-125 (1985)
Un recente scritto dello storico e senatore democristiano Pietro Scoppola contribuisce a illuminare le linee del disegno politico del segretario della Democrazia Cristiana on. Ciriaco De Mita.
Un importante nodo culturale
Cattolici e cristianità: progetto da abbandonare oppure ideale da perseguire?
Il tema è certamente tra i più importanti per il mondo cattolico contemporaneo: si tratta di capire – per usare le parole dell’arcivescovo di Bologna mons. Giacomo Biffi – se «esiste un popolo cristiano percepibile e identificabile», se «esiste una “cristianità”» (1). Infatti, poiché alla comprensione segue normalmente l’azione, si tratta di decidere se lottare o meno per realizzarne l’incarnazione in una civiltà cristiana.
Purtroppo la confusione tra i cattolici contemporanei – soprattutto su questo punto – è talmente elevata che «già da più di una trentina d’anni la cristianità è stata proclamata defunta» (2), in seguito al prevalere di una corrente culturale che – prescindendo dal Magistero pontificio ed episcopale – ha proclamato la cristianità «un fenomeno […] di origine “costantiniana” che ha raggiunto il suo culmine nel Medio Evo e che nel nostro secolo si è del tutto esaurito» (3).
1. Questa corrente culturale rimane molto forte all’interno del mondo cattolico italiano: mentre Giovanni Paolo II – parlando a Loreto ai delegati della Chiesa italiana – esortava a non temere «il ruolo anche pubblico che il cristianesimo può svolgere per la promozione dell’uomo e per il bene dell’Italia» (4), tra gli stessi delegati circolava un libro ancora fresco di stampa dello storico e senatore democristiano Pietro Scoppola, che già nel titolo, La «nuova cristianità» perduta (5), intendeva ribadire le tesi della corrente culturale contraria al fatto che la cristianità rimanga un ideale e una meta da perseguire e da difendere.
L’opera in questione ripercorre la storia della «sconfitta» del progetto di restaurazione della cristianità nella nostra nazione dopo la seconda guerra mondiale: è uno studio meritevole di attenzione perché riflette una opinione largamente diffusa tra gli «operatori culturali» del cattolicesimo italiano.
La sua tesi di fondo è che «i cristiani sono stati troppo spesso stranieri in patria perché in attesa di un’altra patria terrena, in attesa appunto di una cristianità nuova. È giunto il momento per loro di prendere coscienza, intellettualmente e soprattutto nei comportamenti concreti, che non c’è una cristianità da ricercare, un’altra patria terrena da attendere o da costruire, ma che quella in cui sono chiamati a vivere è la loro patria e che in essa devono operare con il massimo di impegno, per il suo miglioramento, per la sua crescita in un senso più umano e al tempo stesso con il massimo di distacco interiore e di libertà» (6); quindi, «occorre che la progettualità perda ogni suo legame con una qualche filosofia della storia, perda ogni pretesa di predeterminare modelli entro i quali il futuro possa essere inquadrato e divenga più semplicemente “risposta agli eventi” che ogni giorno ci sfidano sulla base di una coerente visione etica e di solide competenze, rinunciando però alla pretesa di saldare questi elementi in un modello originale di società» (1).
L’autore cerca di dimostrare la sua tesi accennando, nella introduzione, allo sviluppo del progetto di restaurazione di una cristianità nel Magistero pontificio, dall’indomani della Rivoluzione francese fino alla enciclica Quas primas di Pio XI, quando il progetto entra anche nella liturgia cattolica con la istituzione della festa di Cristo re, e poi ancora fino al Magistero di Pio XII; anche il successivo progetto, che Pietro Scoppola chiama «maritainiano-montiniano» viene considerato «un arricchimento e per molti aspetti un superamento del progetto pacelliano, non una alternativa ad esso» (8).
Quest’ultimo tentativo, secondo il senatore democristiano, sarebbe soltanto servito a creare le condizioni per un nuovo compromesso tra capitalismo e democrazia, realizzatosi in Italia, dopo la parentesi fascista, all’indomani della seconda guerra mondiale, anche grazie all’«apporto di consenso democratico da parte del movimento cattolico» (9).
