Ermanno Pavesi, Cristianità n. 126 (1985)
Card. Godfried Danneels, arcivescovo di Malines-Bruxelles, Fede cristiana e ferite dell’uomo contemporaneo, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1985, pp. 32, L. 3.000
Il volumetto Fede cristiana e ferite dell’uomo contemporaneo riprende il testo di una conferenza tenuta dal cardinale Godfried Danneels, arcivescovo di Malines-Bruxelles, il 23 gennaio 1983.
In essa il porporato – nato a Kanegem, in Belgio, nel 1933 e, tra l’altro, Gran Cancelliere dell’università Cattolica di Lovanio e relatore all’assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi indetta dal 24 novembre all’8 dicembre 1985 – affronta il problema del rapporto tra fede e benessere psichico, anzitutto constatando come il processo di secolarizzazione dell’epoca moderna, che ha messo l’uomo al centro del proprio interesse, non sia riuscito, nonostante il progresso scientifico e il benessere materiale, a migliorare le condizioni dell’uomo: anzi, «il nostro secolo è ferito. Forse più di ogni altra epoca della storia».
Lo sviluppo della società è avvenuto a scapito della fede, della relazione uomo-Dio: «l’epoca in cui viviamo ha eliminato Dio in gran parte della cultura, del pensiero, della società. Generazioni intere hanno combattuto l’idea stessa dell’esistenza di Dio. Lo sviluppo dell’uomo, il progresso della civiltà avvenivano a questo prezzo». Questa rottura del rapporto uomo-Dio ha modificato, con il tempo, anche le relazioni dell’uomo con la creazione, con i suoi simili e con sé stesso. Facendo riferimento alle tesi dello psichiatra olandese Jan Hendrik Van den Berg, l’autore situa all’inizio del secolo XVIII la comparsa dei primi segni della rottura dell’equilibrio preesistente: «Prima del XVIII secolo l’uomo europeo viveva in un universo armonioso, posto all’interno di una rete di relazioni ben integrate. La relazione con Dio, con l’universo, col cosmo, i suoi rapporti con gli uomini e la società, con se stesso, erano ben definiti. Ogni cosa aveva il suo posto e c’era un posto per ogni cosa. Si era stabilito un solido quadro di riferimento e la religione ne era il cemento».
Un progresso incontrollato è la conseguenza della rottura del rapporto armonico con la natura, che viene talora sostituito da un rispetto reverenziale di tipo romantico: «Tentiamo di ricostruire la natura. Prima violentata, essa riceve ora dalle nostre mani una parvenza d’ordine».
L’uomo si è voluto emancipare da Dio. La proclamazione della morte di Dio-Padre ha reso l’uomo orfano e ha modificato la relazione tra i fratelli; l’uomo oscilla tra una «crescita incontrollata dell’io», che «è diventata tumore maligno», e la perdita di identità nella collettività: «Il “noi” ingoia l’“io” col pretesto di salvarlo o di proteggerlo».
Di fatto «la sparizione della dimensione verticale sbocca in un’esaltazione delle relazioni orizzontali», ma «tutta la nostra civiltà è come gelata; anche l’amore. Il contatto tra razze e lingue si è irrigidito».
Il rifiuto della trascendenza porta a eludere i problemi più importanti per l’uomo, come quelli della vita e della morte, del male e della sofferenza. Persa la visione globale dell’uomo non si è saputo più dare il giusto significato a certe funzioni come la sessualità e l’aggressività: è la nascita delle nevrosi. L’autore, citando ancora Jan Hendrik Van den Berg, ricorda che «prima del 1733, non c’è libro di medicina che parli di nevrosi». Dopo un periodo in cui le nevrosi erano dovute in parte alla mancata «integrazione delle pulsioni vitali a livello conscio», «la sessualità e l’aggressività hanno fatto un come back spettacolare; ciò che, fino a poco tempo fa, era oggetto di un riflusso incosciente si è tramutato in un vero “nutrimento terrestre” obbligatorio per tutti». Come mai, nonostante ciò, l’uomo occidentale è così «tranquillamente infelice» e «la nevrosi è dunque sempre là, immobile»? Oggi il rifiuto del senso di Dio e della trascendenza provoca lo squilibrio interiore: «Tutti soffriamo nella sfera della spiritualità; e ne portiamo le tracce. Chi soffre in questo senso non è malato nel corpo. Gli manca semplicemente la gioia: è “semplicemente triste”. La nuova nevrosi è spirituale».
L’uomo ha delle radici naturali, «il desiderio innato di possessione, di sessualità, di sviluppo di sé», e «desiderare denaro, formare una famiglia, avere figli, crescere: ecco l’albero solido e verde»; ma la perdita del senso della vita rende assolute queste esigenze, che, non essendo più finalizzate, non adempiono più alla loro funzione e rimangono insoddisfatte a causa della loro ipertrofia: «La corsa incontrollata al denaro, il sesso, il predominio sugli altri non sono che portatori di morte. Ciò che in sé era buono, segno di salute, diventa patologico. Cellule buone si moltiplicano senza controllo: è il cancro. Contemporaneamente arriva il dolore: ciò che doveva rendere l’uomo felice, lo sprofonda nella tristezza».
Identificate le cause delle ferite dell’uomo contemporaneo, risulta chiara la terapia: «il messaggio cristiano, annunciato dalla Scrittura, raccolto e trasmesso dalla Tradizione, predicato dalla Chiesa, è una forza che può far rinascere un mondo in agonia».
Medicina e psichiatria hanno conseguito progressi innegabili. È possibile lenire sofferenze, curare molte malattie e talune addirittura prevenirle. D’altra parte, però, non si può pretendere dalla scienza medica più di quanto essa possa dare: essere guarito non significa necessariamente «stare bene», e benessere psico-fisico è qualcosa di più e/o di differente dal semplice essere esente da una malattia.
In questa prospettiva l’opera del cardinale Godfried Danneels costituisce senz’altro un contributo stimolante. Il richiamo alla spiritualità come a una componente fondamentale dell’uomo è quanto mai necessario per correggere non solo il riduzionismo materialista, ma anche quelle concezioni psicologiche e psicosomatiche, per le quali la dimensione psichica non supera la sfera degli istinti.
Il recupero di questa dimensione può aiutare la scienza medica a superare la crisi attuale ed evitare che essa si riduca a una tecnica perfezionata o a una banca di dati in continua crescita, con tutte le deformazioni e le degenerazioni possibili. È necessario che le conoscenze scientifiche vengano inserite «all’interno di una rete di relazioni ben integrate» e aiutino a riscoprire l’armonia dell’universo dentro e attorno all’uomo, di modo che la scienza medica ritorni a essere un poco più sapienza.
Ermanno Pavesi