Marco Invernizzi, Cristianità n. 127-128
Intervista con il presidente Son Sann
Per la vita e la speranza del popolo cambogiano
«Voglio esprimere tutta la gratitudine della delegazione cambogiana ai dirigenti di Alleanza Cattolica e della CIRPO-Italia e a tutti gli italiani incontrati in questi giorni, per la simpatia e l’aiuto manifestato alla nostra battaglia per liberare la Cambogia dalla presenza vietnamita e dalla relativa colonizzazione», ha detto Son Sann quasi a commento delle iniziative pubbliche che lo hanno visto protagonista durante la sua permanenza in Italia. Con squisita disponibilità e cortesia ha poi risposto ad alcune domande sui punti rimasti in ombra durante i suoi incontri con la stampa italiana.
D. Le chiedo, anzitutto, di riassumere quanto ha detto a Ginevra, durante la conferenza stampa tenuta con Pierre Faillant de Villemarest il 18 novembre 1985, alla vigilia del vertice USA-URSS.
R. Ho chiesto a tutti gli Stati amici di fare pressioni su Gorbaciov affinché il Vietnam accetti le risoluzioni dell’ONU che lo invitano a ritirare le sue truppe dalla Cambogia, a negoziare la pace con la Resistenza e a lasciare ai miei compatrioti il diritto alla autodeterminazione. La pace mondiale, infatti, dipende da quella regionale, e quella del Sud-Est asiatico dipende dalla Cambogia, il cui calvario comincia ancora prima di quello dell’Afghanistan, ed è ancora più tragico se si pensa che circa metà della popolazione è morta nel corso del conflitto.
D. Il conflitto che sta letteralmente annientando il popolo cambogiano da tanti anni, ha attualmente nella Repubblica socialista del Vietnam la causa principale; tanto nel Vietnam come nel Laos esistono Resistenze simili a quella da Lei diretta: vi sono collegamenti fra esse?
R. Il presidente degli Stati Uniti ha recentemente ricordato l’esistenza di numerosi conflitti regionali oltre a quelli nel Sud-Est asiatico, come in Nicaragua, in Etiopia e in Afghanistan. Ma la nostra situazione è particolare, perché le tre componenti della Resistenza cambogiana esprimono un governo legittimamente riconosciuto dall’ONU; proprio in ragione di questa diversità dobbiamo anzitutto pensare a noi stessi, prima di potere aiutare le altre Resistenze e di complicare la nostra situazione con interventi in altri paesi. Per il momento, così, ci rimettiamo all’aiuto promesso da altri governi, come gli Stati Uniti, la Cina e gli Stati dell’ASEAN.
D. Nel corso della conferenza stampa organizzata a Milano in questi giorni, ha ricordato che senza ulteriori aiuti militari le forze della Resistenza non sono in grado di liberare la nazione cambogiana dalla presenza vietnamita, ma che, più realisticamente, mirano a costringere l’invasore ad accettare una pace negoziata. Ora, dando spazio a quello che per adesso è soltanto un desiderio, vorrei chiederle a quale modello di civiltà vorrebbe che si ispirasse una Cambogia finalmente liberata, anche tenendo conto della presenza all’interno del governo di coalizione di cui Lei è primo ministro delle forze comuniste filocinesi dei khmer rossi.
R. Una Cambogia caratterizzata dalla presenza reale delle libertà essenziali, la libertà economica, la libertà di religione, un regime democratico al posto del regime totalitario con partito unico; tutto ciò per salvaguardare e riattivare l’eredità culturale di tutte le nostre tradizioni.
D. Quanta libertà di religione esiste, oggi, in Cambogia?
R. Nessuna libertà è possibile, neppure quella di amare. Una volta, vi erano più di mille pagode e circa 60 mila giovani entravano nei conventi ogni anno, anche solo provvisoriamente, secondo le abitudini buddiste: quasi l’uno per cento della popolazione, ogni anno. Adesso vi è qualche pagoda tenuta aperta dal governo per far credere al mondo che la libertà non è stata soppressa, ma non vi sono più giovani monaci: per entrare in convento ci vuole l’autorizzazione del governo.
D. Qual è, attualmente, la consistenza militare del suo Fronte Nazionale?
R. Abbiamo cominciato nel 1979 in 2 mila uomini, mentre oggi siamo in 14 mila con, inoltre, altre migliaia pronte a combattere, ma senza le armi per poterlo fare: non abbiamo bisogno di combattenti dall’estero, ma di mezzi per mettere in condizione di combattere numerose migliaia di uomini già addestrati.
Inoltre, abbiamo cambiato strategia militare: non ci sono più campi fissi con popolazione civile da difendere, perché i profughi sono tutti riparati in Thailandia, e ci stiamo trasformando in piccoli commando che cercano di operare il più all’interno possibile del paese. Tutto ciò che posso aggiungere pubblicamente è che i vietnamiti non sanno più dove attaccare le nostre basi, che sono diventate mobili e segrete.
D. Negli incontri di questi giorni, Lei ha detto che i suoi uomini vengono addestrati non soltanto alla guerriglia, ma anche alla guerra propagandistica.
R. La battaglia propagandistica è fondamentale e viene curata non soltanto all’interno ma anche all’estero. In Cambogia, per ora, abbiamo una piccola stazione radio installata al confine con la Thailandia, che può essere ascoltata fino a cento chilometri all’interno del paese. Sebbene sia un piccolo strumento, la sua efficacia è notevole, perché le informazioni che trasmette vengono riportate oralmente al resto della nazione.
All’estero abbiamo uffici di rappresentanza del Fronte in quasi tutte le nazioni, in Europa, in America e in Australia; io stesso mi preoccupo di girare in tutte queste nazioni per sei mesi all’anno, incontrando la stampa, le autorità e il pubblico in occasione di conferenze, mentre trascorro con i combattenti il resto dell’anno.
D. Vorrei chiederle, infine, una sua impressione sul pubblico italiano incontrato in questi giorni di permanenza nel nostro paese.
R. Già due anni fa ero venuto in Italia, avevo parlato alla Radio Vaticana ed ero stato ricevuto dal Santo Padre; quest’anno, forse perchè il pubblico incontrato a Torino e a Milano era già stato preparato, ho trovato ancora maggiore simpatia e solidarietà, e più attenzione da parte della stampa.
Con l’augurio e la speranza, aggiungo, che la simpatia e la solidarietà possano contribuire al raggiungimento degli obiettivi – accanto a quello, ottenuto, della maggiore informazione della opinione pubblica – che il presidente Son Sann si era prefissato iniziando questa sua tournée nel nostro paese: il riconoscimento del governo di coalizione della Kampuchea Democratica da parte del governo italiano, un aiuto umanitario per i profughi rifugiati in Thailandia e contributi economici, diplomatici e militari alla causa della Resistenza cambogiana. Perché sia, con l’aiuto di Dio e di Maria, sempre meno dimenticata e sempre più vicina alla vittoria.
a cura di
Marco Invernizzi