Così, la speranza che la cultura cattolica potesse incarnarsi in una cristianità – approfittando delle condizioni favorevoli verificatesi dopo la vittoria elettorale democristiana nelle elezioni del 18 aprile 1948 – non poté avere seguito, non tanto a causa delle «ideologie avverse, marxista e laicista» ma per un «nemico […] venuto alle spalle, silenzioso e a lungo inavvertito, nelle forme della società consumistica, destinata a corrodere in profondità, senza. scontri clamorosi, ma per questo con maggiore efficacia, la fede del popolo italiano» (10). In questo modo, quindi, secondo Pietro Scoppola, è andata distrutta la speranza in una nuova cristianità, la cui sconfitta avrebbe favorito, nell’ambito cattolico, una riflessione più teologica e meno filosofica sulla storia, perciò il cristiano di oggi deve fare propria una «cultura dei comportamenti» invece della «cultura del progetto»: deve cioè rinunciare a una filosofia della storia che gli fornisca «una visione del processo storico che possa permettere di conoscerne e dominarne gli sviluppi futuri» (11) e smettere di sentirsi estraneo a questa società e a questo Stato continuando a operare per costruire una nuova cristianità.
Poiché «la speranza della cristianità ha distratto i cristiani dalle loro responsabilità nel presente, e ha favorito al tempo stesso una rimozione della tensione escatologica verso i tempi ultimi» (12), Pietro Scoppola suggerisce ai cristiani di oggi una spiritualità adatta ai tempi, ossia «una “spiritualità della tenda”, del deserto e dell’esodo più che del tempio e perciò necessariamente radicata in un pieno ricupero della Bibbia e, in essa, dell’Antico Testamento» (13).
2. Le tesi sostenute da Pietro Scoppola non sono affatto riducibili a elucubrazioni intellettuali di un cattolico democratico, ma sono evidentemente orientate a influenzare il comportamento politico dei cattolici italiani nella presente condizione storica. In pratica, molto spesso l’intellettuale Scoppola viene sostituito dal senatore democristiano, dall’uomo politicamente, oltre che culturalmente, impegnato a costruire la «democrazia dell’alternanza», giudicata «inevitabile» (14), cioè a rendere possibile l’accesso del Partito Comunista al governo della nazione italiana (15): «La democrazia dell’alternanza non è concepibile come una formula di schieramento da realizzare in tempi definiti, è piuttosto un processo di maturazione, destinato a coinvolgere tutte le forze politiche italiane trasformandole in vista delle nuove responsabilità» (16).
Siamo così di fronte a una utopia democratica dai contorni necessariamente vaghi come nel caso di ogni obiettivo utopistico, dove le uniche certezze consistono nel rifiuto categorico della cristianità come meta possibile e auspicabile e nell’oblio della dottrina sociale della Chiesa, ossia del patrimonio dottrinale con cui ricostruire appunto una cristianità.
Infatti, Pietro Scoppola sostiene che «il ruolo dei cattolici» «va ripensato» «rispetto a queste diverse dimensioni» (17) nel senso che «la Chiesa, in una democrazia dell’alternanza, non può essere “parte”» (18) «In Italia il processo in atto verso la democrazia dell’alternanza accentuerà il senso di queste distinzioni; i cattolici saranno da una parte e dall’altra nei possibili schieramenti bipolari; la Chiesa non potrà schierarsi, ma il fatto che essa non si schieri indurrà i cattolici a schierarsi in maniera diversa, meno univoca, meno definitiva e faziosa di quanti scelgono solo per una ragione ideologica o politica» (19). Così, «in una società secolarizzata e in una democrazia dell’alternanza […] è la stessa unicità del soggetto cristiano che viene meno, proprio perché in politica, e tanto più in sede di partito, i cristiani non sono più un soggetto sostanzialmente unitario come in passato» (20).
3. L’operazione svolta dalla classe dirigente democristiana in occasione della elezione di Francesco Cossiga alla presidenza della Repubblica – cioè la «restaurazione» dell’arco costituzionale con la utilizzazione voluta e successivamente teorizzata dei voti comunisti e con il rifiuto di fare partecipare ai colloqui preliminari il Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale – è stata definita un esempio di «democrazia consociativa» che, annullando la distinzione tra maggioranza governativa e opposizione di sinistra, di fatto costituisce la premessa alla democrazia dell’alternanza. Come ha detto un parlamentare della stessa Democrazia Cristiana, l’on. Mario Segni, «invece di continuare la strada del maggior isolamento possibile del Pci, c’è tutta una confusa ma reale tendenza a rispolverare i concetti e i principi della solidarietà nazionale» (21).
Effettivamente, ciò che Pietro Scoppola teorizza e auspica sembra essere diventato – e non da ieri – il disegno politico del segretario della Democrazia Cristiana on. Ciriaco De Mita (22).
All’intervistatore che gli chiedeva dove avrebbe portato il «processo di maturazione della democrazia», l’on. De Mita ha risposto: «Porta ad una democrazia che contempla la possibilità reale di un’alternativa, altrimenti è una democrazia paralizzata. Noi vogliamo creare le condizioni per cui sia anche possibile che la Dc passi all’opposizione» (23). Come non ricordare, ascoltando queste parole, la «profezia» di Antonio Gramsci, secondo cui «il cattolicesimo democratico fa ciò che il comunismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida» (24)!
Potrebbe sbalordire tanta superficialità nel considerare il bene comune di una nazione come ugualmente raggiungibile da governi democristiani o comunisti: ma non si deve dimenticare che Pietro Scoppola ha ricordato come una delle caratteristiche della democrazia dell’alternanza debba proprio essere l’assenza di grandi contrapposizioni ideologiche tra i due blocchi (25).
Il sen. Scoppola e l’on. De Mita sembrano fare proprio il tentativo «degli intellettuali laicisti», già denunciato da Augusto Del Noce, di «modernizzare» il Partito Comunista Italiano, favorendo la rinuncia al suo aspetto ateistico (26): un Partito Comunista finalmente laicizzato sarebbe abilitato a costituire l’altro polo nella democrazia dell’alternanza e la nostra democrazia sarebbe già stata «sbloccata» se lo stesso Partito Comunista non dimostrasse mancanza di coraggio e una evoluzione insufficiente nel cammino da percorrere lungo questa strada (27).
Perché ciò accada, scrive Pietro Scoppola, «è necessario che si rafforzi nel paese la coscienza di valori comuni e di una storia comune, entro la quale si collocano le differenze fra i partiti» (28). Da qui si comprende l’importanza del mito della Resistenza antifascista, riesumato negli anni ‘60 e ‘70 per giustificare «la strategia di partecipazione dei comunisti al governo, la strategia del compromesso storico, sempre proposta sulla base della unità antifascista» (29), un mito riproposto appunto per stabilire la coscienza di una esperienza storica fondata su valori comuni tra il mondo comunista e quello cattolico.
4. In conclusione, mi pare importante richiamare una tesi sostenuta da Pietro Scoppola, secondo cui la scristianizzazione della nostra nazione sarebbe da attribuire non alla progressiva penetrazione delle ideologie anticristiane nel corpo sociale, ma a un «nemico […] venuto alle spalle, silenzioso e a lungo inavvertito, nella forma della società consumistica, destinata a corrodere in profondità, senza scontri clamorosi, ma per questo con maggiore efficacia, la fede del popolo italiano» (30).
In primo luogo, occorre notare come la società consumistica di cui scrive il senatore democristiano non è una realtà senza origini, ma si è sviluppata su un terreno abbondantemente predisposto dal lavorio delle ideologie: in questo senso, mi pare erroneo separare o addirittura contrapporre le due cose, invece di sottolineare lo stretto rapporto di causa-effetto che le unisce.
Vi è però un altro punto, di rilevanza molto maggiore. Un giudizio di questo tipo sulla scristianizzazione avvenuta in Italia è generico e caratterizzato dall’uso di termini che, sia nella forma che nella sostanza, non definiscono e non discriminano. Si tratta di un modo di giudicare la storia perfettamente congeniale alla strategia del Partito Comunista Italiano, il quale non chiede di meglio che di unirsi a una parte dei cattolici per trasformare la critica della società consumistica in un rifiuto globale della civiltà occidentale, con la sua storia e i suoi valori cristiani.
Il Partito Comunista – in modo solo apparentemente contraddittorio – ha favorito e beneficiato di tutti gli episodi del processo di secolarizzazione del nostro paese: dallo spirito «borghese» che ha accompagnato il boom economico negli anni della ricostruzione post-bellica, alla contestazione del 1968 per arrivare al «riflusso» e alla liquidazione della contestazione negli anni ‘80 (31).
Tutto ciò apparirebbe chiaramente se si comprendesse che il comunismo è una forma di «relativismo integrale e aggressivo», e che «non è […] per conversione; né per ipocrisia che i comunisti cambiano senza tregua, e dicono e fanno ogni giorno il contrario di ciò che hanno fatto e detto il giorno precedente; ciò è conforme alle più pure esigenze del marxismo ed essi non sarebbero marxisti se agissero diversamente; poichè il marxismo è una evoluzione integrale, essi devono – in quanto sono marxisti – evolversi e contraddirsi senza tregua» (32). La interpretazione della storia italiana enunciata da Pietro Scoppola, disattendendo la natura del comunismo, di fatto trova un punto comune con l’analisi comunista e si presta a legittimare culturalmente e politicamente lo stesso Partito Comunista come l’«altro» polo della auspicata democrazia dell’alternanza.
Augusto Del Noce ha scritto che «torto della Dc è di avere attenuato, fino a tacciare di integralisti coloro che l’affermano, la visione della storia contemporanea come lotta di fedi religiose opposte» (33): il libro di Pietro Scoppola auspica addirittura l’abbandono da parte cattolica di ogni filosofia della storia che permetta di interpretarla. Nonostante ciò, offre un’occasione per riproporre la urgente necessità che i cattolici italiani si lascino unire dalla Verità e da una comune interpretazione della storia nazionale che permetta loro di agire coerentemente nella vita culturale, civile e politica (34).
Marco Invernizzi
Note:
(1) MONS. GIACOMO BIFFI, Per una cultura cristiana, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1985, p. 21.
(2) Ibidem.
(3) Ibidem.
(4) GIOVANNI PAOLO II, Per iscrivere la verità cristiana sull’uomo nella realtà della nazione italiana. Discorso, «Regina Coeli», Omelia e saluto pronunciati a Loreto l’11 aprile 1985 in occasione del secondo convegno ecclesiale della Chiesa italiana su «Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini» (9-13 aprile 1985), Cristianità, Piacenza 1985, p. 18.
(5) Cfr. PIETRO SCOPPOLA, La «nuova cristianità» perduta, Studium, Roma 1985.
(6) Ibid., p. 201.
(7) Ibid., p. 200.
(8) Ibid., p. 16.
(9) Ibid., p. 20.
(10) Ibidem.
(11) Ibid., p. 200.
(12) Ibid., p. 201.
(13) Ibid., p. 207-208.
(14) Ibid., p. 184.
(15) Cfr. ibid., pp. 159-163.
(16) Ibid., p. 161.
(17) Ibid., p. 163.
(18) Ibid., p. 178.
(19) Ibid., p. 180.
(20) Ibid., p. 181.
(21) il Giornale, 10-7-1985. Su questo episodio cfr. GIOVANNI CANTONI, Aumenta la divergenza tra i dirigenti democristiani e l’elettorato e la cultura cattolici?, in Cristianità, anno XIII, n. 122-123, giugno-luglio 1985.
(22) Cfr. G. CANTONI, La «democrazia compiuta» ovvero l’Italia rossa grazie alla setta democristiana, in Cristianità, anno X, n. 85, maggio 1982; e IDEM, Utopia «democratica» e Democrazia Cristiana, ibid., n. 91, novembre 1982.
(23) la Repubblica, 13-7-1985.
(24) ANTONIO GRAMSCI, I popolari, in L’Ordine nuovo, anno I, n. 24, 1-11-1919, in L’Ordine nuovo. 1919-1920, Einaudi, Torino 1954, p. 286.
(25) Cfr. P. SCOPPOLA, op. cit., p. 162.
(26) Cfr. AUGUSTO DEL NOCE, Pci, l’impossibile conversione, in CL. Litterae communionis, rivista mensile di Comunione e Liberazione, anno XII, n. 7-8, luglio-agosto 1985.
(27) Cfr. CIRIACO DE MITA, intervista a la Repubblica, cit., e P. SCOPPOLA, op. cit., pp. 160-162.
(28) Ibid., p. 162.
(29) A. DEL NOCE, La Resistenza quarant’anni dopo. Fu vera gloria?, intervista a CL. Litterae communionis, cit., n. 4, aprile 1985.
(30) P. SCOPPOLA, op. cit., p. 20.
(31) Cfr. G. CANTONI, La «lezione italiana». Premesse, manovre e riflessi della politica di «compromesso storico» sulla soglia dell’Italia rossa, Cristianità, Piacenza 1980, pp. 149-164.
(32) JEAN DAUJAT, Conoscere il comunismo, trad. it., Il Falco, Milano 1979, p. 41.
(33) A. DEL NOCE, Pci, l’impossibile conversione, cit.
(34) Cfr. il mio Le premesse culturali per una presenza cattolica nella vita politica italiana, in Cristianità, anno XI, n. 97, maggio 1983.